L'offensiva del Cremlino
I rischi, le armi e le strategie nella guerra senza fronte del Donbas
Nell'est dell'Ucraina si profila un conflitto su larga scala, ben diverso da quello delle prime settimane combattuto tra le strade e negli spazi ridotti dei quartieri cittadini. Adesso entreranno in gioco soprattutto l’artiglieria pesante e i sistemi di difesa antiaerea
Se oggi l’invasione russa dell’Ucraina è limitata alla parte orientale del paese lo si deve alla resistenza degli ucraini, ovviamente, ma anche alle armi giuste fornite dagli altri paesi in loro supporto. Le armi anticarro portatili, come i Javelin, hanno funzionato molto bene per difendere città e quartieri. Le lunghe colonne di blindati russi sono state spesso intercettate e colpite, e addirittura alcuni analisti hanno parlato di una no fly zone fai-da-te che i militari ucraini sono riusciti a costituire con la deterrenza. Tanto che anche alcuni tra i migliori elicotteri in dotazione ai russi, i Ka-52, sono stati colpiti dall’inizio del conflitto. La nuova fase della guerra, però, è completamente diversa da quella appena conclusa: gli eserciti non si misurano più agli angoli delle strade e negli spazi ridotti dei quartieri cittadini, l’est dell’Ucraina che Putin pretende di trasformare in “nuova Russia” è una landa enorme (la sola oblast di Donetsk è più grande della Lombardia) in cui gli attacchi arrivano da tutte le direzioni. Da sud, cioè da Kherson e dalla Crimea, ma anche da est, inclusa la zona di Mariupol, dove resiste l’ultimo migliaio di soldati ucraini asserragliati nell’acciaieria Azovstal.
Per capire il tipo di guerra che sta prendendo forma nell’est ucraino bisogna innanzitutto disfarsi dell’idea di “guerra di trincea”. Era tale negli scorsi otto anni, quando Mosca infiltrava le sue truppe spacciandole per separatisti locali, oggi però in molte zone un fronte vero e proprio non c’è più e nelle prossime settimane è prevedibile che sarà così in tutto l’est del paese. Come scrivono diversi osservatori (uno su tutti Michael Jacobson, analista e colonnello dello United States Army Reserve) questo è il momento in cui entra in gioco soprattutto l’artiglieria pesante e i sistemi di difesa antiaerea capaci di far fronte alle prossime operazioni russe. Il problema è che l’Ucraina ne è sprovvista. Non è solo una questione di tecnologie, ma anche di numeri: l’esercito russo è così numeroso che perdere centinaia di mezzi significa solamente doverli sostituire. Per le truppe di Kyiv invece questi due mesi di guerra sono stati un inesorabile avvicinarsi al momento in cui la disponibilità di sistemi difensivi sarà esaurita.
L’attuale debolezza dell’esercito di Volodymyr Zelensky sta nel non disporre di sistemi di difesa missilistica (C-Ram): cioè sistemi utili a difendere le proprie postazioni e i propri radar da razzi, artiglieria e mortai. L’S-300 (regalato all’Ucraina dalla Slovacchia) in parte mette una toppa a questa mancanza, ma per le sue caratteristiche tecniche è insufficiente, e non può essere considerato un’opzione efficiente a lungo termine.
A Kyiv mancano anche i semoventi d’artiglieria. Dispone di quelli di produzione sovietica, che però sono obsoleti e insufficienti per il nuovo tipo di conflitto. Il problema si risolverebbe solo in un modo: i paesi Nato dovrebbero decidere (e farlo velocemente) di cedere i loro all’esercito ucraino. I semoventi a disposizione dei paesi Nato hanno l’apparecchiatura adatta a determinare rapidamente le posizioni dell’artiglieria nemica, ma sono anche decisamente più facili da riparare (hanno componenti modulari sostituibili in tempi rapidi). La Svezia potrebbe fornire a Kyiv il suo semovente Archer, la Francia produce invece il Caesar II e di opzioni ce ne sarebbero molte altre. I tempi però sono stretti e l’Ucraina senza sistemi di difesa e radar non può farcela.
Se le armi non arrivassero e le nuove condizioni sul terreno avvantaggiassero l’esercito di Mosca come è certo che accada, allora il conflitto potrebbe nuovamente estendersi all’intera Ucraina. I pericoli sono due: che una guerra su scala più ampia porti a più morti, sia militari sia civili, e che la guerra si avvicini ancora di più alla Polonia e agli altri paesi europei, cosa che renderebbe più probabile un’escalation. Fornire nuovi armamenti efficaci, in questo senso, non serve a fare “più guerra”, come sentiamo spesso dire. Serve a creare un deterrente e fermarla.