Isolare la Russia a lungo

Karen De Young e Michele Birnbaum

L’occidente sta mettendo a punto un piano strategico che comprende l’economia e la difesa per non prendere decisioni temporanee contro Putin. Il mondo è cambiato e tutto quel che valeva prima “ora non esiste più”

A quasi due mesi dalla brutale aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina, l’Amministrazione Biden e gli alleati europei hanno iniziato a pianificare un mondo molto diverso, in cui non cercano più di coesistere e cooperare con la Russia, ma di isolarla e indebolirla: è una strategia a lungo termine. L’occidente – Nato, Unione europea, dipartimento di stato, Pentagono, i ministri alleati – sta elaborando progetti nei confronti di Mosca per sancire nuovi approcci su ogni aspetto, dalla difesa e dalla finanza al commercio e alla diplomazia internazionale. L’indignazione più grande è diretta allo stesso Putin – Biden lo scorso mese ha detto: “Non può rimanere al potere”. Anche se “non diciamo regime change”, ha spiegato invece un alto diplomatico dell’Ue, “è difficile immaginare uno scenario stabile con Putin che si comporta così”. 

 
La nuova strategia nascente va ben oltre il leader del Cremlino, poiché i pianificatori stanno continuando ad aggiornare i documenti fondanti che verranno presentati nei prossimi mesi. E’ probabile che la prima strategia di sicurezza nazionale di Biden, legalmente richiesta lo scorso anno ma ancora incompleta, sia significativamente diversa rispetto alle aspettative iniziali – secondo cui si sarebbe concentrata quasi esclusivamente sulla Cina e sul rinnovamento interno. La nuova strategia di Difesa nazionale del Pentagono, inviata il mese scorso in forma riservata al Congresso, darà la priorità a quella che un breve riassunto del Pentagono ha chiamato “la sfida della Russia in Europa”, così come alla minaccia cinese.

 
Il primo documento di concetto strategico della Nato dal 2010, quando cercava una “vera partnership strategica” con la Russia, sarà presentato al vertice dell’Alleanza a giugno. “Il dialogo significativo, che abbiamo cercato di portare avanti in precedenza, non è un’opzione per la Russia”, ha detto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg in una conferenza stampa a inizio mese. L’Unione europea ha elaborato piani per tagliare entro la fine di quest’anno due terzi della sua forte dipendenza dal gas russo, e porre fine a tutte le importazioni di combustibili fossili dalla Russia entro il 2030. “Non si tratta tanto di sanzioni, ma di articolare un percorso che abbia come obiettivo l’azzeramento, assicurandoci di diventare indipendenti dal gas e dal petrolio russo”, ha detto il ministro degli Esteri olandese Wopke Hoekstra in un incontro al Center for Strategic and International Studies di Washington. “Per alcuni, sarà un percorso che durerà mesi. Per altri, potrebbero volerci anni. Ma per i Paesi Bassi e altri paesi è una questione seria”, ha detto Hoekstra. “Perché non si ripeta mai più lo stesso errore”.

 
Gli alleati hanno annunciato importanti aumenti del budget della Difesa che si estenderanno nel futuro. La Finlandia e la Svezia dovrebbero presentare domanda per l’adesione alla Nato prima del vertice di giugno a Madrid: è un cambiamento significativo nell’equilibrio della sicurezza europea, che aumenterebbe notevolmente la presenza militare dell’Alleanza vicino ai confini russi. Una settimana fa, Biden ha firmato delle leggi che pongono fine alle normali relazioni commerciali con la Russia e codificano il divieto degli Stati Uniti sulle importazioni di petrolio russo. La scorsa settimana, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato per sospendere l’adesione della Russia al Consiglio per i diritti umani dell’Onu, e sta acquisendo nuovo slancio un movimento di lunga data per rivedere l’appartenenza e i poteri del Consiglio di sicurezza, dove la Russia utilizza liberamente il proprio potere di veto.

