I Gepard tedeschi e il sostegno militare all'Ucraina. Ecco il nuovo “arsenale della democrazia”
Ieri il capo del Pentagono Lloyd Austin e il suo omologo ucraino Oleksii Reznikov si sono ritrovati a Ramstein, in Germania. Gli Stati Uniti hanno impresso un’accelerazione, definendo il nuovo obiettivo: Putin non deve vincere, la Russia “deve uscire indebolita”
Milano. Smuoveremo mari e monti per aiutare l’Ucraina, ha detto ieri il capo del Pentagono Lloyd Austin, e poi si è rivolto al suo collega ucraino, Oleksii Reznikov: “Siamo qui grazie al coraggio degli ucraini”, che vengono uccisi e che subiscono la guerra della Russia per difenderci tutti. Austin aveva abbracciato Reznikov domenica durante la visita a Kyiv e la loro intesa, di gesti e di parole, era parsa un segnale rassicurante. Ieri si sono ritrovati nella base americana di Ramstein, in Germania, assieme agli alleati della Nato e ad altri paesi (in tutto quaranta) per decidere i dettagli di quello “smuoveremo mari e monti” con cui Austin ha aperto il vertice. Dalla settimana scorsa, gli Stati Uniti hanno impresso un’accelerazione al sostegno ucraino, definendo il nuovo obiettivo: Vladimir Putin non deve vincere questa guerra che ha scatenato senza ragione, la Russia “deve uscire indebolita”, ha detto Austin, da questo confronto. Soltanto così l’occidente potrà dimostrare al presidente russo che la stagione dell’impunità è finita, e l’unico modo per farlo è costruire “l’arsenale della democrazia” di rooseveltiana memoria. La Germania ha aperto la giornata annunciando l’invio di cinquanta carri armati antiaerei Gepard (non sono più in uso nell’esercito tedesco). Berlino si occuperà anche dell’addestramento di duecento soldati ucraini per l’utilizzo dell’artiglieria.
“L’Ucraina è convinta di poter vincere”, ha detto Austin, “e tutti noi qui siamo convinti della stessa cosa”, l’Ucraina “ha bisogno del nostro aiuto per vincere oggi e continuerà ad averne bisogno quando la guerra sarà finita”. Il generale americano Mark Milley, capo di stato maggiore, ha detto che “il tempo non è dalla parte dell’Ucraina”, ma “l’esito del conflitto dipende dalle decisioni che prenderanno le persone riunite in questa stanza”. Mentre gli americani guidavano questa nuova fase della guerra, il segretario generale dell’Onu, António Guterres, era a Mosca a parlare di corridoi umanitari e di possibilità di negoziare la pace. L’Ucraina ha accolto con enorme freddezza la trasferta onusiana: da tempo il presidente Volodymyr Zelensky dice di essere deluso dall’operato dell’Onu in questa guerra.
Secondo molti commentatori, l’azione diplomatica e quella militare vanno necessariamente in parallelo, ma certo è che la Russia ha preso in considerazione soltanto il vertice di Ramstein riempiendo di parole inutili Guterres su possibilità di pace inesistenti (Putin ha anche parlato al telefono con il turco Erdogan dicendogli che a Mariupol non ci sono più combattimenti, è caduta: fonti di Mariupol dicono che continuano i bombardamenti sull’acciaieria). Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha detto che la Nato sta facendo una “proxy war” in Ucraina e ha ribadito (ma lo fa da un po’) che la Russia è pronta a reagire contro l’occidente soprattutto se, come ha detto ieri Londra, ci saranno attacchi anche in territorio russo. Lavrov dice che non sottostima l’ipotesi di una guerra nucleare, definita “inaccettabile”, ma che in un conflitto “senza regole” il pericolo di una terza guerra mondiale si fa più serio.
I filoputiniani e chi pensa che siano l’Ucraina e l’occidente a non volere la pace hanno cavalcato rapidi la retorica di Lavrov così il vertice di Ramstein, organizzato per la difesa degli ucraini, è stato trasformato in una dichiarazione di guerra alla Russia, come se non fosse stata la Russia a dichiararla, iniziarla e combatterla brutalmente, questa guerra. La Cina che continua con la sua strategia cosiddetta dell’ambiguità ha dichiarato di essere contraria a una guerra nucleare, forse per dare un avvertimento, questa volta in modo più deciso, alla Russia. Il 29 dicembre del 1940, quasi un anno prima dell’attacco dei giapponesi a Pearl Harbor, Franklin Delano Roosevelt spiegò alla radio perché era necessario sostenere gli europei contro Hitler: “Dobbiamo essere il grande arsenale della democrazia”, disse, ci sono dei rischi, ma se saremo determinati questa sarà la nostra occasione per la pace.