oltre l'ucraina
Quanto piacciono a Putin gli interessi di Orbán per la Transcarpazia
Le tensioni latenti nell'est Europa cominciano a ribollire: il sogno imperialistico della Grande Ungheria va di pari passo con le mire espansioniste russe
A inizio maggio, poche ore prima che il primo missile russo si abbattesse sulla Transcarpazia dall’inizio della guerra, il capo del Consiglio di Sicurezza ucraino Oleksiy Danilov accusava l’Ungheria di essere stata informata in anticipo del piano di invasione, probabilmente durante la visita del premier Viktor Orbán a Mosca, il primo febbraio. Non solo: in caso di un rapido successo russo, Budapest avrebbe valutato l’annessione della Transcarpazia, la regione frontaliera, in cui vive una minoranza ungherese di circa 150.000 persone. E’ l’ennesimo capitolo dell’alta tensione fra Ungheria e Ucraina, nata prima del 24 febbraio e ora esasperata dalla posizione magiara sulle sanzioni e dal blocco al transito sul suolo nazionale delle armi occidentali dirette a Kyiv.
Da anni ad Užhorod si teme l’ingerenza ungherese quasi al pari dell’esercito russo, che qui potrebbe arrivare solo dopo aver percorso l’intero paese. Dal 2012 il governo ungherese ha destinato 115 milioni di euro alla Transcarpazia; sono le cifre dell’inchiesta “HungarianMoney”, condotta da giornalisti investigativi di Romania, Serbia, Slovacchia e Slovenia – paesi anch’essi coinvolti dalla mole di denaro elargita, soprattutto dal fondo Bethlen Gábor, alle minoranze nei territori vicini ai confini ungheresi; un bacino di un milione di elettori fuori dal paese, secondo il giornalista Róbert Bathory, legato a Orbán.
Ciò che accomuna questi territori è la separazione dalla Grande Ungheria – il sogno imperialistico proibito di Viktor Orbán – in seguito al Trattato del Trianon del 1920. Nel frattempo, la Transcarpazia è rimbalzata tra Cecoslovacchia e Unione sovietica, nel mezzo veniva nuovamente occupata dall’Ungheria filonazista, prima di diventare Ucraina nel 1991.
Qui gli investimenti di Budapest sono stati tentacolari negli ultimi anni, mentre la concessione occulta di passaporti ungheresi (in Ucraina è vietata la doppia nazionalità) e finanziamenti ai partiti politici delle minoranze magiare hanno generato scintille diplomatiche, con Kyiv che aveva già accusato in passato l’Ungheria di promuovere tendenze separatiste nella regione.
Il momento più caldo fu nel 2019: l’istituzione di un ruolo ad hoc di “Commissario ministeriale per lo Sviluppo economico della Transcarpazia” da parte del governo ungherese provocò l’ira degli ucraini, che risposero con perquisizioni nelle sedi dei due partiti filomagiari.
Secondo un’inchiesta di Radio Free Europe i flussi di fiorini ungheresi hanno coinvolto tutti gli ambiti della vita della regione: cultura, istruzione, media, religione e persino il calcio, passione del premier ungherese.
Nonostante gli endorsement ufficiali e le frequenti visite di alti ranghi del governo di Orbán, i dirigenti dei partiti filo ungheresi hanno sempre minimizzato i rischi di separatismo, incalzando invece sul venir meno delle tutele linguistiche dopo le leggi del 2017.
Pur continuando a cullare l’idea di una Grande Ungheria da restaurare, un intervento, anche ibrido, di Orbán in Transcarpazia appare comunque improbabile.
E invece certo che l’Ungheria continuerà ad esercitare il suo soft power utile a destabilizzare un paese che, dal 2014, sospetta di ogni istanza autonomista. Un ruolo funzionale agli interessi di Mosca, a cui l’Ungheria è sempre più avvinghiata economicamente. Le posizioni ambigue di Budapest hanno anche aperto una spaccatura, probabilmente irreparabile, del blocco di Visegrád, di cui l’Ungheria era capostipite assieme alla Polonia, uno dei paesi europei più attivi nel sostenere l’Ucraina. Ciò avrà profonde conseguenze sul posizionamento strategico dell’Ungheria e sui rischi politici che vorrà correre in un futuro inevitabilmente legato anche alla Transcarpazia, regione montuosa e multietnica abituata ormai da un secolo a districarsi nei caotici sviluppi dell’Europa centrorientale.