editoriali
Un'altra condanna per la Signora San Suu Kyi
La giunta militare contro la resistenza birmana, che ha sempre più punti di contatto con quella ucraina
Ieri un tribunale birmano ha emesso la seconda sentenza nei confronti di Aung San Suu Kyi, che stava guidando il paese in una difficile transizione alla democrazia. Questa volta la Signora è stata ritenuta colpevole di corruzione ed è stata condannata a cinque anni. Nel precedente processo era stata condannata a sei anni per incitamento alla rivolta, violazione delle norme Covid e della legge sulle telecomunicazioni (era stata trovata in possesso di due walkie talkie). La attendono altri 11 processi con diverse accuse, ognuno dei quali prevede una pena massima di 15 anni. L’unica speranza è un “pentimento” del generale Min Aung Hlaing, il leader della giunta che nel febbraio 2021 ha deposto il governo democraticamente eletto e arrestato la Signora.
Il generale, infatti, sembra essersi arruolato nell’armata Brancaleone dei pacifisti: in un discorso televisivo andato in onda venerdì 22 aprile, ha proposto “un anno per la pace”. Suona come una grottesca compensazione per l’anno trascorso, in cui sono state uccise oltre 1700 persone, bambini compresi, nella repressione delle proteste e circa 13.000 sono state arrestate. Senza contare il numero impreciso di morti negli scontri tra l’esercito, le milizie etniche e i movimenti di resistenza. È per questo conflitto che il generale vuole la pace, almeno con le Ethnic armed organizations chiamate a colloqui per “porre fine alla guerra”.
Una guerra che il generale teme di non vincere. Almeno da quando i suoi alleati e sponsor russi hanno ben altre priorità e hanno bloccato ogni aiuto, mentre lui è stato costretto a “umiliarsi” rivolgendosi sempre più ai cinesi che sostengono diverse milizie, avevano stabilito buoni rapporti con Aung San Suu Kyi e lo trattano da idiota utile ma non troppo. Escluse dai dialoghi di pace, invece, le forze della resistenza, la People’s defense forces (Pdf), braccio armato del National Unity Government (Nug), un governo ombra costituito in clandestinità dopo il golpe e altre forze “partigiane”. Con loro il generale non vuole accordi, dato che il loro obiettivo è la caduta del regime militare e il ritorno alla democrazia. Del resto li ha dichiarati “gruppi terroristi” che verranno “annichiliti”.
Con le milizie etniche, invece, Aung Hlaing potrebbe accordarsi, concedendo maggiori autonomie locali, e lasciando mano libera ai vari signori della guerra e della droga. La sua proposta, tuttavia, è arrivata troppo tardi: i rappresentanti dei gruppi etnici armati, che si sentono sempre più forti, non si fidano di lui e prima di ogni trattativa esigono il ritiro dei soldati dai loro territori e la cessazione di ogni attività militare. Sino ad ora, infatti, Tatmadaw, l’esercito birmano, ha adottato la stessa tattica dei russi in Ucraina: terra bruciata, bombardamenti, deportazioni. “Stanno cercando di rendere sempre più miserabile la vita delle popolazioni locali”, ha dichiarato un miliziano. Il paragone con l’Ucraina non è dovuto solo a questa tragica coincidenza di stragi, asimmetrie di forze, violenza contro la popolazione civile, o alle paranoiche minacce di annientamento. E’ voluto dalla stessa resistenza birmana che, pur lamentandosi di essere stata dimenticata, affianca le bandiere giallo-blu a quelle rosse col pavone dorato della National League for Democracy, il partito di Aung San Suu Kyi.
Forse per un’ideale sentimento di fratellanza nelle armi. Forse nella speranza di ricordare così la resistenza birmana. In ogni caso i birmani stanno dimostrando che la resistenza, per essere efficace, deve essere armata. Lo hanno fatto i “partigiani” delle grandi città da dove stanno scappando le famiglie dei militari e dei poliziotti, gli alti ufficiali, i collaborazionisti. Terrorizzati dagli attentati, cercano rifugio a Naypyitaw, la nuova capitale costruita come un bunker dalla precedente giunta militare. Cominciano a comprendere che cosa significhi la paura. Mentre l’indomabile Signora continua a essere “libera dalla paura”.
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