(Foto di Ansa) 

Strategie di guerra

La guerra in Ucraina e la nuova corsa ai sottomarini

Massimo Morello

Il conflitto scatenato dalla Russia porta a una rinnovata ricerca di armamenti in Asia. Nello scacchiere contemporaneo, a dettare le regole sono i carri armati dell'acqua

Sottomarini, sommergibili… Un sofisma. Fondamentalmente un sottomarino è un mezzo che naviga soprattutto, meglio, sempre, sommerso; sommergibile quello che naviga sopra e sotto la superficie”, scrive uno degli esperti del CesMar, il Centro studi di geopolitica e strategia marittima, consulenti di questo articolo. Ma è una concessione momentanea. “La questione è tecnica, tecnologica, storica”, si corregge. Alla fine, per capire la differenza concettuale, secondo cui il sottomarino è l’evoluzione della specie sommergibile, è bastata un’immagine. Quella del “Minye Kyaw Htin”, il sommergibile donato dalla Marina dell’Esercito popolare cinese di liberazione (Plan) che il 24 dicembre è entrato a far parte della marina del Myanmar prendendo nome dal re che sul finire del XVII secolo mantenne il potere eliminando tutti i suoi avversari.

Il sommergibile, che appare in un video su YouTube mentre risale lo Yangon river, è un classe Ming tipo 35B derivato dal vecchio 033 costruito tra il 1962 e il 1984. Sono più moderni addirittura i sottomarini acquistati dal Bangladesh, due classe Ming tipo 035G consegnati nel 2017. Proprio com’è accaduto per il Bangladesh, il primo e più vecchio sommergibile è in regalo ma è condizionato dall’acquisto di altri due sottomarini, secondo la formula tanto in voga in Asia del “compri tre paghi due”.


C’è da chiedersi in che condizioni sia il primo sommergibile della flotta birmana, un battello sovietico classe Kilo poi ceduto alla Marina indiana che lo avrebbe impiegato per trent’anni prima di passarlo alla marina del Tatmadaw, le Forze armate birmane. Un sommergibile che il Global Times, organo del Partito comunista cinese, ha ridicolizzato per dimostrare il livello della Marina indiana e denunciare la truffa perpetrata alle spalle degli sprovveduti birmani. 
I generali e gli ammiragli birmani, in realtà, sono pronti a vendersi al miglior offerente. E così hanno avviato negoziati anche con la Russia per l’acquisto di nuovi sottomarini classe Kilo, contratto che va ad aggiungersi a quelli per 2.3 miliardi di dollari in sistemi di difesa aerea. Del resto, i militari della giunta si sono formati alle scuole di guerra russe e hanno trovato nei russi i maggiori sostenitori del colpo di stato del febbraio 2021. Non a caso il Myanmar si è schierato a favore della Russia denunciando “l’aggressione” ucraina e accomunando i “criminali” Aung San Suu Kyi e Volodymyr Zelensky quali “fantocci dell’Occidente”.
“La Russia vuole entrare in gioco anche nel teatro del sud-est asiatico. Gli serve soprattutto per esercitare un po’ di potere marittimo”, dice il contrammiraglio Michele Cosentino, uno dei massimi esperti di sottomarini e Forze navali cinesi. Per quanto sia il primo fornitore d’armi alle nazioni del sud-est asiatico, tuttavia, la Russia sembra costretta al ritiro dal fronte orientale dopo che il suo impegno su quello ucraino si è rivelato molto più pesante di quanto avesse previsto il ministro della difesa Sergej Kuzugetovic Sojgu. Ne hanno preso atto gli stessi generali birmani, costretti a un “riallineamento” con Pechino. La Russia, come afferma Cosentino, non è in grado di competere con la Cina. “I sottomarini sono un vettore della Via della Seta, sia come elemento di deterrenza, sia per il controllo delle rotte commerciali”.
“Si torna sempre alla Bri, la logistica è come la colonna vertebrale in cui si sviluppa la geopolitica”, conferma Alessandro Mazzetti, storico navale ed esperto dell’area Indo-pacifico. “La Cina non invade, crea strutture logistiche per far sì che tutto il sud-est asiatico dipenda da loro”.


