La via dei despoti

Come i tiranni stanno reinventando la politica nel ventunesimo secolo

Maurizio Stefanini

Il potere si prende la rivincita a colpi di populismo, polarizzazione e post verità. A cosa puntano i nuovi autocrati secondo Moisés Naím

Dalla fine del potere, alla rivincita del potere. Anzi, di un potere sempre più autoritario, che rischia di distruggere anche le democrazie più mature a colpi di “3 P”: populismo, polarizzazione, post verità. E’ questa l’inquietante parabola su cui Moisés Naím ha dato l’allarme in due libri. Il primo del 2013: “The End of Power: From Boardrooms to Battlefields and Churches to States, Why Being In Charge Isn’t What It Used to Be”. Titolo con cui fui pubblicato in italiano: “La fine del potere: Dai consigli di amministrazione ai campi di battaglia, dalle chiese agli stati, perché il potere non è più quello di un tempo”. Il secondo, che viene 9 anni dopo, è “The Revenge of Power: How Autocrats Are Reinventing Politics for the 21st Century”. La traduzione letterale del titolo in italiano sarebbe “La rivincita del potere: Come gli autocrati stanno reinventando la politica nel secolo XXI”. “Ma in italiano uscirà a ottobre, per Feltrinelli”, ci dice Naím. In inglese è uscito subito prima dello scoppio della guerra, giusto? “Il 22 febbraio questo libro è uscito sul mercato. Il 24 c’è stata l’invasione”. 


In effetti nel testo è dedicato molto spazio a Putin. Nel primo capitolo, sulla “Guerra globale contro i pesi e contrappesi”, è indicato come uno dei massimi esempi di leader che cambiano le Costituzioni a gogò per eternarsi al potere, come Hugo Chávez o Evo Morales. Nel capitolo 3, “Strumenti del potere”,  si spiega che “la Russia di Vladimir Putin fornisce un esempio illustrativo dell’uso del denaro come strumento di potere”. Nel capitolo 7, “Il Potere dopo la Verità”, la “fabbrica dei troll” di Putin è indicata come il massimo esempio di una tecnica di informazione che sfrutta il moderno potere dei social non tanto per affermare verità alternative quanto per seminare il dubbio su tutto, attraverso lo spargere una ridda di voci anche in contraddizione tra di loro. 
Nello stesso capitolo si ricordano anche quegli attentati del 1999 che furono attribuiti ai ceceni e che Litvinenko rivelò invece come farina del sacco di Putin: motivo per cui fui avvelenato. E da allora la politica della “false flag” è stata un po’ una costante del presidente russo. Nel capitolo 8, “Stati mafiosi, Governi criminali”, si ricordano le teorie di Charles Tilly e Mancur Olson sullo stato che nascerebbe come sorta di struttura mafiosa che riesce a imporsi sul territorio e che poi evolve fino ad arrivare con lo stato di diritto democratico a tutelare tutti, per presentare Putin come massimo esempio di un tipo di autocrate che opera per ritrasformare lo stato in struttura mafiosa. Ma soprattutto nel capitolo 9, “Gli Autocrati 3P diventano globali”, il tipo di tattica a base di post verità utilizzato da Putin per occupare Crimea e Donbas con soldati russi mascherati da separatisti locali è un minaccioso annuncio di quello che appunto stiamo ora vedendo. Quello che è successo è una conferma o c’è nel libro qualcosa da aggiungere o da cambiare? “E’ un modello estremo, ma gli estremi illustrano molto bene ciò che ho voluto dire. Putin è un esempio chiarissimo di quello che ho definito Autocrate 3 P: così come del resto Trump”.