 
Pochi leader occidentali sono disposti ad azzardare un’ipotesi su quando e come volgerà al termine la crisi ucraina. Molte delle modifiche proposte “non possono essere completamente decise fino a quando non sapremo come finirà questo conflitto”, ha detto Alexander Vershbow, un ex ambasciatore degli Stati Uniti in Russia, alto funzionario del Pentagono e vice segretario generale della Nato. “Finirà?” O si trascinerà con un difficile cessate il fuoco, con un “né guerra né pace, per diversi anni?”. La strategia a lungo termine viene però elaborata nonostante gli alleati affrontino la crisi immediata con un’escalation delle sanzioni contro Mosca, gli aiuti di armi all’Ucraina e il dispiegamento di decine di migliaia di truppe al confine orientale della Nato. Secondo le dichiarazioni dei leader e le conversazioni con otto alti funzionari statunitensi e stranieri – alcuni dei quali hanno parlato a condizione di anonimato per discutere di una pianificazione a porte chiuse – molte e altre di queste misure sono destinate a rimanere in vigore in maniera permanente. “Alla fine, ciò che vogliamo vedere è un’Ucraina libera e indipendente, una Russia indebolita e isolata e un occidente più forte, più unito e più determinato”, ha detto domenica scorsa a “Meet the Press” della Nbc Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale di Biden. “Crediamo che tutti e tre questi obiettivi siano all’orizzonte”.

 
Alcuni hanno messo in dubbio sia la saggezza dei piani sia la capacità di resistenza dell’occidente, sconsigliando un ritorno alla politica di “contenimento” che regolava i rapporti con l’Unione sovietica. Altri hanno detto che la crisi ucraina e i suoi effetti profondi sull’Europa offrirebbero un’opportunità per gli Stati Uniti di ritirarsi da alcune delle sue costose e presunte responsabilità di difendere il mondo libero. “Se non altro”, ha affermato lo storico Stephen Wertheim questo mese sulla rivista Foreign Affairs, “la guerra ha rafforzato le ragioni della disciplina strategica, offrendo un’opportunità per incoraggiare l’Europa a equilibrarsi contro la Russia mentre gli Stati Uniti si concentrano sulla sicurezza in Asia e sul rinnovamento in patria”. Non tutti sono favorevoli all’isolamento a lungo termine di Mosca. In Francia il presidente Emmanuel Macron è impegnato in una corsa alla rielezione sorprendentemente serrata con la candidatura in ascesa di Marine Le Pen, che ha chiesto la riconciliazione tra Nato e Russia e ha ribadito l’impegno a ritirare la Francia dal comando integrato dell’Alleanza. In Germania ci sono voci favorevoli a mantenere la porta aperta al dialogo con il Cremlino per facilitare un eventuale riavvicinamento. Negli Stati Uniti invece la questione è una delle poche in cui Biden ha un forte sostegno bipartisan. Il sostegno per una linea dura contro la Russia sembra aver indebolito anche il disprezzo repubblicano per la Nato, un segno distintivo dell’Amministrazione Trump, mentre i membri dell’Alleanza da Washington  insistono sul fatto che la necessità e la realizzazione di una posizione comune al confine occidentale della Russia siano più alte che mai.

 
Ma se l’immediatezza dell’Ucraina svanisce, insieme alle immagini quotidiane di nuovi orrori,  inevitabilmente sorgeranno disaccordi come l’aumento della spesa per la Difesa, la necessità di impegnarsi con la Russia su questioni come la non proliferazione, le accuse di distogliere l’attenzione dalla Cina e le interruzioni di scambi commerciali che portano in patria l’aumento dei prezzi – e che pesano sull’agenda interna del presidente. “Dobbiamo impegnarci ora a partecipare in questa lotta a lungo termine”, ha detto Biden durante una visita a Varsavia il mese scorso, delineando    questa lotta come una lotta tra democrazia e autocrazia. “Dobbiamo rimanere uniti oggi e domani e dopodomani e per gli anni e i decenni a venire. Non sarà facile: ci saranno dei costi”.

 
L’ultima grande riforma delle relazioni con la Russia, che ha guidato le speranze dopo il crollo dell’Unione sovietica, è avvenuta nel 1997, quando i leader della Nato e Mosca approvarono il “Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security”. Riflettendo “il mutevole contesto di sicurezza in Europa, in cui il confronto della guerra fredda è stato sostituito dalla promessa di una più stretta cooperazione tra ex avversari”, si affermava che avrebbero agito insieme per costruire “una pace duratura e inclusiva nell’area euro-atlantica”. Cercando di legare la Russia all’interdipendenza, l’Atto fondatore includeva impegni specifici per rispettare la sovranità degli stati, risolvere pacificamente le controversie e, da parte della Nato, l’intenzione di evitare qualsiasi ulteriore stazionamento permanente di “forze di combattimento sostanziali” ai confini della Russia. Diceva anche specificamente che non intendeva “ritardare, limitare o diluire l’apertura della Nato all’adesione di nuovi paesi membri”.

