Nell'élite russa iniziano a vedersi le prime crepe

Catherine Belton e Greg Miller

Le linee di divisione tra le fazioni stanno diventando sempre più marcate, e alcuni magnati – specialmente quelli che hanno fatto le loro fortune prima che il presidente Vladimir Putin andasse al potere – c'è chi parla, anche se timidamente, chi è scappato e chi non può

Nei due mesi da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, il silenzio, e persino l’acquiescenza dell’élite russa ha iniziato a dare segni di cedimento. Nonostante i sondaggi riportino un sostegno pubblico schiacciante nei confronti della campagna militare, mentre la propaganda statale è sempre più dilagante e compaiono nuove leggi che vietano di criticare la guerra, iniziano a vedersi le crepe. Le linee di divisione tra le fazioni dell’élite economica russa stanno diventando sempre più marcate, e alcuni magnati – specialmente quelli che hanno fatto le loro fortune prima che il presidente Vladimir Putin andasse al potere – hanno iniziato, timidamente, a parlare.  Per molti l’obiettivo più immediato è stata la loro stessa disgrazia. Le dure sanzioni imposte dall’occidente hanno fatto calare una nuova cortina di ferro sull’economia russa, congelando decine di miliardi di dollari dei beni di molti magnati. “In un giorno, hanno distrutto ciò che è stato costruito in molti anni. E’ una catastrofe”, ha detto un uomo d’affari che è stato convocato insieme a molti degli uomini più ricchi del paese per incontrare Putin il giorno dell’invasione. Giovedì poi la Casa Bianca ha dato un colpo ulteriore agli oligarchi, annunciando la proposta di liquidare i loro beni e donare il ricavato in Ucraina.

 

Almeno quattro degli oligarchi che sono diventati grandi nell’èra più liberale del precedessore di Putin, il presidente Boris Eltsin, hanno lasciato la Russia. Almeno quattro alti funzionari si sono dimessi dai loro incarichi e hanno lasciato il paese, il più alto in grado tra loro è Anatoly Chubais, l’inviato speciale del Cremlino per lo sviluppo sostenibile e lo zar delle privatizzazioni dell’èra Eltsin. Ma coloro che occupano le posizioni più alte, vitali per la continuazione della gestione del paese, rimangono, alcuni intrappolati, incapaci di andarsene anche se lo volessero. In particolare, il mite e stimato capo della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, ha presentato le sue dimissioni dopo l'imposizione delle sanzioni occidentali, ma Putin ha rifiutato di lasciarla andare, secondo cinque persone informate sui fatti. Nelle interviste, diversi miliardari russi, banchieri di alto livello, un alto funzionario ed ex funzionari, parlando a condizione di anonimato per paura di ritorsioni, hanno descritto come loro e altri sono stati accecati dal loro presidente sempre più isolato e si sentono in gran parte impotenti a influenzarlo perché la sua cerchia interna è dominata da una manciata di funzionari della sicurezza della “linea dura”. Le lamentele espresse in pubblico finora sono per lo più tenui e si concentrano principalmente sulla risposta economica proposta dal governo alle sanzioni imposte alla Russia dall'occidente. Nessuno ha criticato direttamente Putin.

 

Vladimir Lisin, un magnate dell'acciaio che ha fatto la sua fortuna negli anni di Eltsin, ha sbattuto una proposta nel parlamento russo per contrastare le sanzioni costringendo gli acquirenti stranieri a pagare in rubli per una lista di prodotti di base oltre al gas. In un'intervista con un giornale di Mosca, ha detto che la misura rischia di minare i mercati di esportazione per i quali la Russia "ha combattuto per decenni", avvertendo che "un trasferimento ai pagamenti in rubli ci porterà solo ad essere buttati fuori dai mercati internazionali". Vladimir Potanin, il proprietario dell'impianto metallurgico Norilsk Nickel che è stato un architetto delle privatizzazioni della Russia negli anni Novanta, ha avvertito che la proposta di confiscare i beni delle aziende straniere che hanno lasciato la Russia sulla scia della guerra distruggerebbe la fiducia degli investitori e riporterebbe il paese alla rivoluzione del 1917. Oleg Deripaska, un magnate dell'alluminio che ha anche lui fatto la propria fortuna iniziale durante l'èra Eltsin, si è spinto oltre, chiamando la guerra in Ucraina "follia", anche se anche lui si è concentrato sui costi economici dell'invasione. Ha previsto che la crisi economica risultante dalle sanzioni sarebbe tre volte peggiore della crisi finanziaria del 1998 che ha scosso l'economia russa, e ha lanciato il guanto di sfida al regime di Putin, dicendo che le sue politiche di capitalismo di stato degli ultimi 14 anni non hanno "portato né alla crescita economica né alla crescita dei redditi della popolazione”. In un successivo post sul suo canale Telegram, Deripaska ha scritto che l'attuale "conflitto armato" è "una follia di cui ci vergogneremo a lungo". Nella frase successiva, tuttavia, ha indicato che l'occidente è ugualmente da biasimare per una "infernale mobilitazione ideologica da tutte le parti”.