Naím ce lo dice in un buon italiano, anche se con un certo accento chiaramente yankee. Pur essendo perfettamente a cavallo tra cultura anglosassone e ispanica, infatti, è nato nel 1952 in Libia da una famiglia ebraica in cui il padre era rappresentante delle Assicurazioni Generali di Venezia e partner locale di importanti compagnie italiane, mentre la madre gestiva una scuola per l’infanzia nel quartiere ebraico. Minacciati dal crescente antisemitismo vennero in Italia quando lui aveva 4 anni, per poi trasferirsi in Venezuela. Studiò alla Universidad Metropolitana di Caracas, prese poi master e dottorato al Mit di Boston, fu tra 1977 e 1988 docente di Economia e direttore accademico dell’Instituto de Estudios Superiores de Administración (Iesa) in Venezuela, per poi diventare tra 1989 e 1990 ministro del Commercio e dell’Industria in Venezuela. In seguito direttore della rivista Foreign Policy dal 1996 al 2010, poi dal 2011 regista e presentatore di un programma tv che si chiama  “Efecto Naím” e che è visto in tutta l’America Latina, Premio Ortega y Gasset, già direttore esecutivo della Banca Mondiale, oggi membro del Carnegie Endowment for International Peace, è considerato tra i 100 pensatori più influenti al mondo. Ma la sua pur breve permanenza al governo è essenziale per entrambi i libri che descrivono questa parabola del potere.


Naím racconta infatti che la sensazione centrale nella sua esperienza di ministro fu quella di non essere in grado di determinare niente. Il libro del 2013 spiegava dunque come il potere stava diventando più debole ed effimero: più facile da conquistare, ma più difficile da esercitare e più semplice da perdere. In teoria, la contrapposizione tra micropoteri ed establishment potrebbe avere effetti virtuosi: il rovesciamento di tiranni; l’eliminazione dei monopoli. Ma in pratica può anche semplicemente condurre al caos e alla paralisi. Mentre nel 1977, ad esempio, ben 89 paesi erano governati da autocrati, nel 2013 oltre la metà della popolazione mondiale viveva in regimi democratici. E poi nella seconda metà del 2010, i primi dieci fondi speculativi del mondo avevano registrato profitti superiori a quelli complessivi delle sei banche più importanti. Altre tendenze: gli amministratori delegati sottoposti a maggiori vincoli e in carica per un periodo più breve rispetto ai loro predecessori; moderni strumenti di guerra più economici e accessibili, tanto che pure gruppi come Hezbollah possono permettersi di acquistare droni. Chi deteneva il potere cercava di conservarlo erigendo imponenti barriere, che però gli oppositori riuscivano a smantellare più rapidamente e facilmente che mai. Salvo poi scoprire, una volta conquistato il potere, la loro stessa vulnerabilità.


Da qui, però, la frustrazione. Non solo dei governanti, ma anche dei governati: per l’impossibilità di vedere mantenute le promesse elettorali; e per la generale sensazione di essere abbandonati, di fronte a problemi di insicurezza sul proprio status che l’accelerazione dell’innovazione tecnologica tendeva a aumentare. “Colpa del neoliberalismo che dopo il 1989 ha imposto l’ideologia del laissez faire, laissez passer”, era una popolare critica, che è nata a sinistra, ma ha poi debordato anche a destra. In realtà, la difficoltà della politica era piuttosto determinata dalla complessità crescente dei problemi, e da una loro natura sempre più globale che i governi nazionali non possono affrontare: da cui la nascita del sovranismo, nell’illusione che questa globalizzazione dei problemi si possa affrontare col semplice ripristino delle frontiere. Proprio il governo di cui Naím aveva fatto parte fu vittima di uno di questi tentativi di reazione, quando Chávez provò a fargli contro un colpo di stato. 


