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Mosca minaccia la Moldova: adesso vuole liberare "i russi oppressi" nella Transnistria

Micol Flammini

La Russia crea nuovi pretesti, prende tempo, e dice che non si fermerà all'Ucraina: dal Donbas all'Ucraina meridionale per arrivare sempre più a occidente

Roma. Durante questa guerra assistiamo a un mutare continuo dei piani di Mosca. L’offensiva del 24 febbraio era stata lanciata contro tutta l’Ucraina, anche al cuore della nazione: la sua capitale, in cui Mosca voleva catturare il presidente Volodymyr Zelensky. A marzo, quando l’assalto alla capitale era stato ormai respinto dall’esercito ucraino, la Russia aveva dichiarato conclusa la prima fase della guerra e aveva detto che ormai si sarebbe concentrata sulla “liberazione del Donbas”: la regione orientale dell’Ucraina che confina con la Russia. I piani sono cambiati di nuovo, e ad annunciarli ieri è stato Rustam Minnekaev, comandante del distretto militare centrale  russo. Minnekaev ha detto che la Russia prevede di assumere il pieno controllo del Donbas e dell’Ucraina meridionale, quindi non soltanto della zona industriale ma anche  dei porti da dove partono prodotti agricoli e siderurgici, quindi anche Odessa. Questo vuol dire: togliere il mare a Kyiv.  Minnekaev ha aggiunto  un altro dettaglio, che lascia intendere quanto i piani di Mosca non siano più quelli di un’operazione rapida, ma di un’operazione vasta: ha detto che il controllo dell’Ucraina meridionale aprirebbe una “strada verso la Transnistria”, un’enclave separatista in Moldova che confina con l’Ucraina dove, secondo Mosca, “ci sono casi di oppressione della popolazione di lingua russa”. I parallelismi con il Donbas sono molti. La Transnistria è abitata da filorussi, è nata da un’insurrezione  nel 1992 e di stanza nell’enclave ci sono soldati russi. 

 

Molti soldati di Mosca difendono Cobasna, una cittadina che ospita il più grande deposito militare sovietico nell’Europa orientale, che il governo moldavo stima intorno alle 22 mila tonnellate di munizioni. La Transnistria non è riconosciuta dalla comunità internazionale, ma si è data delle proprie istituzioni, ha i suoi servizi segreti, come fosse uno stato che, come le due repubbliche del Donbas che si sono autoproclamate indipendenti, Donetsk e Luhansk, risponde a Mosca. E come a Donetsk e Luhansk, la Russia ha distribuito nell’area passaporti russi, per creare dei propri cittadini. I soldati presenti in Transnistria sono arrivati con il pretesto di una missione per garantire la pace tra le due parti del paese, ma poi sono rimasti con l’obiettivo di controllare e influenzare anche la politica della Moldova, che dipende da Mosca  per il gas, che viene usato come arma politica contro la nazione che sta cercando di avvicinarsi all’Unione europea e che da quando ha eletto come presidente Maia Sandu, ha accelerato il processo.  Nel giorno delle minacce alla Transnistria, la Moldova ha inviato il primo questionario per l’adesione all’Unione europea, un progetto che per la nazione si è fatto sempre più urgente proprio in funzione antirussa da quando Vladimir Putin decise di invadere la Georgia nel 2008. Per legge però, contrariamente all’Ucraina, la Moldova è neutrale. 

 

Una delle frasi che gli ucraini ripetono dall’inizio del conflitto è che Mosca non vuole fermarsi all’Ucraina, che il suo attacco è qualcosa di più esteso e quindi riguarda tutti. Il pretesto di andare a difendere i cittadini russi che si sentono oppressi è applicabile in molti posti in Europa, anche all’interno dell’Ue. In Estonia c’è una  nutrita comunità di russi, che non hanno il passaporto, ma poco importa, in Ucraina Mosca per attaccare non ha utilizzato il principio del passaporto, ma quello della lingua. Anche in Lettonia c’è una comunità russofona, e pure in Lituania. Dopo la Lituania c’è Kaliningrad, l’exclave di Mosca, e la Russia potrebbe desiderare di estendersi e minacciare la Polonia per non avere la Nato alle porte. Finora il Cremlino si è dimostrato più bravo a creare pretesti per un attacco che sul campo di battaglia, e i suoi insuccessi in guerra non sembrano fermarlo. Quando gli ucraini avvertono che è il momento di considerare la guerra non soltanto come una questione di Kyiv, ma come una guerra di Putin contro il mondo occidentale, per chi avesse ancora dei dubbi sul dar loro retta o meno, basta prestare attenzione alle minacce di Minnekaev. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)