 

Quando 37 dei più ricchi dirigenti d’azienda di tutta la Russia sono stati chiamati al Cremlino per l’incontro con Putin ore dopo aver lanciato la guerra, molti di loro erano depressi e scioccati. “Eravamo tutti di pessimo umore”, ha detto un partecipante. “Eravamo tutti seduti lì schiacciati”. “Non li avevo mai visti così storditi”, ha detto un altro partecipante. “Alcuni di loro non riuscivano nemmeno a parlare”.  Erano rimasti ad attendere, come al solito, per più di due ore prima che che il presidente apparisse nella ornata sala Ekaterininsky del Cremlino, un tempo sufficiente per pensare al loro destino. Per alcuni dei dirigenti, mentre discutevano tranquillamente delle conseguenze della guerra di Putin, è stato il momento in cui hanno capito che per gli imperi commerciali che avevano costruito da quando la transizione del mercato russo è iniziata più di 30 anni fa era tutto finito. “Alcuni di loro hanno detto: ‘Abbiamo perso tutto’”, ha detto uno dei partecipanti. Quando il presidente è arrivato, nessuno ha osato emettere un lamento di protesta. Con la faccia di pietra, hanno ascoltato Putin assicurare tutti che la Russia sarebbe rimasta parte dei mercati globali – una promessa presto resa vuota dalla serie di sanzioni occidentali – e dire loro che non aveva altra scelta che lanciare la sua “operazione militare speciale”. Da allora, Putin ha aumentato le minacce contro chiunque critichi la guerra, emanando frettolosamente nuove leggi che includono una potenziale condanna a 15 anni di prigione per chiunque dica qualcosa che il Cremlino ritiene falso sull'esercito russo. La sua Amministrazione ha proposto di istituire un nuovo sistema di deputati nei ministeri russi tenere al corrente il Cremlino del “clima emotivo e l’umore”. Un magnate ha detto che si aspetta che il prossimo giro di vite sia "cannibalistico" rispetto al "periodo vegetariano" degli anni precedenti. La decisione di Putin di lanciare un’invasione su larga scala sembra aver sbalordito non solo i miliardari, ma l'ampiezza dell'élite russa, compresi gli alti funzionari tecnocratici e alcuni membri dei servizi di sicurezza, secondo due dei miliardari russi e un ex funzionario statale di Mosca ben introdotto. “A parte quelli direttamente coinvolti nei preparativi, il ministro della difesa Sergei Shoigu, il capo dello stato maggiore dell’esercito Valery Gerasimov, e alcuni del Fsb, nessuno sapeva”, ha detto uno dei miliardari.

 

Nonostante l’escalation di avvertimenti da parte dell'intelligence statunitense, molti nell'élite di Mosca hanno creduto che Putin stesse limitando i suoi obiettivi alle aree separatiste dell'Ucraina orientale. I funzionari economici e finanziari "pensavano che si sarebbe limitato all’azione a Donetsk e Luhansk e questo è ciò per cui si erano preparati", ha detto l'alto funzionario. Si erano preparati per le sanzioni occidentali, compresa una sospensione da Swift, il sistema internazionale di messaggistica finanziaria, ha detto, "ma non si erano preparati per questo”. Con le perdite che aumentano e le truppe russe costrette a tornare indietro da Kyiv, la guerra è ora vista con crescente sgomento non solo dai miliardari sanzionati dall’occidente, ma anche da alcuni membri dell'establishment della sicurezza, secondo due persone a conoscenza della situazione. Uno si riferiva in particolare a Shoigu, che ha preso parte ai preparativi della guerra. “Tutti loro vogliono avere una vita normale. Hanno case, figli, nipoti. Non hanno bisogno della guerra”, ha detto. “Non sono tutti suicidi. Vogliono tutti avere una vita serena. Vogliono che i loro figli abbiano tutto e possano viaggiare nei posti migliori”. La pressione crescente sui loro conti bancari esteri è una fonte di particolare rammarico per l'élite. Uno dei dirigenti di Mosca ha detto che anche i funzionari che hanno cercato di proteggersi spostando il loro denaro in conti appartenenti a partner commerciali ora scoprono che questi conti sono bloccati.