Uno degli snodi strategici lungo la via della seta marittima è Kyaukphyu, sull’isola di Ramree nello stato birmano del Rakhine (noto per le vicende dei rohingya), terminale del China-Myanmar Economic Corridor  sul Golfo del Bengala. Snodo successivo è il porto di Chittagong, in Bangladesh, quindi quelli di Hambantota in Sri Lanka e di Gwadar in Pakistan, sino a Gibuti. Secondo Hu Bo, stratega navale dell’Università di Pechino, ci vorrebbero almeno altre due basi per assicurare il controllo del “sud-est asiatico marittimo”, neologismo geografico per designare lo spazio tra l’Oceano Indiano e quello che la Cina chiama Sai Ha, i Tre Mari (il Mar Giallo, il Mar cinese orientale e il Mar cinese meridionale), intersecati dalle rotte su cui naviga l’85 per cento del commercio cinese. 
In questo secolo segnato dalla Blue Economy, di marittimizzazione commerciale, la Cina sta adottando un approccio ibrido economico e militare per espandere la propria influenza. E’ quello della “diplomazia sottomarina”, in senso letterale e simbolico. Con la vendita o la cessione di sottomarini  alle nazioni dell’Indo Pacifico, Pechino si assicura anche tutto il sistema di assistenza, logistica e “consulenza”. “L’addestramento e gli ufficiali saranno cinesi” conferma l’ammiraglio Cosentino.
I sommergibili classe Ming tipo 035 sono il cavallo di Troia di questa strategia. Oltre che alla marina del Myanmar sono stati offerti anche alla Royal Thai Navy, per addestrare gli equipaggi che saranno imbarcati sul nuovo sottomarino S26T. Quest’ultimo, versione export del tipo 039A classe Yuan, è il best seller della marina cinese. Peccato che, almeno per il momento, non possa essere consegnato perché la Cina ne aveva commissionato i motori a un’azienda tedesca che si è rifiutata di venderli dopo aver “scoperto” che erano destinati alla Cina per uso militare. La Cina ha proposto alla Thailandia di sostituirli con motori di produzione cinese oppure con sottomarini usati. La Thailandia ha dapprima rifiutato poi si è dichiarata disponibile a “possibili soluzioni”. Secondo alcune indiscrezioni sembra che i sottomarini stiano diventando un’arma nelle lotte di potere tra i generali thailandesi.


D’altra parte, la Thailandia può attendere: i fondali del Golfo del Siam sono troppo bassi per quel tipo di battello. Nel frattempo, i cinesi avranno tempo di addestrare gli equipaggi thai nella nuova base di Sattahip, che si trova proprio in quelle acque. E magari di convincere il governo del generale Prayut Chan-o-cha a opzionare l’acquisto di sottomarini ancor più nuovi e soprattutto più piccoli.
Per gli strateghi del Plan, dunque, quelle che ci appaiono “esotiche” contraddizioni, fanno parte di un piano più ampio. I nuovi, piccoli sottomarini in progetto, ad esempio, che saranno alimentati con batteria agli ioni di litio, sono più silenziosi, in grado di creare un effetto d’invisibilità e adatti a operare in acque poco profonde (come quelle del Golfo del Siam ma anche dello stretto di Taiwan e delle coste del Mar cinese meridionale). Le acque che la marina cinese vuole controllare.  
Checché ne dica l’America, la Marina cinese è essenzialmente difensiva. La loro strategia è anti-access/area denial (A2/AD), utilizzata per impedire all’avversario di occupare o attraversare un’area”, dice l’ammiraglio Domini, delineando in versione moderna e occidentale l’antico gioco del Wei Qi (più noto nella variante giapponese, il Go). E’ un’idea esposta da Henry Kissinger, che paragona le strategie occidentale e cinese agli scacchi e al Wei Qi. Se gli scacchi si giocano secondo le regole di una battaglia decisiva e puntano alla distruzione dell’avversario, il Wei Qi è per una guerra prolungata che si concluda con un accerchiamento. “E’ uno dei tanti aspetti che frena la creazione di una vera alleanza tra Cina e Russia. La leadership cinese è culturalmente portata a elaborare strategie su orizzonti temporali a lungo termine”, dice Giorgio Grosso, specialista in Relazioni e sicurezza internazionali nell’area Indo-pacifico.
Negli scacchieri contemporanei, il sottomarino ha dunque un ruolo chiave non solo nel gioco, qualunque esso sia, ma anche per comprenderne le regole, le dinamiche. “Mediterraneo, Indo-pacifico, rotte artiche divengono i luoghi di scontro-confronto”, dice Mazzetti. “Il sottomarino è il mezzo con cui si esercita il potere del sea denial. Senza contare che è il sottomarino il mezzo che permette di controllare i cavi sottomarini attraverso cui passano trilioni di gigabyte”. 
Un ruolo ancor più particolare è riservato agli Swats, gli Shallow Water Attack Submarine, minisottomarini d’attacco fondamentali nella strategia anti-access/area denial cinese. Le nazioni più interessate sono gli arcipelaghi filippino e indonesiano, migliaia di isole attorno alle quali quei sottomarini possono attendere in agguato. L’Indonesia, in particolare, ha stanziato oltre un centinaio di milioni dollari per il progetto di un sottomarino nazionale che sia il fulcro della sua “Archipelagic Sea Defense Strategy”. Anche la Corea del nord punta sui suoi  mini-sub Sang-O e Sang-O II, mezzi ideali per la sua strategia di guerra asimmetrica e che ha utilizzato anche per infiltrare agenti in Corea del sud.  
Cambiando per un momento di scenario (ammesso che gli scenari si possano separare), anche in Mar Nero, le cui acque sono dominate da una flotta russa, i minisottomarini d’attacco STM500 turchi potrebbero rovesciare gli equilibri. Secondo la convenzione di Montreux del 1936, infatti, solo le nazioni affacciate sul Mar Nero possono dispiegare mezzi subacquei in quelle acque e la Turchia è l’unica nazione Nato in grado di interferire nella proiezione navale russa sino al Mediterraneo attraverso lo Stretto dei Dardanelli, il Mar di Marmara e il Bosforo.