 
Negli anni successivi, questi impegni sono stati spesso messi alla prova, l’ultima volta prima della crisi attuale con l’invasione russa del 2014 di parti dell’Ucraina orientale e l’annessione della Crimea, e le conseguenti sanzioni occidentali. Ma anche dopo quegli eventi l’Europa e gli Stati Uniti hanno ripreso le relazioni con la Russia, o per imperativi economici, come per le importazioni di energia in Europa, o per desiderio, come quando l’ex presidente Donald Trump si vantava del suo profondo legame con Putin. Ma in un vertice d’emergenza della Nato il mese scorso, “i leader hanno concordato di ripristinare la nostra deterrenza e difesa a lungo termine”, ha detto Stoltenberg. “Per affrontare una nuova realtà di sicurezza”, con  più forze a est, più jet nei cieli e più navi in mare. La Russia si è “allontanata” dall’Atto costitutivo, ha detto: “Quello non esiste più”. Un alto funzionario europeo ha detto che “l’unica lezione che traiamo da un’aggressione russa che molti pensavano non potesse essere possibile è che qui c’è un paese che è pronto a fare cose che nessuna garanzia di sicurezza può contenere, e non possiamo essere sicuri che queste cose non accada” “Pensavamo che l’interdipendenza, la connettività, avrebbero favorito la stabilità perché avevamo interessi correlati. Ora, abbiamo visto che non è così. La Russia era fortemente connessa con l’Europa, un paese globalizzato”, ha detto il funzionario. “L’interdipendenza, come abbiamo visto ora, può comportare gravi rischi, se un paese è abbastanza spietato. Dobbiamo adattarci a una situazione che è assolutamente nuova”.

 
Diversi politici europei hanno detto che i loro calcoli attuali sono governati da due fattori principali. Il primo è l’aspettativa che qualsiasi tregua in Ucraina possa essere temporanea. Anche se Putin accettasse momentaneamente di deporre le armi, molti europei credono che cercherà di riorganizzarsi, ricostruire l’esercito russo e attaccare di nuovo quando si sentirà pronto. Il secondo è un profondo orrore per le atrocità dell’esercito russo contro i civili venute alla luce da quando le sue forze si sono ritirate verso l’Ucraina orientale nelle ultime due settimane. Molti pensano che lo stesso Putin potrebbe dover affrontare accuse di crimini di guerra davanti ai tribunali internazionali.

 
Questa combinazione fa sì che molti europei sentano che il loro continente sarà instabile e insicuro finché Putin sarà al Cremlino. E se non sono ancora disposti ad abbracciare uno sforzo attivo per spodestare il suo regime, il sostegno sta crescendo lì, così come negli Stati Uniti, per tagliare definitivamente fuori il suo paese. “C’è una crescente consapevolezza che questa sia una situazione a lungo termine e che si stia formando una strategia di contenimento, una strategia di difesa”, ha detto in un’intervista il ministro degli Esteri lettone Edgars Rinkevics. “Sostenere l’Ucraina il più possibile, sanzionare la Russia il più possibile, fare tutto il possibile per ridurre la dipendenza dalla Russia e infine, sì, mettere più enfasi sulla difesa militare”. Rinkevics era tra i ministri degli Esteri dell’Ue che hanno incontrato in Lussemburgo il procuratore capo della Corte penale internazionale per discutere dei crimini di guerra. “Quando si tratta di indagare su tutti i crimini di guerra, non ci si può fermare al comandante sul campo, e in Russia, il comandante in capo supremo è il presidente della Federazione russa”, ha detto Rinkevics. “La sensazione dopo Bucha”, il sobborgo di Kyiv dove il ritiro delle truppe russe ha lasciato decine di civili morti nelle strade, alcuni torturati e giustiziati, “è che sarà molto difficile parlare con Putin o con chiunque altro al governo russo senza ricordargli ciò che è accaduto”.
Il  viceministro della Difesa lituano Margiris Abukevicius ha detto anche che il forte sostegno dei russi nei confronti della guerra  ha  causato un ricalcolo tra i politici alleati  per cercare di tracciare una distinzione tra la popolazione del paese e la sua leadership. I russi sembrano avere i leader che vogliono, un altro motivo per  prepararsi per un lungo stallo. “C’è una responsabilità collettiva”, ha detto Abukevicius. “All’inizio, dicevamo ‘la guerra di Putin’. Ora, stiamo sempre più dicendo ‘la guerra della Russia’”.
  
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