I turchi contro i curdi in Iraq e i russi offesi: la Nato non dice niente?
Ci sono il gas e la partita con l'Iran dietro all'offensiva di Erdogan contro il Pkk. Il silenzio dell'occidente strumentalizzato da Mosca: "La loro guerra è come la nostra in Ucraina"
Da qualche giorno i media russi e il Cremlino seguono con particolare interesse un’altra guerra, oltre a quella in Ucraina. Si tratta dell’operazione militare denominata “Claw-Lock” (la stretta dell’artiglio) lanciata lunedì scorso dalla Turchia nel Kurdistan iracheno per neutralizzare alcune postazioni del Pkk, i combattenti curdi inclusi nella lista dei terroristi da Europa, Stati Uniti e Turchia. Aerei, droni e forze di terra hanno lanciato un’offensiva attorno alle città di Metina, Zap e Avasin. Gli obiettivi principali, ha spiegato il ministro della Difesa turco Hulusi Akar, sono “i rifugi, i depositi delle munizioni e i tunnel” usati dai combattenti del Pkk per nascondersi e lanciare attacchi contro il territorio turco. Pochi giorni prima dell’avvio delle operazioni, Masrour Barzani, il primo ministro della regione autonoma del Kurdistan iracheno, era volato ad Ankara per un vertice con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. I due avevano discusso della necessità di “promuovere stabilità e sicurezza” e in quell’occasione il leader del Partito democratico del Kurdistan ha garantito ai turchi la sua collaborazione – anche militare – contro il Pkk, considerato una minaccia da entrambi. Il via libera all’operazione turca da parte di Barzani non significa che quello turco sia un intervento lecito. Sia il presidente iracheno Barham Salih sia l’ex primo ministro Nouri al Maliki l’hanno definita una minaccia per la sicurezza dell’Iraq. Finora sono stati uccisi 42 combattenti curdi, ha detto il ministero della Difesa turco, che su Twitter posta video molto enfatici sulle operazioni militari con scritto: “Continueremo a distruggere le loro tane”. Anche i curdi dicono però di avere ucciso diverse decine di soldati turchi e di avere colpito due elicotteri. L’operazione “Claw-Lock” è l’ultima di una lunga serie nel Kurdistan iracheno. Due anni fa, Ankara ne aveva lanciate altre due, denominate “Claw-Tiger” (artiglio della tigre) e “Claw-Eagle” (artiglio dell’aquila).
Il Pkk è obiettivo di queste incursioni anche perché è visto dai turchi come elemento di disturbo per gli interessi energetici turchi nel Kurdistan iracheno. Ankara è convinta di potere estrarre ed esportare da qui parte del gas che l’Europa sta cercando per smarcarsi dalla sua dipendenza dalla Russia. Il piano è ambizioso e non realizzabile nell’immediato – prima di pensare all’esportazione, c’è da soddisfare la domanda di gas locale – ma l’Iran teme lo stesso la concorrenza turca in Iraq. Lo scorso 13 marzo, un missile dei pasdaran ha colpito Erbil, la capitale della regione curda. Si era trattato di un attacco insolito e molto grave contro dei non meglio identificati “centri strategici” israeliani. Nella rivendicazione dei pasdaran si parlava di una vendetta per un precedente raid aereo israeliano lanciato in Siria e che aveva ucciso due membri del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica. Ma nell’attacco a Erbil gli iraniani avevano distrutto anche la villa di Baz Karim Barzinji, tycoon curdo-iracheno e ceo della compagnia petrolifera Kar, che controlla il 40 per cento delle esportazioni petrolifere curde e che ha come principale azionista la russa Rosneft. Di recente, Kar aveva raggiunto un accordo con l’amministrazione di Erbil per portare il gas fino a Dohuk, ad appena una trentina di chilometri dal confine turco. Secondo uno scoop di Reuters del mese scorso, Israele farebbe parte di questa triangolazione con la Turchia e il Kurdistan iracheno e l’obiettivo dell’attacco iraniano a Erbil sarebbe stato quello di intimidire i curdo-iracheni e di ostacolare gli affari turchi per esportare il gas in Europa.
E’ forse anche per questo motivo, oltre al timore che Ankara possa un domani porre il veto all’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia, che finora nessun leader occidentale si è espresso a proposito dell’offensiva turca in Iraq. Questo silenzio è ora usato dai russi per accusare la Nato di doppiopesismo. I media di stato vicini al Cremlino, ha notato l’esperto di Relazioni internazionali Samuel Ramani, in questi giorni stanno facendo passare il messaggio che la guerra russa in Ucraina a quella turca in Iraq siano molto simili perché dirette a tutelare la sicurezza di Mosca e Ankara contro i nazisti ucraini da una parte e i terroristi curdi dall’altra. L’unica differenza sarebbe il silenzio della Nato nei confronti di Ankara. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha detto di essere molto preoccupato dall’operazione contro i curdi e di temere una “destabilizzazione anche nel resto del medio oriente”. Ma al di là della propaganda, difficilmente i russi lasceranno la loro posizione di terzietà nei confronti della Turchia, che sta tentando di fare da mediatore nel conflitto ucraino. Sia Mosca sia Ankara hanno in questo momento bisogno della reciproca neutralità.