Le bugie russe su Mariupol

“Blocca questa zona in modo che neppure una mosca possa passare”

Micol Flammini

Il teatrino Putin-Shoigu mostra che nemmeno la seconda fase di guerra sta andando secondo i piani. Il capo del Cremlino risparmia Azovstal per se stesso, non certo per evitare un massacro

Vladimir Putin e il suo ministro della Difesa, Sergei Shoigu, si sono seduti attorno a un tavolo molto piccolo, e hanno rivendicato la vittoria della Russia a Mariupol. La scena era registrata ed evidentemente anche preparata. Shoigu ha letto al presidente un rapporto  dettagliato sulla situazione nella città, ha raccontato come i soldati russi hanno cercato di evitare che i nazionalisti ucraini usassero i cittadini come scudi umani e come si sono impegnati per l’apertura di corridoi umanitari. “Il lavoro delle Forze armate per liberare Mariupol è stato un successo. Congratulazioni”, ha concluso Putin. La verità è che  la città è distrutta, ma non è ancora presa. I combattenti ucraini continuano a resistere nello stabilimento dell’acciaieria Azovstal, sono un migliaio, ma la Russia ha trascorso già troppo tempo a Mariupol: è arrivato il momento di mettere fine all’operazione. Mosca sta cercando di accelerare la campagna nel Donbas, vuole risultati, anche se ridimensionati, e Mariupol è ottima anche dal punto di vista della propaganda: la città difesa dai nazionalisti neonazisti del battaglione Azov è un obiettivo che si può vendere come successo in una guerra dichiarata per denazificare. L’assedio dura da due mesi, Mosca ha perso uomini e mezzi e quel che rimane, evidentemente, il Cremlino vuole reindirizzarlo altrove e portarlo nel Donbas. Lo scambio tra Putin e Shoigu, senza divisa, è affettato. Putin appare rigido, con la stessa espressione sul volto per i quindici minuti dell’incontro.

 

La protervia delle prime settimane di guerra, mostrata nei video di febbraio e marzo preregistrati come quello di oggi, non si vede più. Si vede tensione, segnale del fatto che questa guerra sta diventando per lui una questione sempre più personale: i suoi desideri politici sono  più forti della realtà sul campo di battaglia. Shoigu ha proposto a Putin un’operazione per prendere d’assalto la zona industriale di Mariupol, dove resistono gli ucraini, ma il presidente russo ha ribattuto: “Ti ordino di cancellarla. Dobbiamo pensare a preservare la vita e la salute dei nostri soldati e ufficiali. Non c’è bisogno di finire in quelle catacombe e strisciare sottoterra attraverso le strutture”, si riferisce ad Azovstal, che è un complesso grande che si estende sotto terra con molti tunnel. “Blocca questa zona in modo che neppure una mosca possa passare”. Probabilmente, più che la vita dei soldati, Putin vuole risparmiare l’acciaieria e non è la prima volta che il presidente russo usa  parole come  “mosche” o  “moscerini” in riferimento alle persone che considera da punire. Settimane fa aveva detto che il popolo russo avrebbe sputato fuori i traditori come fossero moscerini finiti in bocca: in quel caso si riferiva a chi non approva l’ “operazione speciale”. 

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Prima dell’attacco, Putin aveva registrato un video con Shoigu e con il ministro degli Esteri Sergei Lavrov per far credere agli Stati Uniti e all’Ucraina che Mosca stava ritirando i mezzi militari disposti lungo la frontiera. Non era vero, ma voleva che credessimo che fosse vero. Settimane dopo, ha mandato in onda il Consiglio di sicurezza in cui si discuteva il  riconoscimento dell’indipendenza delle repubbliche che si sono autoproclamate indipendenti, Donetsk e Luhansk.  Era tutto già deciso, ma voleva che credessimo che ci stava ancora pensando. Oggi ci ha fatto vedere che a Mariupol  sta vincendo, che ora ha un missile ipersonico nuovo e fortissimo e che è pronto a distruggere i moscerini. Voleva mostrarci che va tutto bene, che controlla la guerra, che è sempre più forte. Ma anche questa volta la verità è al lato opposto: la guerra sta andando male e il 9 maggio si avvicina. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)