Verso l'Eliseo
Quanto rischia l'Ue con Marine Le Pen
La candidata dell’estrema destra francese punta a distruggere la costruzione comunitaria dall’interno
Nel suo programma elettorale, Marine Le Pen ha annunciato che, una volta eletta presidente della Repubblica in Francia, dopo la formazione di un governo di unione nazionale, la seconda cosa che farà è “una visita a Bruxelles per iniziare l’Europa delle nazioni libere e dei progetti concreti”. Qualsiasi cosa voglia dire questo slogan contenuto nella professione di fede (il documento ufficiale che illustra idee e programma) della candidata del Rassemblement National, l’Unione europea oggi si trova a fare i conti con il rischio concreto di trovarsi Le Pen all’Eliseo.
I sondaggi dell’ultima settimana non bastano a escludere ciò che fino a poco tempo fa era considerato impensabile: la Francia, il secondo paese più importante dell’Ue e l’unica sua potenza nucleare dopo l’uscita del Regno Unito, governata da una leader anti sistema e anti europea, che ufficialmente non persegue più la “Frexit”, ma di fatto intende distruggere la costruzione comunitaria dall’interno, violando apertamente i suoi principi e le sue regole. Bruxelles e le capitali dei 27 si sono autoimposte il silenzio per non essere accusate di ingerenza nei processi democratici interni di uno stato membro. Il ministro degli Esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn, è stata la sola voce istituzionale a esprimersi all’indomani del primo turno.
Le Pen presidente “sarebbe non solo uno stravolgimento in Europa, in quanto progetto di valori e progetto di pace, ma metterebbe su un’altra strada l’essenza stessa dell’Ue. I francesi devono impedirlo”, ha detto Asselborn. Come risponderà Bruxelles alla minaccia esistenziale, se il suo appello non sarà ascoltato? Come nel caso dell’elezione di Donald Trump e della Brexit, l’Ue non si è preparata allo scenario impensabile, ma lungi dal ricercare la rottura con ogni probabilità tenterà di trovare una forma di convivenza con Le Pen.
Ogni volta che è confrontata a forme più o meno estreme di populismo anti sistema, l’Ue ha reagito con l’appeasement e il compromesso. Quando nel 2012, il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, iniziò a smantellare lo stato di diritto con le riforme del sistema giudiziario, delle autorità indipendenti e della Banca centrale, la Commissione lanciò una procedura di infrazione. Ma poi la fece rapidamente cadere in cambio di modifiche cosmetiche alla legislazione da parte di Budapest, nella convinzione che sarebbe bastato a contenere Orbán il tempo necessario a una nuova alternanza al governo. Quando nel 2015 l’allora premier britannico, David Cameron, appena rieletto sulla promessa di rinegoziare la relazione con l’Ue e sottoporla a referendum, si presentò a Bruxelles minacciando di andarsene se non fosse stato accontentato, la Commissione di Jean-Claude Juncker si guardò bene dall’andare allo scontro. La risposta – concordata con gli altri governi – fu un’eccezione ritagliata su misura per Cameron alle regole sui benefici sociali dei lavoratori comunitari immigrati nel Regno Unito.
Quando nel 2018 l’allora presidente americano, Donald Trump, introdusse dazi sull’acciaio dell’Ue minacciando di espandere le tariffe ad altri settori, la Commissione rispose con rappresaglie consentite dall’Organizzazione mondiale del commercio. Ma poi Juncker volò a Washington per convincerlo a evitare uno scontro, offrendogli un aumento delle quote di soia americana importata. Quando nel 2018 a Roma si instaurò il governo tutto populista tra M5s e Lega, l’allora premier Giuseppe Conte venne ricevuto con grande serietà a Bruxelles. Malgrado la minaccia di una procedura per deficit eccessivo, la Commissione accettò di negoziare ulteriori scostamenti dalle regole di bilancio. Quando tra il 2017 e il 2019, Theresa May e Boris Johnson si presentarono ciascuno con il suo progetto di Brexit, l’Ue accettò di negoziare alle loro condizioni. Ma alla fine è riuscita a imporre le proprie di condizioni all’uno e all’altro, provocando l’uscita di scena di May e le costanti difficoltà di Johnson con i suoi Brexiters sull’Irlanda del nord. È nella natura dell’Ue evitare i conflitti e affrontare le crisi con un approccio pragmatico per trovare compromessi che limitino i danni. Almeno all’inizio, superato lo choc, la tattica sarebbe la stessa con Le Pen. “Non ci sono state discussioni preliminari con i governi, ma noi rispettiamo sempre la volontà degli elettori e la democrazia”, spiega al Foglio una fonte dell’Ue.
