Così l'Europa ha scoperto che bisogna combattere per la pace, ed è andata oltre la propria arroganza

La negazione della guerra, il sistema del business. Un libro profetico di Thibault Muzergues sulla possibile guerra in Europa

Giulia Pompili

La guerra d’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha colto gran parte dei cittadini europei di sorpresa. Il 24 febbraio scorso è stata una sveglia per un’Europa che fino ad allora aveva vissuto in quello che in psicologia viene definito come un tipico meccanismo di difesa: la negazione. “Gli europei vivono ancora lo stigma morale della Seconda guerra mondiale, che ha definito tantissimo della nostra vita moderna, inclusa la nostra idea di cosa sia giusto o sbagliato. Molte delle lezioni morali che abbiamo imparato sono effettivamente positive, altre sono completamente sbagliate”, dice al Foglio Thibault Muzergues, analista politico e direttore del programma europeo dell’International Republican Institute. “Tra le lezioni completamente sbagliate c’è quella di pensare che la pace possa preservarsi da sola. Perché in realtà essa ha bisogno di essere coltivata costantemente e, soprattutto, ogni volta che bisogna tenere a bada i nostri nemici sono necessarie la costruzione e la dimostrazione della forza. Si vis pacem para bellum, il vecchio adagio latino, è completamente scomparso dal nostro vocabolario strategico, e il risultato è che siamo stati colti di sorpresa dal ritorno della guerra in Europa, mentre nulla in questo ritorno è davvero sorprendente”. 


Muzergues ha appena pubblicato la versione inglese del suo libro “War in Europe? From Impossible War to Improbable Peace” (Routledge), un libro apparentemente profetico sulla possibilità di una guerra in Europa, che poi, mentre il volume andava in stampa per il pubblico anglosassone (era uscito in francese l’anno prima), è arrivata. “Non sono un profeta, anche se questo libro voleva essere una specie di avvertimento. Ho iniziato a scriverlo nel 2019, mentre mi trovavo nell’Ucraina orientale, a Izyum – proprio al confine con il Donbas. Da lì, già allora, si vedeva che questa parte d’Europa non era più in pace: prendendo il treno a pochi chilometri a est di Izyum si vedevano posti di blocco militari e persone in uniforme ovunque. La vera guerra era già in corso a pochi chilometri di distanza, nel Donbas, ma il resto dell’Ucraina era già in uno stato che nel libro chiamo di ‘non pace’: non era ancora del tutto guerra, ma già non era più pace”, spiega Muzergues. “Oggi Izyum è al centro della guerra di aggressione russa nell’Ucraina orientale. E ora siamo noi a essere finiti in uno stato di non pace: che ci piaccia o no, la realtà è che la Russia ci sta già minacciando, e sta addirittura attaccando con modalità ben al di sotto della soglia della guerra convenzionale. Abbiamo chiuso un occhio su questo e abbiamo fatto un bagno di realtà, e cioè che il nostro ambiente circostante è diventato molto più pericoloso e la guerra potrebbe tornare al cuore del continente europeo molto più velocemente di quanto potessimo mai immaginare”. 


Oltre al meccanismo di difesa della negazione, c’è un altro errore che hanno fatto gli europei negli ultimi decenni: “Immaginiamo la guerra di oggi come una versione moderna di ciò che era allora: enormi battaglie di carri armati, bombardamenti a tappeto dai cieli e la minaccia dell’Armageddon atomico. Il problema è che  negli ultimi settantacinque anni l’arte della guerra è cambiata, e lo vediamo in Ucraina: oggi la Russia può fare la guerra e devastare tutto pur senza l’uso delle armi nucleari, i militari usano i droni esattamente quanto usano i carri armati e gli aeroplani, e la guerra ha un aspetto cibernetico, una componente economica e anche informativa che purtroppo la maggior parte degli europei ignora completamente. Anche in questo caso, queste cose spiegano la nostra sorpresa per la guerra in Ucraina mentre – lo ripeto – nulla di quello che sta succedendo dovrebbe essere davvero così sorprendente”. 


