denazificare la russia
Robert Redeker: "Putin usa la parola nazismo per imbrogliare i russi"
Il caso Lavrov e l'antisemitismo putiniano. "Questa offensiva militare è una guerra che viola il diritto internazionale e il dittatore fa di tutto per nasconderlo al suo popolo". Intervista al filosofo francese
“Mariupol, Kharkiv, Irpin, Bucha, Borodyanka, Kramatorsk… Tanti nomi di città ucraine sinonimi di orrore, morte, desolazione e sofferenze, paragonabili, per l’indignazione che suscitano nella coscienza umana, a terribili ‘crimini di guerra’, se non ad ancor più spaventosi ‘crimini contro l’umanità’”. Si apre così una lettera a Vladimir Putin di un gruppo di intellettuali francesi, da Guy Sorman a Pierre-André Taguieff e Robert Redeker (che ha aderito a un altro appello sull’Obs con lo scrittore Alexandre Jardin). “Putin vuole passare alla storia come un nuovo Hitler dopo che il suo paese ha contribuito a sconfiggere, per il bene della stessa Europa, la Germania nazista?”. Il richiamo al nazismo ha dominato l’intervista su Rete 4 al ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, che ha accusato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky di “essere ebreo come Hitler” (Israele ha convocato l’ambasciatore russo e definito “vergognose” le parole di Lavrov).
“‘Denazificazione’ è la parola usata da Putin e dalla sua amministrazione per nascondere al popolo russo che questa offensiva militare è una guerra che viola il diritto internazionale”, dice al Foglio Redeker, a lungo nel comitato della rivista sartriana Temps Modernes diretta fino al 2018 da Claude Lanzmann. “Questo argomento è la ripresa delle categorie naziste: ebreo, mezzo ebreo, un quarto di ebreo. Non sentivo parlare di mezzo ebreo dai tempi di Hitler! Neanche i più fedeli filopalestinesi, come Hamas e Hezbollah, usano questo vocabolario. Lavrov si inserisce nello stampo che i nazisti usavano per indicare i gruppi umani da eliminare. Il paradosso è evidente e intrigante: Putin afferma di ‘denazificare’ l’Ucraina utilizzando le categorie razziste del nazismo. Questa affermazione contiene anche una bugia su Hitler. Si dice che nel nazismo gli ebrei hanno una responsabilità, una colpa, che il nazismo è un affare ebraico. Qual è il messaggio? Questo: ciò che conta nel nazismo non era l’antisemitismo, ma l’ostilità di Hitler verso l’Urss”.
Continua Robert Redeker al Foglio: “‘Nazista’, nelle parole di Putin e dei suoi cortigiani, non significa altro che questo: ostile alla Russia. Per noi occidentali, nazista significa antisemita, totalitario, Olocausto. Per Putin e parte dell’opinione pubblica russa, indifferenti all’antisemitismo e compiaciuti del totalitarismo, questa parola significa qualcos’altro”. Nella guerra in Ucraina ci sono questioni geopolitiche globali e questioni culturali. “Questa guerra rivela agli occhi del mondo ciò che Putin voleva nascondere: la debolezza della Russia. Al di là della sua debolezza militare, le conseguenze economiche saranno gravi e durature. I nuovi paesi vogliono proteggersi dalla Russia entrando a fare parte della Nato, che ha riguadagnato la popolarità perduta; gli Stati Uniti sembrano essere un protettore migliore dell’Ue; l’uso della bomba atomica diventa un’ipotesi. Presto Usa e Cina cercheranno di trarre vantaggio dalla debolezza della Russia, che è diventata visibile a tutti durante questa guerra”. Poi ci sono questioni culturali: “I concetti di potere militare, servizio militare obbligatorio, difesa nazionale, indipendenza nazionale, indipendenza nella produzione di energia, nell’industria e nell’agricoltura sono ormai compresi dai popoli europei. La cecità della ‘globalizzazione felice’ sta finendo. Ci sono volute una guerra, morti, distruzioni, crimini, perché i popoli dell’Europa occidentale cominciassero ad aprire gli occhi sulla realtà nel mondo. Avevano perso l’abitudine di guardare ai rapporti tra le nazioni attraverso gli occhi di Machiavelli, il pensatore che insegna a guardare alla realtà politica con la necessaria lucidità”. E poi identità, storia, autodifesa. Qualcosa che l’occidente ha dimenticato? “Uno spettacolo che pensavamo appartenesse solo al passato si svolgeva davanti ai nostri occhi: gli uomini accettano di morire per la loro patria, in difesa del loro suolo nazionale”, ci dice Redeker. “Il che significa che ci sono realtà più importanti della vita. L’Europa aveva appena sperimentato l’esatto contrario. Per due anni avevamo inteso la vita come sopravvivenza. Nella loro resistenza, gli ucraini danno una lezione alla codardia, al cinismo e al nichilismo. E’ un capovolgimento culturale i cui effetti trasformativi si faranno sentire per decenni, in un’ideologia contraria ma importante come il ’68. E’ una rottura e un inizio. Stiamo assistendo a un fenomeno affascinante, storicamente raro: abbiamo davanti ai nostri occhi, dal vivo, la nascita di una nazione, l’Ucraina. Vediamo la storia in televisione nel suo lavoro di nascita di una nazione. La simpatia degli europei è legittimamente attratta dall’Ucraina e dalla sua resistenza all’invasione, mentre questa resistenza esprime tutto ciò che gli europei hanno rifiutato negli ultimi decenni, quella cultura alla moda ridicolizzata e che l’istruzione scolastica ha cercato di distruggere: il sentimento della nazione, l’amore per la patria, della terra, il senso del sacrificio militare, la difesa dei confini, la sovranità e la libertà”. Redeker conclude su un’eco francese. “Il popolo ucraino armato è molto simile al popolo francese al tempo della Rivoluzione, intorno al 1791-1794, quando inventò la nazione e trionfò a Valmy. Una grande vittoria militare ucraina sarebbe un’altra Valmy. Tutti conoscono l’influenza di questa battaglia sulla storia d’Europa. Sarebbe lo stesso se gli ucraini riuscissero a ottenere una vittoria simile sulla Russia. Anche il popolo francese armato stava combattendo gli imperi, come il popolo ucraino sta combattendo l’imperialismo russo con il suo nazionalismo e patriottismo”. Il mulino di Valmy, a metà strada fra Reims e Metz, è familiare a qualunque studente delle elementari, in Francia. Il 20 settembre 1792 il neonato e scombinato esercito rivoluzionario respinse le armate prussiane che volevano conquistare Parigi. Ne fu simbolo il grido di carica del generale Kellermann: “Viva la nazione!”.