sotto assedio

I combattenti di Azovstal non sono i 300 spartani

Micol Flammini

La resistenza nell'acciaieria di Mariupol fa parte di una strategia che ha rallentato l'avanzata dei russi nel Donbas. Zelensky dice di essere pronto a un accordo se la Russia si ritererà dalle posizioni prese dopo il 24 febbraio. La controffensiva di Kyiv a nord-est e la nave da guerra russa in fiamme nel Mar Nero

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha detto che dentro all’acciaieria Azovstal è come l’inferno. Da due mesi, i civili rintanati nei sotterranei insieme ai combattenti che resistono vengono bombardati e vivono con la morte attorno. Se si pensa a Mariupol si pensa all’inferno, lo ha detto Zelensky, ma lo hanno detto anche il segretario generale dell’Onu, António Guterres, e il sindaco legittimo della città, Vadym Boichenko. Le bombe russe continuano a tormentare l’acciaieria e  i mezzi per evacuare i civili, ne sono rimasti circa duecento, fanno fatica ad avvicinarsi. I combattenti dentro all’impianto resistono, cercano di contrattaccare, ma il senso della loro resistenza non sta più nella vittoria a Mariupol, quanto nel non consentire che le truppe russe  raggiungano gli altri soldati. Più resiste Mariupol, più si ritarda l’avanzata dei russi nel Donbas e più tempo hanno gli ucraini per rifornirsi. La resistenza di Azovstal è importante per tutta la nazione. Mikhail Khodorkovsky, uno dei primi oppositori di Vladimir Putin, ha scritto che Azovstal sono le Termopili del Ventunesimo secolo, alludendo alla battaglia dei trecento spartani contro i persiani. Il paragone rende bene l’idea della resistenza, ma rimpicciolisce il suo valore. La differenza fra le Termopili e Azovstal sta nel fatto che i combattenti ucraini per due mesi hanno ritardato e stanno ritardando l’avanzata dei russi, hanno impegnato e stremato le forze russe che Mosca avrebbe dovuto e voluto dispiegare altrove nel Donbas per dare inizio al grande attacco. A Mariupol resistono   perché dopo questi due mesi di combattimenti feroci, i soldati russi che andranno a schierarsi lungo la linea del fronte verranno da un  assedio ininterrotto, dal tentativo di prendere un’acciaieria fatta di cunicoli e labirinti, costruita in tempi sovietici per resistere a un attacco nucleare. E’ anche questa resistenza che consente oggi agli ucraini di contrattaccare a nord-est, a fare azioni  nelle aree di Kharkiv e Izyum. Le Termopili furono una battaglia, non una strategia. Azovstal è parte di una strategia e non solo una battaglia. 

 

Zelensky aveva detto: “Non voglio che la storia dell’Ucraina diventi una leggenda sui 300 spartani”. E oggi  è convinto di poter rompere l’assedio, dice che  non è stato eletto “presidente di una mini Ucraina”. Per lui i ponti diplomatici non sono tutti bruciati e  sarebbe disposto ad accettare un accordo di pace se l’esercito russo si ritirerà dalle posizioni prese dopo il 24 febbraio: quindi pur rimanendo in Crimea e Donbas, che potrebbero essere oggetto di un secondo negoziato. La strategia ucraina si muove unitaria, agile e ieri, secondo fonti non confermate avrebbe colpito un’altra nave da guerra, la “Ammiraglio Makarov” nel Mar Nero. Proprio vicino all’Isola dei Serpenti.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)