propaganda dell'anima
Catturare il pensiero medio con simboli inviolabili. La parata di Putin decifrata con Balzac
La militarizzazione delle menti in Russia procede grazie a una propaganda che tocca le corde più profonde, quasi bestiali, dell'essere umano
La parata del 9 maggio sulla Piazza Rossa di Mosca, un fumetto visto in diretta, affascinante e terribile, ha mostrato il retroterra magnetico della guerra condotta con le armi pesanti. Putin e il suo regime per una giornata sovra e ultrapolitica, al di là di un breve e insignificante comizio, si sono identificati con l’insieme protocollare della celebrazione della Vittoria contro il nazismo, la parata tra le cipolle di San Basilio e le Torri del Cremlino, con le sue linee geometriche perfette, i suoi materiali cingolati e le folle al passo mobile, le musiche bandistiche e gli inni e i colori e le onorificenze e le bandiere, i simboli di granito e di fiamma impreziositi dai fiori rossi, primo fra tutti i simboli quello del corteo degli Immortali in cui ciascuno sfila con la fotografia del suo avo morto in guerra (e Putin sfilava con la fotografia del padre Spiridonov, in un quadretto perfettamente dostoevskiano).
Tutto questo, riadattato e blandamente laicizzato, viene dalla tradizione sovietica e da quella zarista, con la differenza che era allora la stupenda piazza dell’Ermitage a San Pietroburgo a ospitare la militarizzazione aristocratica del pensiero e della coscienza a favore delle masse e del potere dell’immagine. Oltre alla sfilata dei morti accanto ai vivi, la continuità della storia intesa come Resurrezione, colpiva la sovrana indifferenza con cui il capo, dopo Leningrado e Stalingrado, rendeva omaggio con un fiore alla città martire di Kyiv o alla fatale Odessa, luoghi che sta martirizzando a colpi di bombe. Il celebrativismo grande russo e sovietico è un caso di mesmerismo, dal nome di Franz Anton Mesmer, il medico tedesco del Settecento che inventò una oscura ma fortunata teoria, invalidata dalla scienza sperimentale, basata sul fluido del pensiero e delle emozioni magneticamente controllabile e sulle conseguenze criminali della materialità del pensiero.
E’ appena uscito in libreria, tradotto da Mariolina Bertini e curato da Alessandra Ginzburg per le Edizioni Clichy, un formidabile frammento letterario di Honoré de Balzac il cui titolo è “I martiri ignorati”. Il potere omicida del pensiero, della coscienza, anche indotta, è il tema del frammento, che si conclude con quello che più o meno è il senso della parata e dell’allocuzione del capo supremo, raccontato nel finale da Grodninsky, personaggio socratico moderno dalla corpulenza taurina: “C’era una volta un vecchio ariete che si rizzò sulle zampe posteriori per farsi ascoltare meglio, mentre pronunciava, in mezzo a una delle più antiche greggi di pecore, queste belle parole poi divenute la sacra tradizione di quelle povere bestie: ‘Fratelli miei, vedete la grandezza dei nostri destini? Non abbiamo forse il più bell’avvenire tra i quadrupedi? Perché, insomma, noi finiamo col far parte dell’uomo e diventiamo così intelligenze immortali! Certi di non morire, pascoliamo dunque con coraggio, ingrassiamo rapidamente, allo scopo di entrare presto nella sfera della luce umana dove tutto è gioia e felicità, dove saremo ricompensati secondo i nostri meriti’”. “La fattoria degli animali” ha un illustre seppure frammentario predecessore.
Le parate militari alla russa e alla sovietica non si limitano a esibire la potenza e a mettere in mostra la nomenclatura civile e militare, i veterani, i defunti, gli eroi, fanno questo, come tutte le ostentazioni della forza e della disciplina, e molto di più. Catturano o cercano di catturare il pensiero medio attraverso simboli patriottici inviolabili, e sono parte della famosa cultura russa a pieno titolo (nel capitolo misticheggiante e passionale che si conosce per slavofilo, non in quello occidentalistico e romanzesco dei veri grandi russi dell’Ottocento). Al magnetismo animale sono dedicate, Balzac a parte, mille altre esperienze letterarie, indagini e racconti, da Poe a James, fino a Dylan Dog. E il mondo di Orwell risente dei suoi esperimenti nella neolingua che ha permesso a Putin di proclamarsi invaso dalla Nato e in difesa dall’aggressione. Con una postilla doverosa, che è nella chiusa del discorso di Grodninsky: “Quell’ariete è ancora considerato divino da quelle pecore, la cui lana è sulle vostre spalle. Se invece è soltanto una bestia, bisogna che l’uomo rinunci al più bel cavallo di battaglia della sua scuderia filosofica”.