Ancora una volta la geografia è il destino. Ancor più complesso comprendere ciò non può essere indicato su una mappa ma è celato nell’inconscio collettivo. Per spiegare perché gli Stati asiatici subiscano così profondamente il fascino dei sottomarini, dunque, è necessario rivolgersi a un “conoscitore di segreti”, uno studioso italiano di cultura thai, un lui stesso indovino. La sua prima ipotesi lo porta a identificare il sottomarino con il Naga, il mitico serpente della mitologia vedica e dei culti animistici legato all’acqua, di cui rappresenta il potere creatore e distruttore. “Ma il Naga è assoggettato a poteri superiori, quindi non credo che sia questa la spiegazione”. Dopo parecchie riflessioni azzarda un’ipotesi inquietante. “Il sottomarino rappresenta il potere della magia nera. Quindi chi pretende di incarnare lo stato lo utilizza ai propri fini. E per questo è temuto da chi si oppone al potere. E’ uno strumento invisibile come i riti di cui tutti parlano ma nessuno conosce, rappresenta l’intrusione di un corpo estraneo in un corpo pulsante”. Alla fine, anche il nostro indovino ne trae una conclusione geopolitica. “Da parte della Cina un sottomarino in dono sottintende un inganno”. L’esoterica spiegazione del professore indovino non è molto dissimile da quella di Swee Lean Collin Koh, esperto di strategia e sicurezza navale di Singapore: “Un effetto cognitivo. Il sottomarino incide sulla nostra psiche. Sin dall’inizio l’effetto psicologico e morale dei sottomarini spesso è stato molto maggiore del loro effetto operativo” scrive in “Naval Modernisation in Southeast Asia, Submarine Issues for Small and Medium Navies”. In quel saggio in collaborazione con Geoffrey Till, storico navale britannico, si definiscono i due motivi principali per cui le nazioni del sud-est asiatico stanno acquistando sottomarini: per operazioni di sorveglianza e intelligence e per guadagnare prestigio nazionale di fronte ai paesi vicini. La stessa valutazione di Giancarlo Poddighe, ex ufficiale del Genio navale ora dirigente d’impiantistica navale ed esperto di intelligence: “Intelligence ed operazioni occulte, è questa la tendenza, e la necessità delle marine emergenti del sud-est asiatico. Ma avere dei sommergibili è anche uno status symbol, più politico che militare”. 