La nuova presidente verrebbe accolta nella sua prima visita a Bruxelles con grande serietà, anche se con poca serenità. “L’Ue è sempre aperta a discutere di soluzioni all’interno delle regole e dei principi fondamentali”, dice la fonte. La reintroduzione dei controlli alle frontiere interne all’Ue? Una riforma di Schengen è già in discussione e sono sempre previste eccezioni in caso di minaccia alla sicurezza nazionale (del resto la Francia ne fa uso costante dagli attentati terroristici del 2015). Gli aiuti a famiglie e imprese? Le regole sugli aiuti di stato sono praticamente sospese per il Covid-19 e la guerra in Ucraina. La preferenza nazionale sui cittadini comunitari per i posti di lavoro e gli alloggi sociali? Si può trovare un’eccezione stile Cameron, che consenta di dare una mini preferenza ai francesi. La riduzione del contributo francese al bilancio comunitario? Nei prossimi anni ci sarà il negoziato sulle risorse proprie che potrebbe portare a un taglio dei contributi degli stati membri, se questi accetteranno nuove tasse europee. Le sanzioni contro la Russia per la guerra in Ucraina? La Francia potrà mettere il veto tra un anno quando l’Ue dovrà decidere se prorogarle, ma fino ad allora resteranno in vigore.
È difficile immaginare che Le Pen presidente si metta a negoziare con l’Ue piccole eccezioni che le consentano di realizzare molto parzialmente il suo programma fatto di molte mini Frexit settoriali. Uno scenario più probabile è la violazione unilaterale di trattati, regolamenti e direttive. Anche in quel caso, però, una rottura è improbabile. Gli altri stati membri lascerebbero alla Commissione la responsabilità di rispondere a Le Pen. E la Commissione – in parte perché manca la volontà politica, in parte perché i suoi strumenti legali sono limitati – si metterebbe a lanciare una serie di procedure di infrazione che non porterebbero a conseguenze prima di diversi anni e sentenze della Corte di giustizia. Al massimo, la Commissione potrebbe bloccare o chiedere indietro gli stanziamenti del Recovery fund (complessivamente 39,4 miliardi di euro), perché la Francia non rispetta più gli impegni assunti su riforme e investimenti.
Il problema di una risposta conciliante, seguita dalla strategie delle procedure di infrazione, è che la Francia non è la Polonia o l’Ungheria. Orbán può condividere con Le Pen la volontà di distruggere l’Ue dall’interno, ma il peso del suo paese non gli permette di realizzare il suo progetto. “La differenza è che la Francia (a differenza di Polonia, Ungheria o perfino il Regno Unito) è indispensabile all’Ue”, spiegano Ian Bond e John Springford del think tank Centre for European Reform. “Violare sistematicamente le leggi dell’Ue per Budapest è una sfida pericolosa a Bruxelles. Ma per la Francia, un membro fondatore e la sua seconda più grande economica, farlo significa non fare funzionare l’Unione e sollevare la prospettiva del suo collasso”, ha scritto su Politico.eu Mujtaba Rahman, il direttore Europa dell’Eurasia Group. Anche se si limitasse solo a una sua versione della politica della sedia vuota del generale De Gaulle, Le Pen avrebbe un effetto dirompente. Secondo i due ricercatori del Centre for European Reform, “l’Ue si troverebbe di fronte a una situazione di stallo su tutta una serie di questioni politiche. Senza il tandem di Germania e Francia che negoziano compromessi tra loro sui grandi settori politici, non verrebbe approvata alcuna nuova legislazione”.
Ma il vero pericolo è l’attacco sistemico all’Ue dall’interno. Per il Centre for European Reform, con Le Pen presidente “i governi nazionalisti avrebbero una massa critica molto maggiore e agirebbero insieme per indebolire ulteriormente l’Ue”. Secondo Mujtaba Rahman, Le Pen presidente in Francia “è una più grande minaccia all’Ue e allo status quo liberale, democratico e occidentale della Brexit”.