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Il libro

Quello che Putin vuole uccidere è lo spirito dell'Ucraina

Michael Walzer

Una democrazia ritenuta tale si evince dall'impegno collettivo di ognuno per salvaguardare la propria nazione: la volontà degli ucraini è una lezione per tutti noi occidentali

Pubblichiamo l’intervento di Michael Walzer, professore emerito all’Institute for Advanced Study di Princeton, che chiude il volume “Combatteremo fino alla fine. I discorsi di Volodymyr Zelensky”, edito da Chiarelettere (176 pp., 14 euro).

 


  

L’invasione russa ha costretto persone pacifiche, gente comune, a rischiare la propria vita. In tanti stanno combattendo perché credono in un’Ucraina che sappia accogliere tutti i suoi cittadini e riconoscere i loro diritti. Nelle guerre che ci sono lontane ci schieriamo per motivazioni ideologiche, morali e legali. Studiamo la storia, analizziamo gli argomenti dei contendenti. Siamo pur sempre animali politici. Ma, talvolta, abbiamo anche motivazioni personali.

 

Nel 2012 mia moglie e io abbiamo trascorso alcuni giorni a Kyiv. Con altri due redattori di “Dissent”, Marshall Berman e Michael Kazin, eravamo stati invitati in Polonia dai redattori di “Krytyka Polityczna”, rivista di sinistra che allora celebrava il decimo anniversario. Abbiamo alloggiato in differenti città polacche, città in cui i nostri amici avevano circoli di discussione e studio, e poi Judy e io siamo stati mandati a Kyiv a incontrare un piccolo gruppo di giovani uomini e donne che pubblicavano l’edizione ucraina di “Krytyka”.

 

Siamo arrivati a Kyiv giusto in tempo per unirci a una manifestazione per la democrazia e il pluralismo che si teneva in un piccolo parco nel centro della città. Non c’erano tante persone, ma comunque, a fine manifestazione, siamo stati infastiditi da un gruppo di ultranazionalisti ucraini che ci hanno inseguito, gridandoci contro e agitando i pugni. Le persone che ci ospitavano ci hanno condotto in un piccolo ristorante (per fortuna la banda di nazionalisti non si è spinta fin dentro il locale), dove ci siamo seduti e abbiamo parlato. Il gruppo ucraino di “Krytyka” era sottoposto a forti pressioni, contava su meno soci ed era più debole politicamente del suo corrispettivo polacco. Ma riuniva comunque persone di sinistra sincere e impegnate.

 

Nel 2012 Kyiv era una città cupa e triste. Noi alloggiavamo in un hotel di secondo o terz’ordine, un posto pur dignitoso, che fungeva anche da bordello. I papponi dall’aria dura, con al seguito giovanissime donne, non provavano nemmeno a nascondere la loro attività. La città ci appariva corrotta, come lo era la classe dirigente di allora: un’oligarchia divisa in fazioni, con politici che guardavano a est e altri che guardavano a ovest, ma dei quali nessuno riponeva il proprio impegno in altro se non nella difesa degli interessi del proprio gruppo di potere. In quel momento il presidente ucraino era filorusso. 

 

Le persone di sinistra di Kyiv erano un gruppetto egalitario e disorganizzato, ma uno di loro, che poteva sembrarne il leader, ci ha portato a fare una passeggiata per la città: molte aree sembravano avere urgente bisogno di investimenti e lavori di manutenzione. Abbiamo sostato in un isolato di vecchi appartamenti. “Questo è il vecchio quartiere ebraico; i miei nonni vivevano lassù” ci ha detto il giovane, indicando un edificio. Non ho chiesto cos’era accaduto loro, né gli ho detto che due dei miei nonni venivano dalla Bielorussia, non molto lontano, a nord. Non sono stato sorpreso di scoprire che un uomo della sinistra ucraina fosse ebreo. Dieci anni dopo trovo incredibile che lo sia il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky.

 
La Rivoluzione di Maidan è avvenuta nel febbraio del 2014. E’ stata una cosa tumultuosa e confusionaria dal punto di vista politico, provocata dal rifiuto del presidente filorusso di firmare un accordo economico con l’Unione europea. Sicuramente c’entravano qualcosa gli ultranazionalisti che ci avevano infastidito due anni prima. Anche loro sostenevano la rivoluzione, nella speranza di creare uno stato autoritario; uno dei loro obiettivi era la messa al bando della lingua e della cultura della minoranza russa. Per contrasto, i nazionalisti russofoni dell’Ucraina orientale, che guardavano a Mosca per trovare sostegno, si opponevano alla rivoluzione affermando, tra le altre cose, che si trattava di una rivolta sponsorizzata dalla Nato e di un “colpo di stato sionista”. Non erano interessati all’indipendenza né a sviluppare qualche rapporto (di legami militari non se ne parlava nemmeno) con l’occidente. Piuttosto, invocavano l’intervento dell’esercito russo; intervento che Putin stava già preparando; i soldati russi hanno poi preso il controllo della Crimea e, combattendo senza uniformi, hanno cominciato a promuovere la secessione dell’Ucraina orientale.