 

Le sanzioni occidentali per congelare 300 miliardi di dollari – o quasi la metà – delle riserve di valuta forte della Banca centrale russa hanno lasciato Mosca in difficoltà, compresa la governatrice della banca centrale Nabiullina, il cui tentativo di dimissioni è stato respinto da Putin, secondo le cinque persone a conoscenza dei fatti. (Bloomberg ha riportato per primo il suo tentativo di dimettersi). Nabiullina “sa bene che non può semplicemente andarsene. Altrimenti, finirà molto male”, ha detto una di queste persone. "Nessuno può dire 'Questo è tutto' e poi sbattere la porta", ha detto Vadim Belyaev, l'esiliato ex proprietario principale di Otkritie, la più grande banca privata della Russia fino alla sua acquisizione da parte dello stato nel 2017. “Tutti continueranno a lavorare fino al prossimo tribunale dell’Aia”, ha detto, riferendosi a un possibile processo per crimini di guerra. La Banca centrale ha negato che Nabiullina abbia cercato di dimettersi. Solo i funzionari superflui alla gestione dello stato – e sono relativamente estranei – sono stati autorizzati a dimettersi. "Nessun ministro è autorizzato a dimettersi", ha detto Maxim Mironov, professore associato all'Università Ie in Spagna. “E' come la mafia”. Se Nabiullina incarna gli alti funzionari tecnocratici di Mosca, allora Alexei Kudrin è quello più vicino a Putin. Kudrin, un ex membro della cerchia ristretta di Putin a San Pietroburgo che ha servito come ministro delle Finanze per i primi due mandati della sua presidenza,  sembra figurare anche lui tra coloro che non possono dimettersi. Una persona vicina a Kudrin ha detto che ha incontrato Putin un mese prima dell’invasione. Anche se era chiaro che i preparativi per la guerra fossero in corso, Kudrin aveva creduto che quei piani non sarebbero stati eseguiti. “Contava sul fatto che le cose non sarebbero arrivate a questo punto", ha detto un persona informata sui fatti.

 

Kudrin – che ora dirige la camera dei Conti, il cane da guardia finanziario della Russia – ha detto agli alleati che sarebbe stato un tradimento da parte sua andarsene per sempre. Era apparso a Tel Aviv il fine settimana del 9 aprile, ma poi è comparso sui social media per annunciare a tutti la sua intenzione di tornare a Mosca per parlare alla camera alta della Russia la settimana successiva. Ha tenuto il suo discorso secondo i piani, avvertendo che le sanzioni occidentali stavano facendo effetto sull’economia della Russia con la peggiore recessione degli ultimi 30 anni. Un altro ex alto funzionario di stato ha affermato di sentire la responsabilità di rimanere a Mosca, anche se è stato preso alla sprovvista ed è inorridito dalla guerra. “Se tutti se ne vanno, chi sarà qui a raccogliere i pezzi”, ha detto. “E' come lavorare in una centrale nucleare. Chi la gestirà se te ne vai? Se te ne vai, c’è la possibilità che possa esplodere”. Tra i miliardari che hanno lasciato la Russia subito dopo l'invasione molti sono diventati ricchi durante l'èra Eltsin, tra cui Alexander Mamut e Alexander Nesis, che possiedono l’azienda d’oro russa Polymetal, e Mikhail Fridman e Petr Aven del gruppo Alfa. Ma molti altri magnati sono scappati a Mosca non appena sono stati colpiti dalle sanzioni, che hanno impedito loro di viaggiare in occidente. Altri dirigenti d'azienda temono che se lasciassero la Russia, le loro aziende sarebbero sequestrate dal governo. Alcuni dei miliardari ora bloccati a Mosca cercano solo di uscirne indenni. “Potete non sostenere la guerra ma dovete stare zitti e stare con i vostri connazionali perché alcuni dei vostri soldati stanno morendo”, ha detto una persona vicina a uno dei miliardari presenti alla riunione del Cremlino del 24 febbraio. “Se vivete in Russia, potete non essere felici. Nessuno è felice di quello che sta succedendo: ma non esprimete la vostra opinione”. I miliardari che sono stati disposti a parlare pubblicamente sono quelli che hanno memoria di un’epoca diversa; hanno fatto le loro prime fortune negli anni di Eltsin, prima che Putin diventasse presidente.

