L'anniversario
L'anniversario del disastro di Chernobyl, con l'Ucraina in guerra
Il 26 aprile 1986 il quarto reattore della centrale sovietica portò al più grave incidente nucleare della storia: dopo 36 anni Russia e Ucraina si fronteggiano in un conflitto dagli orizzonti drammatici
Una giovane donna è seduta su una panca davanti a casa, allatta il bambino al seno... latte e cesio... Una mamma di Černobyl'.
(Svjatlana Aleksievič)
Cosa rimane del disastro di Chernobyl oggi? I paesi abbandonati nella fretta delle prime settimane di maggio nel 1986, in questi primi due mesi di guerra hanno inaspettatamente rivisto esseri umani attraversare quei territori quando i russi hanno invaso la zona radioattiva della “Foresta Rossa” agli inizi di marzo. L'esercito di Mosca che ha invaso l'Ucraina ha scavato trincee e occupato, per settimane, la centrale dove il reattore spento è stato coperto da un sarcofago di cemento armato. Il 31 marzo scorso l'esercito russo ha evacuato la zona, ritirandosi insieme – sostiene l'Agenzia statale ucraina per la gestione della zona di esclusione – a 133 sostanze radioattive rubate dai laboratori di ricerca. Dove sono state portate e per farne cosa? Per ora tutto tace, pur lasciando all'Europa dubbi terrificanti.
In questi 36 lunghi anni si sono susseguite teorie, colpe, qualche chiarimento e parecchi segreti destinati a rimanere tali. La notte del 26 aprile 1986 durante l’esecuzione di un test di simulazione di guasto al sistema di raffreddamento del reattore numero 4, per un errore degli operatori, guidati dall’ingegnere Valerij Chodemchuk, due conseguenti esplosioni che provocarono l’immediata morte di 31 persone e fecero scoperchiare il tetto disperdendo nell’atmosfera grandi quantità di vapore contenente particelle radioattive. Le barre di uranio del nocciolo del reattore si surriscaldarono provocando la fusione del suo cuore e un'improvvisa ondata di energia che provocò un rilascio di radioattività duecento volte superiore alle bombe di Hiroshima e Nagasaki, il cui livello di incidenza sarà raggiunto solo da Fukushima nel 2011, venticinque anni dopo. In Giappone però, sebbene siano state coinvolte ben tre unità di reattore, i rilasci di radioattività sono stati un ordine di grandezza inferiori a quelli di Chernobyl e l’impatto radiologico dell’incidente di Fukushima è considerato molto basso se non irrisorio (si veda il sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità). In Ucraina negli anni Ottanta, invece, una nuvola di materiale radioattivo fuoriuscì dal reattore. La nube radioattiva si spostò velocemente e, dopo aver raggiunto nella notte del 26 aprile la Bielorussia, proseguì in Lituania e quindi nel Mar Baltico. Per molti giorni le autorità sovietiche negarono la portata della catastrofe, anche se un laboratorio di ricerche nucleari in Danimarca e i satelliti spia statunitensi avevano annunciato, già il 28 aprile, un “incidente di enorme portata”. Inoltre i soccorsi, per quanto imminenti, non furono all'altezza della portata dell'incidente e tutti gli operatori accorsi sul luogo in quei giorni morirono in poco tempo.
Le fiamme furono domate solo il 10 maggio, troppo tardi per evitare conseguenze drammatiche non solo per l'Ucraina ma per l'intero continente. Si cercò fin da subito una soluzione per smantellare il reattore distrutto: l'unica soluzione fu quella di racchiuderlo tramite un'opera di contenimento in bario, costruita già a partire dal novembre di quell'anno. Il “sarcofago” è stato poi completato nel 2016: una struttura ingegneristica unica, che racchiude l'impianto in una calotta costruita a distanza di sicurezza e traslata sopra il reattore, per evitare che qualunque essere umano si possa avvicinare al cuore pulsante di Chernobyl. Il livello di radioattività all’interno del reattore sarebbe tale da uccidere un essere umano entro pochi minuti.
Ma le scorie non si cancellano, e le conseguenze del disastro nucleare sono perdurate per anni. All'epoca 336 mila abitanti furono evacuati, troppo tardi a causa dell'omertà dei vertici sovietici, e portati in zone di rinsediamento senza mai più tornare alle loro case. Una macabra anticipazione del lungo esodo di tutti gli ucraini che dal 24 febbraio stanno fuggendo dalla loro terra assediata dai russi.
Nonostante l'esercito russo abbia lasciato Chernobyl, la situazione rimane “anomala”: il capo dell'Agenzia atomica dell'Onu (Aiea), Rafael Grossi, in occasione della visita all'area della centrale nel giorno dell'anniversario ha affermato che i valori radioattivi nella zona non sono nella norma, probabilmente proprio a causa degli scavi che le truppe di Putin hanno effettuato nel terreno per creare trincee e linee di difesa. L'ambiente circostante la centrale, ha aggiunto il numero uno dell'Aiea, è ancora minacciato dalle forze militari russe. Inoltre l'Alto rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell, ha richiesto agli uomini di Mosca di lasciare l'area ucraina di Zaporižžja, sulle sponde del fiume Dnepr, sede della più grande centrale atomica europea (e la quinta più grande al mondo), occupata dai russi dal 4 marzo scorso. La società energetica ucraina Energoatom oggi ha riferito che due missili da crociera hanno sorvolato l'impianto nucleare.
Certo, Zaporižžja non è Chernobyl. Come abbiamo raccontato qui, oggi i sistemi di sicurezza sono molto più sofisitcati. "I reattori dell'impianto sono protetti da robuste strutture di contenimento e vengono spenti in sicurezza", ha spiegato il segretario all'Energia americano Jennifer Granholm. La società che gestisce le centrali ucraine ha ribadito che queste sono progettate per resistere a incidenti aerei ed esplosioni esterne, terremoti, uragani e tornado. Gli edifici che contengono i reattori sono quindi sicuramente a prova di artiglieria terrestre: nessun razzo potrebbe farle saltare in aria. E nessun reattore può esplodere: è fisicamente impossibile. Neppure quello di Chernobyl, del resto, è andato incontro a una detonazione nucleare. Eppure la paura è ancora qui. Sembra passata un'eternità da quella notte di aprile dell'86, ma oggi risuona più vivida che mai.