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Tutte le armi della Finlandia contro propaganda e disinformazione di Mosca

Luciana Grosso

Helsinki può rispondere alle minacce russe, anche ibride. Ha imparato da un divorzio

Helsinki. La Finlandia parla con la Nato e la Russia risponde. Lo fa con il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov che dice che “la Russia sarà costretta ad adottare misure di ritorsione, sia di tipo tecnico-militare sia di altra natura”; lo fa con Dmitri Medvedev che sul suo canale Telegram ha detto che “vicino ai nostri confini, aumentano le probabilità di un conflitto diretto e aperto tra la Nato e la Russia. Un conflitto del genere rischia sempre di trasformarsi in una vera  guerra nucleare”. Eppure nonostante le minacce e gli avvertimenti russi, la Finlandia mostra di non essere disposta a passi indietro e ieri, attraverso il suo presidente e la sua premier ha detto di essere pronta a fare “richiesta per entrare nella Nato il prima possibile”. Il presidente Sauli Niinistö, rispondendo a chi gli chiedeva se temeva ripercussioni russe, ha risposto: “Se Mosca vuole sapere chi ci ha portato nella Nato, deve guardarsi allo specchio”. 

   

La Finlandia non teme soltanto ripercussioni militari, ma da anni si concentra anche su un’altra minaccia che arriva dalla Russia: la guerra si fa anche con le armi della propaganda, della paura, della destabilizzazione dall’interno. E in questi anni Helsinki si è attrezzata in modo da non dovere avere paura di questo genere di conflitto, che ha un fronte che tra Finlandia e Russia è già stato aperto anni fa. Questo la rende preparata e la aiuta a non avere paura perché, al momento, è uno dei paesi meglio attrezzati in termini di riconoscimento e disinnesco delle minacce della guerra ibrida, la guerra che invece delle armi usa la disinformazione per destabilizzare, dividere e indebolire paesi e governi.

 

Tanta attenzione, passata, presente, ma soprattutto futura, della Finlandia verso le forme ibride di guerra, ha a che fare con il fatto che, tempo fa, è già stata obiettivo di un attacco di guerra ibrida da parte della Russia. Di certo non è stato l’unico paese a subire una cosa simile, ma forse è stato l’unico ad accorgersene e correre ai ripari. A oggi a Helsinki non solo ha sede il centro studi di Nato e dell’Unione europea Hybrid CoE, che si occupa dei modi e delle forme della guerra invisibile, ma il governo stesso ha avviato un progetto di  icerca sull’hybrid warfare con l’Università di Helsinki.

 

La storia della guerra ibrida tra Finlandia e Russia, scoppiata nel 2012,  parte da un divorzio. Uno di quei divorzi difficili in cui si litiga per l’affido dei figli. Niente di strano, non fosse che la madre era russa, il padre finlandese. La madre prese il bambino e lo portò di nascosto in Russia. Il padre, dal canto suo, recuperò il bambino e lo portò di nascosto in Finlandia. Ne nacque un incidente diplomatico che portò, mesi dopo, il commissario russo per i diritti dei bambini, Pavel Astahov, a twittare che la Finlandia non era un posto sicuro per i bambini. Non era vero, ma poco importa. Nel giro di pochi mesi nelle televisioni russe e nelle reti social delle comunità dei russi che vivono in Finlandia, si diffusero notizie allarmanti sul modo in cui i bambini venivano trattati dai “fascisti finlandesi” (se vi suona familiare è perché lo è).  L’obiettivo di tutto questo non era dirimere complicate questioni di affido, ma, offuscare l’immagine della Finlandia agli occhi sia dei russi sia dei quasi 100 mila expat in Finlandia. Era insinuare, nell’opinone pubblica finlandese, il sospetto che il loro governo potesse macchiarsi di violenze e soprusi. Quella volta la vicenda si concluse in nulla, o quasi. Ma tutto quel trambusto non è passato invano. Ha insegnato alla Finlandia a tenere i sensi all’erta e ad avere paura delle minacce che non si vedono. Per tutto il resto, c’è la Nato.

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