stop alla neutralità
Così la socialdemocrazia scandinava è passata dal pacifismo alla Nato
La Finlandia ha già deciso per l'ingresso nell'Alleanza atlantica, mentre la Svezia dovrebbe farlo a breve. Come le minacce russe hanno costretto la Scandinavia ad abbandonare la neutralità attiva
La dichiarazione congiunta di ieri mattina del Presidente Sauli Niinistö e della ministra Capo Sanna Marin ha chiuso in Finlandia il dibattito svoltosi durante questa primavera, in Parlamento e nella società civile, sulla richiesta di adesione alla Nato. I due leader ritengono oramai prossima la presentazione della richiesta e, anzi, urgono affinché i passi ancora necessari si concludano “entro i prossimi giorni”. E’ facile prevedere, anche considerato il riferimento contenuto nella dichiarazione ai contatti “stretti” intrattenuti con la Svezia durante tutto il processo che sin qui ha avuto luogo, che quest’ultima seguirà la strada imboccata dalla Finlandia.
Si sta così venendo a creare una situazione del tutto peculiare, se vista in riferimento a quelli che durante gli ultimi otto decenni sono stati i programmi in tema di politica estera e di sicurezza dei partiti socialdemocratici nordeuropei. Gli unici due paesi scandinavi sino a oggi neutrali sono sul punto di presentare domanda di adesione all’Alleanza Atlantica. Questo avendo la Finlandia un governo a guida socialdemocratica, con i socialdemocratici quale partito di maggioranza relativa e che perciò esprimono la ministra Capo, e la Svezia un monocolore socialdemocratico, con a capo la ministra di Stato Magdalena Andersson. Non solo, le domande di adesione saranno prevedibilmente presentate essendo ancora Segretario della Nato Jens Stoltenberg, già Primo ministro norvegese e leader del partito laburista di quel paese dal 2002 fino alla nomina, nel 2014, alla carica che ancora ricopre.
Il cambiamento è di quelli che segnano la fine di un’epoca. I partiti socialdemocratici delle due grandi democrazie scandinave hanno infatti sempre tenuto fede e difeso rigorosamente e orgogliosamente la neutralità dei loro paesi, ma anche posizioni esplicitamente pacifiste; prima nel confronto tra Nato e Patto di Varsavia, poi nella situazione internazionale per molti versi incerta e caotica venutasi a creare nel decennio aperto dall’11 settembre e sfociato nelle primavere arabe. Senza peraltro trascurare, specie in Finlandia, le esigenze imposte da una politica di sicurezza fondata sulla neutralità attiva, a partire da quelle strettamente militari. La scelta neutralista è stata anzi sfruttata abilmente nell’azione di politica estera di entrambi i paesi, al fine di ottenere maggiore visibilità e peso sulla scena internazionale. Basti pensare al processo diplomatico conclusosi con la Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, che ebbe luogo ad Helsinki nell’estate del 1975. Conferenza che portò alla firma dell’Atto finale da parte delle due superpotenze, il Canada e altri 32 stati europei dei due blocchi e neutrali, base per la creazione dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce).
L’ impulso alla richiesta d’ingresso nella Nato che ha indotto i governi socialdemocratici a optare per un radicale mutamento delle proprie posizioni tradizionali in materia di sicurezza è ovviamente venuto dall’impatto che l’aggressione russa all’Ucraina e la maniera in cui i russi stanno conducendo la guerra ha avuto sulle rispettive opinioni pubbliche. Impatto che per ovvie ragioni è stato più forte e diretto nel caso finlandese. Lo dimostrano i dati frutto di sondaggi di opinione. Se nel periodo compreso tra il 1998 e il gennaio del 2021 la percentuale dei finlandesi favorevoli all’ingresso del paese nella Nato è sempre oscillata tra il 18 e il 30 per cento, a febbraio di quest’anno era già salita al 53 per cento, per crescere in marzo fino al 62 per cento e giungere in maggio al 76 per cento, con un 11 per cento di incerti e solo il 13 per cento di contrari.
Nei passati otto decenni neutralismo e pacifismo, terzomondismo e tutela dei diritti dell’uomo sono stati i cardini dei programmi dei partiti socialdemocratici, tanto in Svezia quanto in Finlandia. Se oggi quegli stessi partiti e i governi che essi esprimono sono favorevoli, sebbene con qualche resistenza in Svezia, all’opzione atlantista non è per portare una sfida alla Federazione russa.