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Le bizze di Musk. Risorsa o minaccia per Twitter?
Libertà di parola e stravaganza gratuita si intrecciano nel rapporto tra Elon e il suo social preferito
Una volta Mark Zuckerberg, il ceo di Facebook, per descrivere l’eccezionale confusione che c’era dentro Twitter disse: “Twitter è un tale casino: è come se un’automobile piena di pagliacci avesse guidato in una miniera d’oro e ci fosse caduta dentro”. La frase di Zuckerberg risale a circa dieci anni fa, ai primi tempi dei social network, quando Facebook stava diventando una superpotenza mondiale, mentre Twitter si stava già perdendo per strada. La frase è ancora molto citata perché dice varie cose di Twitter che rimangono corrette a dieci anni di distanza: le enormi potenzialità, rappresentate dalla miniera d’oro, e il fatto che siano sprecate sistematicamente dalla una leadership erratica, indecisa e spesso impreparata – l’automobile dei pagliacci, appunto.
Nelle ultime due settimane l’auto dei clown ha preso una serie di sbandate più grosse del solito per colpa di Elon Musk: imprenditore geniale capo di Tesla e di SpaceX, personaggio controverso che ama molto farsi pubblicità tramite piccoli scandali, ed eccezionale utilizzatore di Twitter, di cui è anche uno degli utenti più seguiti. Musk twitta un po’ come twittava Donald Trump, prima di essere cacciato perché stava cercando di sovvertire la democrazia americana: spasmodicamente, in maniera capricciosa e permalosa, ma con molti più meme. Proprio come Trump, Musk con Twitter ha sempre avuto un rapporto burrascoso.
Gli piace il mezzo e la popolarità che gli garantisce, ché a ogni tweet sciocco e a ogni annuncio online i giornalisti arrivano in massa ad analizzare e amplificare tutto ciò che dice: nel corso degli anni, Musk è finito nei guai con la Sec, l’autorità di regolamentazione della Borsa americana, per certi suoi tweet un po’ troppo allegri a proposito delle sue aziende, e durante la pandemia è stato accusato di diffondere falsità e teorie del complotto, come per esempio quando twittò che i bambini sono “di fatto immuni” al Covid-19. Anche per questo, benché a Musk piaccia Twitter, non gli piace chi lo gestisce, non gli piace il fatto che la piattaforma tenga d’occhio ciò che ci scrive sopra, e il fatto di essere costretto a seguire varie regole. Un po’ come Trump.
All’inizio di aprile, dopo un lungo periodo di tweet contro Twitter, Musk ha fatto una cosa piuttosto trumpiana: ha comprato così tante azioni di Twitter da diventarne il primo azionista individuale. A quel punto, l’automobile dei pagliacci ha cominciato a sbandare paurosamente.
Musk – che è l’uomo più ricco del mondo, anche se gran parte della sua ricchezza è impalpabile, perché dipende dal valore delle azioni delle sue aziende – ha comprato il 9,2 per cento di Twitter per un totale di 2,89 miliardi di dollari: una minuscola frazione del suo enorme patrimonio, stimato a 270 miliardi. Per Twitter sono cominciate due settimane folli. Tra le altre cose: Musk ha detto dapprima che voleva un posto nel consiglio d’amministrazione dell’azienda e poi l’ha rifiutato; i dipendenti di Twitter, temendo l’influenza di un libertario non allineato come Musk, si sono rivoltati; l’azienda si è messa ad annunciare la creazione di nuove funzioni; il suo titolo in Borsa ha avuto continui alti e bassi. In tutto questo, Musk ha continuato a twittare idee balzane, per poi cancellare tutto qualche giorno dopo. E in queste due settimane folli, nessuno ha ancora capito se Musk per Twitter sia una risorsa o una minaccia. Ma sempre più analisti, ormai, propendono per la seconda.
