La polveriera dell'est
Kazakistan e Uzbekistan cancellano la parata del 9 maggio e da Mosca arrivano le minacce
Gli stati ai confini del territorio russo hanno preso una decisione che potrebbe portare tanti problemi: la situazione nelle ex capitali sovietiche non è così promettente come sembra
La decisione del Kazakistan di non tenere la tradizionale parata militare del 9 maggio ha scatenato la reazione della macchina della propaganda vicina al Cremlino. Ufficialmente cancellata dalle autorità kazake per ragioni di bilancio, la manifestazione militare che celebra la sconfitta dei nazisti è un evento particolarmente sentito in Russia e nel mondo post sovietico. Ancora di più quest’anno: non a caso, le forze armate russe dovrebbero sfilare a Mariupol, a sottolineare i presunti successi conseguiti sul fronte ucraino.
Come detto, l’annuncio di Nur-Sultan non è passato inosservato a Mosca. Tigran Keosayan, un noto conduttore televisivo grande sostenitore del Cremlino e compagno di Margarita Simonyan, la giornalista che dirige Rt, ex Russia Today, ha minacciato senza mezzi termini il Kazakistan. Rivolgendosi direttamente alle autorità del paese, Keosayan ha suggerito di guardare da vicino cosa sta succedendo in Ucraina e di prepararsi a un destino simile in caso di un allontanamento dalla linea russa o anche solo di un sostegno non esplicito alla condotta putiniana. Minacce rimandate immediatamente al mittente dal ministero degli esteri kazako, che sta valutando di bandire il conduttore dal territorio nazionale e ha definito le sue parole “offensive e basate su pregiudizi”.
Nonostante la motivazione ufficiale addottata dal governo del Kazakistan per giustificare la cancellazione della parata, è evidente però che la decisione è legata alla volontà di evitare qualsiasi potenziale tensione interna. Tenere una manifestazione militare in questo momento potrebbe infatti essere interpretato come un sostegno all’invasione dell’Ucraina orchestrata dal Cremlino, una mossa di difficile giustificazione a livello domestico. Il Kazakistan sta cercando di mantenere un delicato equilibrio a livello diplomatico, dichiarando il proprio supporto all’integrità territoriale dell’Ucraina e allineandosi alle sanzioni internazionali tenendo però allo stesso tempo più che aperto il canale di dialogo con Mosca.
Lo stretto crinale geopolitico è lo stesso su cui si sta muovendo l’Uzbekistan, che ha preso la medesima decisione del vicino regionale, cancellando, per il terzo anno consecutivo (nel 2020 e 2021 a causa del Covid), le celebrazioni della Giornata della Vittoria. La decisione uzbeka non ha causato però la stessa inferocita reazione propagandistica di quella kazaka, anche perché il Kazakistan a inizio anno ha invocato l’intervento militare delle truppe dell’organizzazione di sicurezza a guida russa Csto, che hanno contribuito a mantenere in sella il regime di Kassym-Jomart Tokayev. Un credito politico che il Cremlino ritiene di dover riscattare, soprattutto in un momento così delicato a livello internazionale.
Vi è da dire comunque che anche l’Uzbekistan sta avendo i suoi grattacapi nel rapporto con Mosca. Il più significativo ha portato alle dimissioni del veterano della diplomazia uzbeka, Abdulaziz Kamilov. Quest’ultimo era finito al centro di un giallo dopo aver usato a fine marzo toni molto netti in supporto all’Ucraina. Dichiarazioni che avevano stupito molti osservatori, abituati ai toni pragmatici utilizzati solitamente dalle cancellerie della regione, soprattutto in riferimento a questioni che interessano la Russia. Nelle settimane successive al suo discorso, Kamilov era sparito dalle scene per non meglio precisati problemi di salute e non è più tornato operativo. Pochi giorni fa, infine, è arrivato l’annuncio che un altro funzionario uzbeko di grande esperienza, Vladimir Norov, svolgerà ad interim le funzioni di ministro degli esteri. L’elemento che fa pensare che dietro la rimozione di Kamilov vi siano pressioni russe e non problemi di salute è però legato al fatto che quest’ultimo non ha posto fine alla sua carriera di funzionario, che invece proseguirà vedendolo ricoprire il ruolo di vicesegretario del consiglio di sicurezza dell’Uzbekistan. Come i casi kazako e uzbeko dimostrano, il “dietro le quinte” centro asiatico dell’invasione ucraina è quanto mai turbolento.