“The Politics of Fandom” è il titolo del capitolo 2. Il tema è appunto quello di un nuovo tipo di leader che si modella sulle star della tv o del cinema o della canzone o dello sport, e i cui seguaci assomigliano appunto più a tifosi o fan che non ai militanti politici tradizionali. Naím a un certo punto vi racconta: “Sono cresciuto in Venezuela e l’esperienza di vedere Chávez trasformare la sua fama in potere e il suo potere in celebrità mi ha segnato. Ecco perché, per me, l’ascesa di Trump è stata sconcertante. Ho guardato il circo che ha travolto la politica Usa nel 2016 con un orrore soffuso nel nel déjà vu. Gli istrionismi, le risposte facili, le denunce furiose da un’élite nebulosa che si è accorta troppo tardi del pericolo… Io lo avevo già visto questo film prima. Solo che mai in inglese”. Non a caso, subito dopo l’elezione di Trump, Naím scrisse il soggetto per una serie che nel 2017 raccontò la vita dello stesso Chávez in 102 puntate per una tv colombiana. 


In quell’occasione gli avevamo fatto un’intervista per il Foglio, in cui gli avevamo chiesto se non fosse proprio la fine del potere all’origine dell’ondata populista. Riportiamo la risposta di allora: “Probabilmente è così. La gente vuole un potere che risolva le cose, vuole protezione, vuole sentire che c’è qualcuno in carica, vuole sentire che c’è qualcuno che sta facendo i loro interessi. E per questo si affida ai Trump, che però alla fine non riescono a fare niente neanche loro”.


Non sappiamo se sia stata questa domanda la fonte di ispirazione, ma quest’ultimo libro si muove esattamente lungo questa linea di analisi. Proprio dell’affannosa richiesta di un potere in grado di decidere stanno approfittando aspiranti autocrati che sono ormai quasi tutti eletti in democrazia, ma si adoperano poi per smantellarla. “Sono spesso innovatori che non solo utilizzano nuovi strumenti ma seguono anche un copione molto differente. Le loro innovazioni politiche hanno profondamente alterato il modo in cui il potere è conquistato e mantenuto nel Ventunesimo secolo”. “Una forma di potere limitata e contingente non basterà a soddisfare aspiranti autocrati che hanno imparato a sfruttare tendenze come migrazioni, precarietà economica del ceto medio, politica identitaria, le paure suscitate dalla globalizzazione, il potere dei social media, e l’avvento dell’intelligenza artificiale. In tutte le aree geografiche e in ogni sorta di circostanza hanno dimostrato di volere il potere senza vincoli, e lo vogliono per sempre. Questi aspiranti autocrati devono affrontare una nuova serie di opzioni e hanno nuovi set di strumenti che possono utilizzare per rivendicare un potere illimitato. Molti di questi strumenti non esistevano solo pochi anni fa. Altri sono vecchi ma si combinano in modi nuovi con tecnologie emergenti e nuove tendenze sociali per diventare molto più potenti di quanto non lo siano mai stati prima. Ecco perché, negli ultimi anni, abbiamo assistito al successo di una nuova razza di cercatori di potere: leader non convenzionali che hanno assistito al decadimento del potere tradizionale e si sono resi conto che un approccio radicalmente nuovo poteva aprir loro opportunità finora non sfruttate. Sono sorti in tutto il mondo, dai paesi più ricchi ai più poveri, dai più istituzionalmente sofisticati ai più arretrati. Abbiamo in mente qui Donald Trump, ovviamente, ma anche il venezuelano Hugo Chávez, l’ungherese Viktor Orbán, Rodrigo Duterte delle Filippine, Narendra Modi dell’India, il brasiliano Jair Bolsonaro, il turco Recep Tayyip Erdogan, Nayib Bukele di El Salvador e molti altri”. 