Una saga, quella di Twitter ed Elon Musk, che comincia all’inizio di aprile con l’annuncio dell’acquisto delle azioni. Poco dopo, l’azienda ha fatto sapere che Musk sarebbe entrato nel consiglio di amministrazione, a seguito di un negoziato in cui l’imprenditore aveva fornito svariate garanzie. Tra le altre cose per entrare nel consiglio avrebbe dovuto impegnarsi a non superare la quota del 14,9 per cento dell’azionariato di Twitter, e a sottoporsi a controlli abbastanza rigidi delle sue finanze e attività. Come in tutti i consigli d’amministrazione, inoltre, anche gli undici membri di quello di Twitter sono tenuti a operare nell’interesse dell’azienda e dei suoi azionisti. Da parte di Twitter, dunque, far entrare Elon Musk nel consiglio di amministrazione era un modo per proteggersi: per evitare che Musk potesse espandere troppo il suo pacchetto azionario e al tempo stesso imbrigliare i suoi comportamenti più dannosi e tossici, che avrebbero potuto danneggiare l’azienda.
Nel frattempo, però, l’idea che Elon Musk sarebbe entrato nel consiglio di amministrazione di Twitter ha scombussolato tutta l’azienda e il mondo della tecnologia. Molti dipendenti di Twitter hanno protestato pubblicamente davanti alla possibilità che Musk potesse avere una grossa influenza sulla gestione dell’azienda, soprattutto a causa delle sue posizioni controverse su vari temi. Tra le altre cose, Musk si è sempre definito un “assolutista della libertà d’espressione”, e molti hanno temuto, per esempio, che Musk avrebbe potuto ripristinare l’account di Trump, chiuso dall’azienda dopo l’attacco al Congresso americano del 6 gennaio 2021. “Molte persone stanno spolverando i loro curriculum”, ha detto a Reuters un dipendente che ha chiesto di rimanere anonimo. “Non voglio lavorare per qualcuno come Musk”. Il ceo di Twitter, Parag Agrawal, è stato costretto a diffondere un comunicato in cui cercava di tranquillizzare i suoi dipendenti, facendo capire loro che anche con Musk nel consiglio di amministrazione le cose non sarebbero cambiate, e che la sua influenza sarebbe stata limitata.
Poi però Musk s’è messo a twittare. Nell’arco di circa una settimana, ha pubblicato su Twitter decine di tweet che, di fatto, erano contro la piattaforma: provocazioni nei confronti dell’azienda, proposte di nuove funzioni da attivare, prese in giro e sberleffi. In alcuni casi si è limitato a postare meme ridicoli o imbarazzanti: per esempio, ha pubblicato una celebre foto di lui che fuma una canna, con la scritta “il prossimo consiglio di amministrazione di Twitter sarà uno sballo”. Ha anche proposto di togliere la “W” da Twitter, con l’intento implicito di farlo assomigliare alla parola “tits”, tette. Poi ci sono state le provocazioni. Musk ha sostenuto che Twitter stia “morendo”, perché buona parte dei suoi utenti più popolari non lo utilizza più (non ha tutti i torti) e ha proposto di trasformare la sede di Twitter in centro a San Francisco in un ricovero per senzatetto, “visto che tanto nessuno ci va più” a causa dello smart working. Infine, ci sono state le proposte. Musk a un certo punto si è messo a discutere pubblicamente e in maniera piuttosto confusa di come avrebbe cambiato il servizio premium di Twitter, quello che fornisce alcuni servizi agli utenti che pagano una quota mensile, e che è stato reso disponibile soltanto pochi mesi fa.
Ma l’esempio più notevole della folle settimana di Twitter è stato quando Musk ha pubblicato un sondaggio in cui chiedeva ai suoi follower se volevano aggiungere alla piattaforma un tasto per modificare i tweet già pubblicati. Attualmente, dopo aver pubblicato un tweet non è più possibile modificarlo: chi fa un errore di battitura deve cancellare e riscrivere. Dare la possibilità agli utenti di modificare i tweet già scritti è una questione di cui nell’azienda si discute da anni, senza mai trovare una soluzione perché, per come è fatto Twitter, il pulsante modifica creerebbe enormi problemi: sarebbe facile, per esempio, pubblicare un messaggio a favore di un partito politico, ricevere un sacco di retweet da parte dei sostenitori di quel partito e poi cambiare il contenuto del messaggio affinché risulti favorevole a un partito avverso.
