(foto di Ansa)

il ricambio conservatore

Il post trumpismo è già qui. J.D. Vance vince in Ohio coi soldi di Thiel

 Stefano Pistolini

J.D. Vance, repubblicano vincitore delle primarie senatoriali in Ohio, è solo una delle figure protagoniste del nuovo Gop. Nel segno di Trump, ma non per forza con l'ex presidente, ecco il volto del conservatorismo americano dopo l'uragano

Se la linfa della politica è la capacità di rinnovamento, guardando agli Stati Uniti è chiaro che il campo democratico – raggruppatosi attorno a una figura residuale come Joe Biden – e quello repubblicano del post Trump differiscano profondamente. Ed è proprio nella figura estrema del penultimo presidente e negli effetti destabilizzanti del suo passaggio che va identificato il fattore-choc che ora esprime una galleria di personaggi d’area variamente conservatrice, capaci di instillare nel bacino elettorale repubblicano la sensazione del “ricambio” e dell’aria diversa. Come se Trump fosse stato un uragano indispensabile ma non necessariamente replicabile, rendendo concreta la rappresentazione del 2024 come di un’elezione ispirata più al post trumpismo, che al secondo avvento del modello originale. I segnali sono disseminati nel paese, a cominciare dalla vertiginosa ascesa dell’emulo della Florida, il governatore Ron DeSantis, al centro dei ritrovati entusiasmi repubblicani, proseguendo con una serie di new entry che, sia anagraficamente sia come percorso politico, sono dei virgulti accolti con crescente curiosità della “vecchia America”.

 

Ultimo esempio è il 37enne J.D. Vance, fresco vincitore delle primarie del partito per il seggio senatoriale dell’Ohio, stato blue collar ma dall’ormai robusta tradizione conservatrice. Il personaggio è notevole: famiglia originaria del Kentucky, parte di quel sottoproletariato agricolo vagante che abita il centro dell’America, “hillbilly” insomma, che sarebbe come dire “bifolchi”. J.D. però imbocca la strada del riscatto: segue i suoi in Ohio, entra nell’università pubblica dello stato e poi si perfeziona in legge a Yale. A trent’anni pubblica “Hillbilly Elegy” (“Elegia americana” in italiano), sottotitolo “Memoir di una famiglia e di una cultura in Crisi”, in cui racconta la storia dei Vance, dei pellegrinaggi alla ricerca di un brandello di benessere, del tramonto della ruvida cultura degli Appalachi – gente dura, leale, ineducata, violenta – in sostanza del tramonto di un’America che non trova posto nel contemporaneo e sprofonda nell’alcol, nella criminalità, nella droga. Il libro è un bestseller, guardato con sospetto dai sociologi, ma adorato dal pubblico metro-radical e sostenuto dalla militanza intellettuale conservatrice, che lo legge come una candida ricostruzione di una nazione travolta dalle mutazioni. Ron Howard ne trae un film con Glenn Close e Amy Adams, che ribadisce l’irresistibile fascinazione suscitata nelle élite liberal da questo culto del buon selvaggio, declinato in stile Grande Paese.

 

J.D. Vance non si fa sfuggire l’occasione, giocando  su un tavolo diverso da quello della letteratura o della cultura popolare. Diventa un personaggio da talk show, interpreta la voce e il pensiero di coloro che non riescono a farsi ascoltare, gli ultimi d’America. Il suo bersaglio prediletto è proprio Donald Trump, appena approdato alla Casa Bianca: per lui è la rovina della classe lavoratrice, il boss della masnada degli “idioti” di Washington che consegnano il paese agli affaristi stranieri, togliendo il lavoro agli americani per affidarlo ai clandestini e favorendo i trafficanti di droga. Quattro anni più tardi, con Trump in rotta e i conservatori in cerca di nuovi interpreti, Vance scende in politica, forte di uno sponsor straordinario: l’ultraconservatore della Silicon Valley Peter Thiel, il miliardario inventore di PayPal per il quale Vance ha brevemente lavorato – abbastanza da convincerlo a sostenere finanziariamente la sua discesa nell’arena elettorale.

 

Dove Vance si produce nel voltafaccia a sorpresa: di colpo per lui Trump non è più “l’Hitler d’America”, bensì il miglior presidente del secolo americano. E Trump, rinnovando le sue strategie circolari d’immanenza sull’elettorato repubblicano, non si fa sfuggire il segnale e venti giorni fa concede a Vance l’endorsement ufficiale per l’affollata corsa repubblicana nell’Ohio. Risultato? Il trionfo di Vance, che, secondo Tucker Carlson, star di Fox News, diventa ”l’uomo che la nazione aspettava”.  “J.D. parlava male di me, ma ci ha ripensato e io me ne sono accorto”, ha dichiarato il gran sornione. Che coi suoi strateghi cerca ora il giusto disegno per trasformare questi rampanti adepti nei luogotenenti di quella che potrebbe somigliare davvero alla conquista dell’America.