Dopo i Neptune

Putin premia i massacratori, dimentica i marinai della Moskva e organizza scambi di prigionieri

Micol Flammini

Che fine ha fatto l'equipaggio della Moskva? La domanda è martellante in Russia, ma anziché rispondere Putin parla con i soldati accusati di aver compiuto i massacri di Bucha. Il messaggio è chiaro: sta con quelli che ritiene vincitori, gli altri sono fantasmi

Roma. Le domande russe sulla Moskva  sono molte e sono precise e arrivano anche da chi non ci si sarebbe mai aspettato. Il conduttore televisivo Vladimir Solovev   sabato si domandava come fosse possibile che a bordo non ci fossero estintori, se si è trattato di un incendio; o come fosse possibile che il sistema antimissile non abbia funzionato, se si  è trattato di un attacco missilistico. Qualcuno suggerisce che la colpa sia della Nato. Le risposte non ci sono, ma non servono neppure, perché è il dubbio quello che conta e la domanda più importante che i russi si stanno facendo riguarda invece l’equipaggio della Moskva: cinquecento uomini. Il servizio russo della Bbc si è messo alla ricerca delle storie dei militari a bordo e ha già trovato i nomi di alcuni marinai deceduti. La Novaja Gazeta, che dopo aver interrotto le pubblicazioni ha trovato una nuova vita su Substack, ha intervistato la madre di uno dei ragazzi che prestavano servizio sull’incrociatore. Il marinaio è vivo e ha raccontato tutto a sua madre: tre missili – nella versione ucraina i missili sono due – hanno colpito il deposito di razzi; sono morte una quarantina di persone, molte sono scomparse e ci sono oltre cento feriti. Sui social russi i genitori chiedono dove sono i loro figli, protestano contro il ministero della Difesa, che per mettere fine agli interrogativi ha pubblicato un video dell’equipaggio a Sebastopoli: ma si tratta di immagini vecchie. La sorte di cinquecento marinai non si può nascondere a un intero paese e le domande sorgono sui social, nelle case, nei salotti televisivi. Più ci sono dubbi, più la bolla del sostegno attorno alla guerra si fa rarefatta. La notizia dell’incrociatore invincibile affondato aveva già fatto vacillare le prime certezze, ora le domande sull’equipaggio, che la Russia aveva detto di aver evacuato, si stanno facendo martellanti. Le richieste dei genitori vengono ignorate, i giornalisti trovano nomi di defunti e scomparsi, mentre Mosca non ha neppure annunciato la morte del comandante, Anton Kuprin. 

 

Per il Cremlino è un equipaggio di fantasmi quello della Moskva, ieri Vladimir  Putin ha però trovato il tempo per dare un’onorificenza alla 64a brigata di fucilieri motorizzati accusata del massacro di Bucha. Il messaggio è chiaro: il presidente russo parla con i vincitori, i massacratori; ma non vuole avere nulla a che fare con i vinti. In questa categoria potrebbe essere finito anche l’oligarca Viktor Medvedchuk, uno dei suoi fedelissimi in Ucraina, fatto prigioniero la scorsa settimana. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva proposto di scambiarlo, ma Mosca  aveva risposto di non essere  interessata. Ieri però la tv russa ha trasmesso il video di due combattenti britannici fatti prigionieri a Mariupol, Aiden Aslin e Shaun Pinner, che facevano appello al premier britannico Boris Johnson e, assicurando di essere stati trattati bene dai russi,  chiedevano di  accettare lo scambio con  Medvedchuk affinché l’oligarca potesse “tornare dalla sua famiglia”. Sono stati usati dalla propaganda mentre nelle stesse ore i servizi di intelligence ucraini pubblicavano il video di Medvedchuk che chiedeva a Putin e a Zelensky di accettare invece di scambiarlo con i cittadini e i soldati rimasti a Mariupol. La città che “non esiste più”, come ha detto il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba per dare l’idea della distruzione, ma che resiste, secondo il battaglione Azov, e continua a rallentare i piani di Mosca nel Donbas.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)