Erdogan contro Finlandia e Svezia che ospitano il Pkk. Ma pensa a un altro tornaconto
Mosca ferma l’elettricità a Helsinki, che però ha subito detto di aver messo in conto la rappresaglia e di poter gestire un po’ più di importazioni dalla Svezia e dalla Norvegia. Nel frattempo il presidente turco ha posto il veto sull'ingresso dei due paesi scandinavi ma la scommessa è ad alto rischio
Bruxelles. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, oggi ha gettato un’ombra su un rapido allargamento della Nato a Finlandia e Svezia, annunciando di non avere “un’opinione positiva” sull’adesione dei due paesi nordici all’Alleanza atlantica. La principale motivazione è la protezione garantita ad alcuni esponenti del Partito dei lavoratori curdi (Pkk), considerato un’organizzazione terroristica non solo in Turchia ma anche negli Stati Uniti e nell’Unione europea. “I paesi scandinavi sono una specie di casa di accoglienza per organizzazioni terroristiche”, ha detto Erdogan, menzionando esplicitamente il Pkk: “Ce ne sono anche in Parlamento. In questo momento, non è possibile per noi essere a favore”. Nel Parlamento svedese ci sono sei deputati di origine curda, eletti con partiti che vanno dai liberali all’estrema sinistra. Il presidente turco ha aggiunto che non vuole che “si ripeta l’errore commesso con l’adesione della Grecia”. Pur appartenendo entrambi alla Nato – Ankara e Atene entrarono nel 1952 – Turchia e Grecia hanno una serie di contenziosi di carattere politico e territoriale, compreso lo sfruttamento delle risorse energetiche nel Mediterraneo orientale. Più che un’opposizione geopolitica per i rischi di provocare Vladimir Putin, quello di Erdogan appare come un tentativo di strappare concessioni su altri fronti, ma con il rischio di una rottura dei rapporti con gli Stati Uniti e l’Ue.
“Non vedo come la Turchia possa opporsi” all’ingresso nella Nato di Finlandia e Svezia, spiega al Foglio un diplomatico europeo: “Non ci sono ragioni legittime. Il presidente Erdogan metterebbe il suo paese in una situazione difficile”.
Finlandia e Svezia dovrebbero presentare formalmente la loro domanda di adesione la prossima settimana. La Russia ha detto che da domani sospenderà le forniture di elettricità alla Finlandia, che però ha subito detto di aver messo in conto la rappresaglia e di poter gestire un po’ più di importazioni dalla Svezia e dalla Norvegia. Il presidente finlandese, Sauli Niinistö, martedì e mercoledì farà una visita di stato a Stoccolma. La guerra di Putin contro l’Ucraina è stata determinante per far cambiare idea sulla neutralità e il non allineamento ai governi e alle opinioni pubbliche dei due paesi. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha promesso “braccia aperte” e un processo “facile e rapido”. Le consultazioni dentro l’Alleanza sono in corso da diverse settimane a livello sia tecnico sia politico. I ministri degli Esteri della Nato ne discuteranno oggi e domani in una riunione a Berlino. L’invito formale potrebbe essere deciso dalla Nato in un paio di settimane. Da buoni nordici, Finlandia e Svezia hanno reagito con moderazione alle parole di Erdogan. Il ministro degli Esteri finlandese, Pekka Haavisto, ha chiesto pazienza per un processo che andrà avanti “passo dopo passo”. La sua omologa svedese, Ann Linde, ha detto di essere ottimista e che ne parlerà con Mevlüt Çavusoglu a Berlino. In un’intervista alla radio svedese, Linde ha spiegato che Erdogan potrebbe usare l’adesione come moneta di scambio. “Sappiamo che il processo di ratifica implica sempre incertezze, non ultimo il fatto che la ratifica possa essere usata per ragioni di politica interna”. A Bruxelles ci si attendevano difficoltà più dall’Ungheria che dalla Turchia, ma la convinzione è che lo stallo possa essere superato.
Erdogan è sempre stato un membro capriccioso della Nato. Dagli acquisti di sistemi di difesa missilistici russi alle buone relazioni con Putin (a fasi alterne), il presidente turco ha avuto spesso scontri con i partner dell’Alleanza. Anche con l’Ue, Erdogan ha usato i rifugiati siriani come strumento per strappare concessioni finanziarie. Nelle ultime settimane si sono moltiplicate le incursioni aeree turche nello spazio aereo greco. Nel 2019 e 2020 c’era stato un lungo braccio di ferro fra Turchia, Grecia e Cipro sulle esplorazioni di gas nel Mediterraneo orientale. Ma, con americani ed europei, Erdogan si è sempre spinto fino al limite, prima di fare un passo indietro di fronte al rischio rottura, il più delle volte ottenendo almeno una parte di ciò che voleva.
Secondo alcuni analisti, nei calcoli di Erdogan su Finlandia e Svezia rientrano forniture di armi americane. Il Wall Street Journal mercoledì ha scritto che l’Amministrazione Biden ad aprile ha chiesto ai leader del Congresso di approvare un nuovo accordo di armamenti con la Turchia. Dentro il Congresso è forte il malessere per i legami di Erdogan con Putin. L’Amministrazione americana, invece, ritiene che la Turchia stia svolgendo un ruolo positivo facilitando le discussioni tra Russia e Ucraina. L’accordo sottoposto al Congresso include missili, radar e materiale elettronico per aggiornare gli F-16 della Turchia. L’Amministrazione Biden sta anche testando il terreno per capire se otterrà il via libera alla vendita alla Turchia di 40 nuovi F-16. In una telefonata con Joe Biden a marzo, Erdogan ha detto di aspettarsi che la fornitura dei 40 F-16 si concluda “il più presto possibile”.
A giugno del 2023, poi, ci saranno le elezioni presidenziali e legislative in Turchia. I sondaggi non sono buoni né per Erdogan né per il suo Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp). Usare la carta curda può essere utile a rianimare l’elettorato nazionalista. Ma il veto a Finlandia e Svezia sarebbe una scommessa ad alto rischio. La crescita sta rallentando e l’inflazione è alle stelle. In questo contesto “mettersi contro Stati Uniti ed Europa sarebbe molto pericoloso per Erdogan”, spiega un funzionario dell’Ue. Dopo le parole di Erdogan, Biden oggi ha avuto una telefonata con il premier svedese, Magdalena Andersson, e il presidente finlandese, Sauli Niinistö, garantendo il sostegno degli Stati Uniti.