 

Sergei Pugachev, un insider del Cremlino fino al 2012, quando ha lasciato la Russia, ha sottolineato che questi miliardari erano ancora attenti a non criticare direttamente Putin nei loro commenti pubblici per la scelta di andare in guerra. “Quello che dicono è tenue: il contesto è che la colpa è dell'occidente, della Nato... Ne parlano come se fosse una cospirazione contro la Russia", ha detto. Mentre, quelli più vicini a Putin, che sono di San Pietroburgo e sono diventati favolosamente ricchi dopo la sua ascesa alla presidenza, come Gennady Timchenko, Yury Kovalchuk e Arkady Rotenberg, sono risolutamente silenziosi. Loro "non andrebbero mai contro Putin. Hanno iniziato con Putin, e lui li ha resi straricchi. Perché dovresti mordere la mano che ti nutre?", ha detto un ex banchiere occidentale che ha lavorato con gli oligarchi russi. Oltre a questi magnati, c'è un esercito di funzionari e dirigenti d'azienda che a Mosca non sono turbati dal crescente isolamento economico della Russia cominciato dopo l'invasione, ha detto Pugachev, e molti dei contatti che mantiene a Mosca non hanno incolpato Putin per essere andato in guerra. Si sono invece lamentati del fatto che l'esercito avrebbe dovuto essere meglio preparato.

 

Pugachev ha detto che molti membri dell'attuale élite sono ministri del governo di medio livello che hanno nascosto milioni di dollari in conti privati ​​e mantengono case in Europa. Se le sanzioni impediscono loro di recarsi in questi paesi, comunque se la passeranno bene. "E’ ancora un ministro in Russia, e invece di andare in Austria, andrà a Sochi. Non soffrono molto". In apparenza, inoltre, l'economia russa sembra stabilizzarsi dall'iniziale tornata di sanzioni, sostenuta da circa 800 milioni di dollari al giorno di ricavi dalla vendita di petrolio e gas all'Europa. La politica della Banca centrale di costringere gli esportatori a vendere l'80 per cento dei loro guadagni in valuta forte ha impedito l'implosione del rublo, e Putin ha dichiarato che la "guerra lampo economica" contro la Russia è fallita. Ma all'inizio di questo mese, Nabiullina ha avvertito che l'impatto delle sanzioni doveva ancora essere avvertito appieno e ha affermato che il peggio doveva ancora venire. Gli stabilimenti di produzione, dove "praticamente ogni prodotto" dipendeva da componenti importate, cominciano a esaurire le scorte, mentre anche le riserve di beni di consumo importati stanno diminuendo. "Stiamo entrando in un periodo di difficili cambiamenti strutturali", ha detto Nabiullina ai deputati. "Il periodo in cui l'economia può vivere di riserve è finito".

 

In queste condizioni, la posizione di Putin è precaria, ha detto Pugachev. La popolazione è stata finora cullata dalla macchina della propaganda statale, che ha coperto il livello di morti nell'esercito russo, nonché dalla mancanza di una morsa immediata delle sanzioni. "Ma tra tre mesi, i negozi e le fabbriche finiranno le scorte e l'entità delle morti nell'esercito russo diventerà chiara", ha detto. Nonostante il colpo quasi fatale ai loro interessi, l'élite imprenditoriale russa per ora sembra essere ancora paralizzata dalla paura. "Non so chi avrà le palle per reagire", ha un dirigente d'azienda. "Ma se la guerra sarà lunga e iniziano a impoverirsi, le possibilità saranno maggiori", ha detto. "Ci sarà una battaglia seria per il Donbas e, se non avrà successo, ci sarà una grande battaglia all'interno della Russia" tra le élite.

 

(Copyright Washington post)

(Traduzione di Priscilla Ruggiero)