Sul fronte
A Lyman la guerra uccide e spacca le famiglie dal 2014. Reportage da una città isolata tra Russia e Ucraina
Nei rifugi si aspettano le munizioni occidentali, ma i soldati russi potrebbero arrivare prima. In questa zona del Donbas il sentimento prevalente è la stanchezza: "L'unica cosa che mi interessa è che non ho più niente"
Severodonetsk, Donbas. Lyman è una città di ventimila abitanti dove ne sono rimasti la metà perché qui il rumore dell’artiglieria russa e di quella ucraina non si placa mai per più di dieci minuti. E’ sulla linea del fronte dell’offensiva nel Donbas e i russi, scendendo da nord, sono arrivati a dodici chilometri dalle abitazioni. Per raggiungere la città bisogna passare dalla parte opposta e usare l’unico ponte stradale ancora intatto, i carri armati ucraini lo percorrono in senso inverso per riposizionarsi mentre le auto civili sono poche e sfrecciano.
La guerra, in questa questa zona del Donbas, non fa lo stesso effetto che nel resto del paese: dura da otto anni e il sentimento prevalente è la stanchezza. Nel giugno del 2014 la città era già stata occupata per qualche giorno dai separatisti, e quando era stata liberata una piccola parte della popolazione se n’era andata con loro a Luhansk. Oggi nella casa di Yura la cucina è un cumulo di pezzi di cemento, lamiera, asciugamani e stoviglie, nel salotto il tetto è bucato e una parete è messa di traverso in mezzo alla stanza: “Non mi interessa se sono stati i russi o gli ucraini, possono essere stati anche i cinesi, l’unica cosa che mi interessa è che non ho più niente”. L’ex moglie di Yura vive in Russia con la figlia, invece il figlio maschio si è arruolato nell’esercito ucraino. Questa guerra, per lui, è anche una lite di famiglia che sta diventando una spaccatura: mentre parla non si espone e cerca di tenere insieme i pezzi dell’unica cosa che gli rimane.
Duecento metri oltre casa sua, sulle scale che portano a un negozio chiuso, c’è Natasha che fuma e chiacchiera come se i colpi non li sentisse. Racconta di avere una sorella che vive in Russia e un’altra nell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk: non vuole raggiungere nessuna di loro e sua madre, che ha ottantasei anni, non lascerebbe Lyman e l’Ucraina per niente al mondo. Non vuole raggiungerle ma non saprebbe dove altro andare se cominciassero i combattimenti strada per strada – ha paura che sia una questione di giorni. Mentre ne parla un colpo d’artiglieria arriva troppo vicino ed è accompagnato dal sibilo di un missile che poi precipita vicino all’unico ponte rimasto, si cerca riparo nel primo bunker che si trova. Dentro ci abitano diciassette persone che – nella notte tra sabato e domenica – hanno fatto gli scatoloni e hanno trasferito le loro cose dagli appartamenti ai piani alti ai cunicoli nei sotterranei. “Quella notte è stata la peggiore di sempre, a mezzanotte è venuto giù un palazzo e siamo scesi nelle cantine, alle quattro di mattina il rumore era così forte che ti facevano male le orecchie anche da qui sotto”.
Una volta usciti, la prima cosa che si incontra è un edificio del comune appena distrutto, nell’ingresso si vedono le fiamme e dall’alto sale il fumo. Lyman è ancora sotto il controllo ucraino, la polizia ogni giorno porta i pacchi con la pasta, il tè e la carne in scatola per tutti quelli che sono rimasti – ma i russi sono molto vicini e la loro artiglieria è più potente. La strategia ucraina è riposizionarsi e lasciarli avanzare di poco, lentamente e causando il maggior numero di perdite mentre si aspettano i rinforzi, i carichi di munizioni e gli obici occidentali. E’ il miglior modo per affrontare questa fase, ma significa che i soldati russi in giro per Lyman nell’arco di pochi giorni non sono solo una preoccupazione di Natasha.