E’ una cosa su cui dentro Twitter si discute da un po’. Ma poco dopo la pubblicazione del sondaggio di Musk (con il 73 per cento dei suoi follower favorevoli al tasto modifica), Twitter stessa ha annunciato che stava lavorando all’introduzione proprio di un tasto modifica. L’azienda ha subito fatto sapere di stare lavorando alla funzione già da tempo, e che l’annuncio non era stato influenzato dal tweet precedente di Musk. La prima affermazione è vera, la seconda no.
Insomma, a pochi giorni dall’acquisto del pacchetto azionario, e senza ancora essere nemmeno entrato nel consiglio di amministrazione, Elon Musk era già riuscito a sconvolgere Twitter, a fare pressioni per nuove funzioni, e per molti versi a umiliare la società. Considerando l’enorme peso che Twitter ha sul sistema dell’informazione mondiale, si stava già cominciando a parlare di come Musk, oltre che il capo della più importante azienda di auto elettriche e di una società spaziale innovativa, grazie alla sua influenza su Twitter avrebbe finito per diventare anche uno degli editori più potenti del mondo, capace di determinare, o quanto meno avere la parola, su cosa succede nel social network usato da tutti i politici, i capi di stato e i giornalisti d’occidente.
E poi, all’inizio di questa settimana, con un annuncio a sorpresa Twitter ha fatto sapere che Musk non sarebbe più entrato nel consiglio d’amministrazione. Il ceo Parag Agrawal ha diffuso un comunicato senza troppe informazioni, in cui ha scritto che il mancato ingresso nel consiglio era una decisione di Musk e che alla fine era meglio così. Musk, il giorno stesso, si è messo a cancellare quasi tutti i tweet provocatori e deliranti pubblicati nei giorni precedenti.
Rimanere nel consiglio, tra le altre cose, avrebbe obbligato Musk a tenere le proprie quote di Twitter inferiori al 15 per cento. A Musk evidentemente questo non bastava: e un paio di giorni dopo ha fatto una proposta per comprarselo tutto, Twitter, al 100 per cento. La proposta prevede l’acquisto di tutte le azioni di Twitter a 54,20 dollari ad azione, cosa che lo porterebbe a pagare tutto il social network circa 43 miliardi di dollari. Musk vorrebbe inoltre ritirare Twitter dal mercato azionario, dove è necessario sottostare a regole piuttosto rigide, e trasformarlo in un’azienda privata, di cui lui finirebbe per essere il padrone assoluto. In un comunicato, Musk ha detto che Twitter “ha un potenziale straordinario” (torniamo alla “miniera d’oro”) e che lui sarebbe in grado di “sbloccarlo”. Il consiglio di amministrazione di Twitter ha detto che sta valutando l’offerta di Musk, e quando leggerete questa pagina potrebbe già aver dato la sua risposta.
Per ora, i giornali americani sostengono che il consiglio sia propenso a dire di no, e anzi a mettere in atto una serie di clausole finanziarie per impedire a Musk di andare avanti. Nel caso, potrebbe svilupparsi una notevole battaglia finanziaria. Quel che è certo è che perfino nella proposta di acquisto Musk ha messo una certa dose di trollaggio nei confronti di Twitter: il prezzo d’acquisto per azione, 54,20 dollari, contiene il codice 4,20, che nella cultura di chi fuma cannabis è il momento del consumo (alcuni ritengono che 4,20 si riferisca all’ora del giorno, altri a una data del calendario, il 20 aprile).
Nel 2018, Musk scrisse (su Twitter, ovviamente) che avrebbe ricomprato tutte le azioni di Tesla e avrebbe reso privata la compagnia, un po’ come vuole fare ora con il social network, e il prezzo che propose fu 420 dollari ad azione: ancora una volta, 4,20. In quel caso, però, il progetto non proseguì, e anzi Musk si prese pure una multa dell’autorità di sorveglianza del mercato perché con quel tweet aveva fatto indebitamente aumentare il valore delle azioni di Tesla.
Non ci sono nemmeno tante certezze sul fatto che Musk, benché sia l’uomo più ricco del mondo, abbia davvero la liquidità per comprare Twitter. Ma sia che diventi padrone assoluto del social network sia che ne rimanga azionista di maggioranza, Musk è la persona più influente sulla piattaforma. Di fatto, ha preso Twitter in ostaggio.