 

I giovani di sinistra incontrati nel 2012 erano, di questo sono certo, molto attivi a Maidan, e (a giudicare dai reportage e dalle interviste dell’epoca) le loro fila si erano ingrossate. Non sono entrati a far parte di nessuno dei governi che si sono susseguiti, ma hanno rappresentato, se pur in piccolo, una forza del pluralismo, in quanto difensori dei diritti delle minoranze.
Nei mesi successivi a Maidan, gli ucraini sono riusciti a mettere in piedi una, seppur fragile e non scevra di difetti, democrazia (come lo sono tutte), ma pur sempre una vera democrazia ucraina. Gli ultranazionalisti sono diventati una delle tante fazioni, senza mai assurgere a posizioni dominanti. Zelensky, nato nell’Ucraina orientale, di madrelingua russa, è stato eletto presidente nel 2019 con libere elezioni. Non è un uomo di sinistra, ma è un liberale; è bene ricordare, peraltro, che è stato uno di quelli che si sono opposti alle pressanti richieste di Donald Trump quando cercava informazioni che potessero danneggiare Joe Biden.

 

Oggi vedo questa invasione russa come un attacco ai giovani che redigevano e pubblicavano la “Krytyka Polityczna”, quelli con cui ho parlato dieci anni or sono. Certo, si tratta di un punto di vista eminentemente personale, ma in tempo di guerra è bene sapere chi sono i tuoi compagni. Penso anche a Zelensky come a un compagno, perché ha sempre difeso i diritti dei russofoni dell’Ucraina orientale, anche quando i soldati ucraini erano in guerra contro (alcuni) di loro. A dire la verità, l’Ucraina è in guerra ininterrottamente dal 2014 contro una controrivoluzione foraggiata da uno stato reazionario, una situazione peraltro non rara nella storia delle rivoluzioni.

 

Ma la guerra iniziata pochi giorni fa con l’invasione russa su vasta scala, e ora con soldati in uniforme, è molto diversa; è una sfida aperta all’indipendenza e alla democrazia ucraina. Ed è stata accompagnata dal movi- mento delle truppe russe attraverso la Bielorussia, non soltanto per invadere l’Ucraina da nord, ma anche per mettere in sicurezza il regime autoritario di Alexander Lukashenko, che giusto un anno fa ha scongiurato il rischio di una personale Maidan.

 

La guerra russa è stata quasi universalmente condannata, con “spiegazioni” e scuse che valgono invece come una giustificazione e che sono arrivate da tre tipologie di soggetti: i realisti politici, che credono nelle sfere di influenza e vogliono riconoscere alla Russia una propria sfera; la destra, che ammira i leader autoritari e considera Putin uno di loro; e, infine, persone di sinistra che sono certe che gli Stati Uniti e la Nato siano sempre gli unici “cattivi” della situazione. I tre gruppi hanno questo in comune: non stanno analizzando con abbastanza impegno la realtà di questa guerra.


La condanna di questa guerra è perlopiù fondata su un’esatta interpretazione del diritto internazionale: la guerra russa è un attacco ingiustificato a un paese vicino, uno stato indipendente e sovrano. Pertanto è chiaramente un atto illegale. Inoltre – cosa ancora più importante – è un atto ingiusto, un crimine, non solo dal punto di vista legale, ma anche dal punto di vista morale. L’invasione russa è un atto che costringe persone comuni, pacifiche, uomini e donne, a mettere a rischio le proprie vite, a combattere e a morire per il proprio paese. Apparentemente Putin era convinto che la maggioranza degli ucraini non sarebbe giunta a tanto perché, come ha affermato, l’Ucraina non è un paese distinto dalla Russia e, nel profondo, tutti gli ucraini sono russi, e questa guerra serviva a ricordarglielo. Ma la reazione sul campo degli ucraini, dalle strade di campagna alle vie delle città, ha dimostrato che Putin si sbagliava. L’Ucraina è a tutti gli effetti un paese; lo dimostra la volontà dei suoi cittadini di combattere per difenderlo. Costringere queste persone a combattere, ecco il crimine di questa guerra.


Ucraini con visioni politiche anche molto diverse oggi stanno combattendo fianco a fianco. Certo, ci sono anche gli ultranazionalisti; fanno parte della vita ucraina da troppo tempo. Ma ci sono anche persone come i ragazzi che ho incontrato nel 2012, e con loro molti altri, che combattono per il proprio paese e per la democrazia. E ce ne sono altrettanti che combattono perché credono in un’Ucraina – quella immaginata dal loro presidente – capace di accogliere tutti i suoi cittadini e di riconoscere i loro diritti. Non so come andrà a finire; a volte l’eroismo e la giustizia alla fine trionfano, altre volte non succede. Qualunque cosa accada, noi, a sinistra, dovremmo chiamare questo paese, i cui coraggiosi cittadini si sono dimostrati tanto valorosi, “La nostra Ucraina”, una democrazia di cui anche noi riconosciamo il valore.

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