Sempre il capitolo 9 osserva che “dei venticinque paesi più popolosi della terra, quattro sono autocrazie che non si reggono sulla base di strategie 3 P (Cina, Egitto, Vietnam e Thailandia) e altri dieci hanno visto leader salire al potere attraverso il dispiegamento di populismo, polarizzazione, e post-verità: India, Stati Uniti, Brasile, Russia, Messico, Filippine, Turchia, Iran, Regno Unito e Italia”. “Questi nuovi autocrati hanno sperimentato nuove tecniche per guadagnare potenza illimitata e poi mantenerla il più a lungo possibile. Il loro obiettivo finale, non sempre raggiungibile ma sempre oggetto di una dura lotta per ottenerlo, è il potere per la vita. Qualsiasi tendenza che indebolisca il loro potere è considerata una minaccia”. “Questi leader si stanno adattando al nuovo panorama, improvvisando nuove tattiche e riprogettando quelle vecchie per aumentare la loro capacità di imporre la loro volontà sugli altri. Nonostante l’enorme importanza nazionale, culturale, differenze istituzionali e ideologiche tra i paesi in cui sorgono, i loro copioni sembrano stranamente simili. Il presidente del Brasile Jair Bolsonaro e il messicano Andrés Manuel López Obrador, per esempio, non potrebbe essere più ideologicamente diversi, né più simili nel loro stile di leadership. Il piccolo, impoverito e arretrato El Salvador e la massiccia e sofisticata superpotenza degli Stati Uniti non potrebbero essere più diversi come paesi, ma Nayib Bukele e Donald Trump governavano con un copione stranamente simile”. 


La formula per questi personaggi è appunto riunita in tre P: “leader politici che raggiungono il potere in modo ragionevole con elezioni democratiche e poi smantellano i controlli al potere esecutivo attraverso il populismo, la polarizzazione e la post-verità”. 
“In realtà, sono tendenze che esistevano da prima”, ci spiega Naím. “Ma nel XXI secolo hanno acquisito una potenza senza precedenti”. “Il populismo si confonde con frequenza con una ideologia, ma in realtà i populisti possono essere di destra e di sinistra. Di paesi sviluppati ricchi e di paesi sottosviluppati poveri. Non è dunque una ideologia ma una maniera di acquisire il potere basata sul vecchio adagio del divide et impera. C’è un popolo nobile – di cui l’aspirante autocrate si offre come protettore – vittima di una élite vorace. Il populismo, sempre esistito, è amplificato da una polarizzazione che pure è sempre esistita. La stessa democrazia si basa su un conflitto tra idee diverse. Ma adesso le idee stanno venendo sostituite dalle identità: di genere, di sessualità, di politica, di religione, di punti di vista differenti sulla globalizzazione, sull’immigrazione, sulla razza. Non c’è più un paese con molte componenti ma tribù l’una contro l’altra armate. E la post-verità accentua populismo e polarizzazione. Anche la propaganda è sempre esistita, ma con i social acquisisce una potenza senza precedenti”. Si insiste molto in questo momento sul ruolo della Russia nella post-verità… “Ma una cosa del genere l’avevano già fatta le società Usa produttrici di sigarette negli anni 50 e 60, per controbattere le crescenti evidenze sui danni del fumo”. E’ a causa del fatto che la politica non riesce più a risolvere i problemi che l’identità prende il posto dei programmi? “Esattamente. Di fronte all’insicurezza, si cerca un rifugio in un’identità tribale”. 


Putin ha però creduto talmente tanto alla sua stessa propaganda che è caduto in una trappola. Anche il regime cinese, a furia di credere alla sua stessa propaganda di avere il metodo vincente per risolvere il Covid, si trova ora con il lockdown a Shanghai e Pechino. Non è che alla fine la post-verità si ritorce contro chi la pratica? “Sì. Però poi le autocrazie hanno un loro modo autoritario per risolvere il problema. Lo abbiamo visto con la repressione in Russia contro chi protestava per la guerra.  Io ho poi una preoccupazione, che è la combinazione di un mondo colpito dall’inflazione e con dubbi sulla democrazia. Questa è un’epoca in cui la grande maggioranza della popolazione sul pianeta non ha mai conosciuto l’inflazione, e in cui ci sono enormi dubbi sulla capacità della democrazia di risolvere i problemi quotidiani della gente. La combinazione fra le due cose può far saltare qualche democrazia e rendere più difficile la difesa delle altre!”.