“Toys-for-the-boys” è invece la definizione del giornalista Bertil Lintner, uno più profondi conoscitori di tutti gli affari sporchi del sud-est asiatico. Secondo Lintner l’acquisto di costosi “giocattoli” come i sottomarini è parte integrante della strategia militare del Myanmar finalizzata soprattutto al profitto degli alti ufficiali e, a pioggia, della catena di comando. “Gli ufficiali sono interessati soprattutto a ricevere compensi e fare affari con i cronies. Non vogliono combattere, si sono arruolati per diventare ricchi”, scrive Lintner.
“Gli stati si comportano come le persone che li compongono”: questa realistica e un po’ cinica affermazione di psicologia sociale, si attaglia perfettamente alle spiegazioni più esotiche ed esoteriche della fatale attrazione per i sottomarini nei paesi del sud-est asiatico. Ma se si analizza la situazione nel più complesso scenario di tutta l’Asia orientale e dell’Indo-pacifico, allora queste non sono più sufficienti e bisogna affidarsi alla strategia navale.  
Il sottomarino è la capital–ship dei poveri”, spiega l’ammiraglio Cosentino riferendosi alle navi ammiraglie, le più grandi o più pericolose. E per le nazioni che non hanno né il denaro né la tecnologia per dotarsi di portaerei, il sottomarino è la punta di lancia della marina. La guerra in Ucraina, inoltre, è stato il detonatore di una nuova corsa agli armamenti nei paesi del sud-est asiatico. Con una particolare predilezione per i sottomarini, considerati la “weapon of choice”, l’arma di elezione dei deboli contro i forti. E’ il caso delle Filippine, ad esempio, che stanno basando la futura geostrategia sull’impiego di sottomarini. 
Ma non accade solo alle nazioni povere. Il Giappone, il cui traffico marittimo passa in gran parte per il Mar cinese meridionale, ha ovviato ai limiti di budget sviluppando tecnologie d’avanguardia per migliorare l’idrodinamica, aumentare l’invisibilità subacquea con una sorta di mantello stealth, incrementare velocità e autonomia grazia alla straordinaria capacità di batterie agli ioni di litio. La prossima generazione di battelli classe SS-29, infine, sarà armata con missili da crociera quali mezzi di deterrenza per Cina e Corea del nord. 


Anche Taiwan, come ha dichiarato la presidente Tsai Ing-wen, considera i sottomarini “il mezzo fondamentale per lo sviluppo delle capacità di guerra asimmetrica della marina”. Un concetto strategico ben evidenziato dalla guerra in Ucraina. Nel caso di Taiwan, per quanto non possano opporsi alla Marina cinese, i sottomarini possono prolungare la resistenza all’invasione.  
La Corea del sud vorrebbe realizzare il sogno di un sottomarino a propulsione nucleare. L’ostacolo è il trattato con gli Usa che ne vieta l’impiego. Ma è probabile che si possa superare considerando che la Corea del nord ha annunciato il varo di nuovi battelli nucleari e ha già testato una serie di missili balistici lanciati da sottomarini. Se invece l’America continuasse a chiedere il rispetto del trattato, la Corea ha già pensato di rivolgersi alla Francia, che non vede l’ora di ricambiare il tradimento perpetrato con l’Aukus, l’alleanza tra Usa, Uk e Australia. Nel settembre 2021, infatti, l’Australia ha cancellato l’accordo con i cantieri francesi per la costruzione di una dozzina di sottomarini tradizionali e ha commissionato otto sottomarini nucleari da costruire con l’assistenza tecnica di Usa e Gran Bretagna sotto l’ombrello della nuova alleanza trilaterale.  
L’Aukus ha innescato una reazione a catena. La strategia statunitense, infatti, è di creare un “Aukus Plus” allargato a India, Giappone e Corea del sud, un ibrido tra Aukus e Quad, il Quadrilateral Security Dialogue, che include Australia, India, Giappone e Usa. L’America, come evidenziato nel documento “The Indo-Pacific Strategy of The United States” reso pubblico il 12 febbraio, vogliono una super alleanza per contrastare la Cina e le eventuali minacce russe in Asia Centrale. 


Il governo di Nuova Delhi, però, comincia a temere un’eccessiva dipendenza da Washington  e manifesta dissenso sul Quad (è l’unica nazione del gruppo a essersi astenuta dalla condanna dell’invasione russa). In campo navale ha siglato un accordo con il Naval Group francese per la costruzione a Mumbai di sei sottomarini convenzionali classe Scorpene (gli stessi dell’accordo infranto dagli australiani).
In risposta al rafforzamento della flotta indiana, il Pakistan continua la produzione dei suoi sottomarini classe Hangor derivati dai 39A Yuan cinesi. Una collaborazione che rientra nella strategia Pechino di distogliere l’attenzione dell’India dal fronte Himalayano e stabilire un punto d’appoggio nell’Oceano indiano.
Partiti dal Golfo del Bengala i sottomarini ci hanno condotto alle falde dell’Himalaya, in una paradossale, tettonica, geopolitica versione dell’Indo Pacifico. Ma in questa versione il vero gamechanger nella guerra sottomarina, tuttavia, potrebbe rivelarsi un Unmanned Underwater Vehicle, un drone. Come il Poseidon, una specie di grande siluro a propulsione nucleare, quindi ad autonomia e portata pressoché illimitata, armato con una testata nucleare. Dovrebbe entrare a far parte dell’arsenale russo nel 2027.

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