 

Tra tutti i paesi europei, sono stati i paesi baltici e la Polonia quelli che più hanno manifestato preoccupazione, dopo il 2014, sulle reali intenzioni della Russia. Li abbiamo spesso ignorati pensando a una esagerazione della loro politica estera, eppure in molte cose non sbagliavano, anzi. Secondo Muzergues la colpa è dell’Europa occidentale, “e di un mix di arroganza, ignoranza e incredulità. Arroganza, perché gli ucraini e i baltici conoscono i russi fin troppo bene, per via della loro geografia e della loro storia, e in particolare conoscono la tendenza della Russia a cercare di invaderli ogni due decenni. Proprio perché erano paesi ‘nuovi’, in transizione, abbiamo deciso di minimizzare i loro avvertimenti perché pensavamo che essere più ricchi ci rendesse più intelligenti, e questo era chiaramente un errore”. Poi c’è il fattore ignoranza, “perché è vero che tutto ciò che è a est dell’ex cortina di ferro per molti di noi rimane misterioso, soprattutto per chi è cresciuto durante la Guerra fredda. Nel 1938, quando Hitler invase i Sudeti, Chamberlain disse ai britannici che non avrebbero dovuto morire ‘a causa di una lite in un paese lontano tra persone di cui non sappiamo nulla’. Avrei potuto sentire la stessa frase pronunciata da molti leader francesi, tedeschi o italiani prima del 24 febbraio, e lo sento ancora oggi da parte di alcuni!”. Infine, spiega Muzergues, “c’era una diffusa e autentica incredulità sul fatto che la guerra potesse essere davvero possibile in Europa: quando Putin ha ammassato il suo esercito al confine con l’Ucraina, la reazione quasi ovunque nel continente è stata di incredulità: ‘E’ semplicemente impossibile’ Questo perché eravamo arrivati ​​a pensare che la pace fosse uno stato naturale delle cose in Europa, mentre non esiste la pace naturale – e in realtà, tutto in Europa stava rendendo più probabile la guerra sul suolo europeo”.


Però c’è anche un’altra questione. Che è quella dell’opinione pubblica europea per anni influenzata da una certa propaganda pro Russia – e poi, in misura diversa, pro Cina. A oggi l’Italia è un caso di studio internazionale, con talk show in cui vengono invitati controversi personaggi pro Putin. “Russia e Cina hanno lavorato per molti anni sull’opinione pubblica e sulle élite dell'Europa occidentale”, dice Muzergues, “inondando con la disinformazione un pubblico mirato e allo stesso tempo utilizzando qualsiasi strumento, perfino la corruzione, per influenzare e cooptare le élite europee. E’ qualcosa che solo lentamente siamo arrivati ​​a capire”. Altrettanto spesso, dice lo studioso, i nostri avversari “hanno usato alcune delle nostre vacche sacre, come per esempio la libertà di espressione, per espandere la loro influenza corrosiva e per soffocare le voci che non erano d’accordo con loro”. Allo stesso tempo, mentre i propagandisti cinesi e russi facevano il loro lavoro, “l’occidente di certo non si copriva di gloria, specialmente negli ultimi vent’anni, dall’Iraq alla crisi finanziaria del 2008. E molti hanno deciso di accogliere apertamente questa influenza, pensando che l’occidente fosse finito. A volte è dovuto alla pura avidità, ovvero al guadagno economico. Altre volte perché alcuni di noi sono rimasti veramente colpiti dallo sviluppo della Russia, prima del 2014, o della Cina fino al 2020. Quando hai le tasche vuote e nuovi attori entrano nella stanza portando con loro valigette senza fondo, è facile rimanere affascinati, solo che quel fascino può trasformarsi rapidamente in una vera corruzione dei tuoi valori”. 


Nel libro “War in Europe” Muzergues definisce quello europeo del post Guerra fredda un periodo di “euforia”, in cui la politica è passata in secondo piano rispetto all’economia. Ma quel periodo è finito, “e il nostro errore è di non averlo visto in tempo. Oggi non abbiamo scelta, dobbiamo renderci conto che viviamo in un mondo pericoloso e che non siamo immuni dalle peggiori calamità, compresa la guerra. Ciò significa che non può esserci alcun ‘pilota automatico’ da inserire, e che i politici devono tornare in primo piano. Ovviamente ci sono dei pericoli in questo cambio di prospettiva, ma l’alternativa è che diventiamo il campo di battaglia di altre nazioni che ci useranno per giocare ai loro giochi di potere”.
 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.