Svezia e Finlandia nella Nato sono un duro colpo per Putin, non solo per ragioni geopolitiche
La formalizzazione della richiesta di adesione alla alleanza atlantica viene da due paesi che rovesciano molti decenni di storia e di ideologia nei confronti della Russia con un personale politico dirigente e modalità veramente scandalose per il regime neoimperiale del Cremlino
Gli esperti dicono che la botta cosiddetta geopolitica è potente. C’è di mezzo la trasformazione del mar Baltico in un lago della Nato, il depotenziamento radicale di San Pietroburgo come porto e finestra sull’occidente europeo, la caduta di rango dell’enclave di Kaliningrad, salta l’intera strategia appena aggiornata ai nuovi dati geoclimatici per il mondo delle comunicazioni nell’Artico, per non parlare del lungo confine finlandese-russo. Ci sono poi gli aspetti simbolici, la storia della guerra di Finlandia, il lascito sovietico della “finlandizzazione”, una sorta di sovranità limitata dissimulata nel neutralismo, il modello che (oh, la beffa) si pensava opportuno applicare all’Ucraina in nome del pensiero “realista”. E per la Svezia il peso di una tradizione bisecolare, gli orientamenti solidi di un partito di governo eterno, la socialdemocrazia, che hanno sempre mantenuto come premessa strategica, ideologia di stato al pari del luteranesimo, la condizione di neutralità politico-militare.
Ma c’è per noi inesperti qualcosa di più, di diverso e di altrettanto forte simbolicamente. La formalizzazione della richiesta di adesione alla alleanza militare difensiva della Nato viene da due paesi che rovesciano molti decenni di storia e di ideologia nei confronti della Russia con un personale politico dirigente e modalità veramente scandalose per un regime neoimperiale che vuole contrastare la carne flaccida dell’occidente degenerato. Con un tasso indiscutibile, evidente, di sincerità, di allarme giustificato, e una fulminea capacità di reazione, nell’opinione pubblica svedese e finlandese e nei rispettivi establishment si è affermata la necessità di difendersi armati fino ai denti in coalizione con gli americani e l’Europa occidentale e i turchi neo-ottomani di Erdogan. Putin ha cercato sottilmente di dissimulare lo smacco relativamente ridimensionando il peso delle relazioni bilaterali con i due paesi. Ma il colpo d’occhio è clamoroso e imbarazzante.
La Svezia è nei luoghi comuni il paese della libertà sessuale, del welfare totalmente deresponsabilizzante, dell’introspezione familiare e comunitaria alla Ingmar Bergman; si sono studiate a lungo anche con una certa sciatteria le statistiche dei suicidi svedesi, i segni di infelicità frammisti ai segnacoli del benessere; e da ultimo si pensò, a torto o a ragione, che il rigetto dei sistemi chiusi nella lotta alla pandemia fosse l’espressione massima di un individualismo spietato verso l’esigenza di protezione della vita di vecchi e vulnerabili, una forma di negazionismo, motivato dalle ragioni forti dell’economia e delle libertà civili irrinunciabili, sbattuta in faccia ai paesi del lockdown. “Avid outdoors people”, gente che fa hiking, kayaking e attività di montagna: questi i tratti attribuiti a Magdalena Andersson e alla sua famiglia, tanto per caratterizzare una spigliata tendenza all’incontro verde con la natura, distante quanto si possa dagli arsenali, dalle regole di coalizione su frontiere terrestri e marittime, dalle partnership di guerra. Naturalmente sono essenzialmente chiacchiere, colore giornalistico e culturale, sociologismi e antropologismi senza grande importanza, uno stato è uno stato, una nazione è una nazione, e anche senza la belluria del sovranismo ideologico quando ci si sente minacciati si prendono misure proporzionate, dopo tanti valori onusiani ostentati ecco l’affiliazione a quel truce vecchio arnese che è la Nato.
Lo stesso discorso vale per la Finlandia. Il paese che invece si compiace del suo pil della felicità, in cima alle classifiche di vivibilità spensierata, del suo ordine pulito fino al parossismo, del modello di evoluzione e sviluppo fino a ora magnificamente protetto, compresa l’adesione all’Unione europea senza toccare l’impalcatura o l’assetto militare, dalla famosa finlandizzazione. Berlusconi non sarebbe d’accordo, infatti provocò un incidente diplomatico disprezzando apertamente il prosciutto di renna a favore del culatello o della cinta senese, ma il paese di Helsinki, piccola città dirimpettaia della capitale dello zarismo e simbolo assoluto del pacifismo e della neutralità come punto d’incontro tra mondi, è un capolavoro di industria, tecnologia e finanza protette da un modello né di qua né di là. Ora con Sanna Marin, che nella sua fresca bellezza è l’immagine minacciosa di un occidente capace di risorse inaspettate per gli energumeni del Cremlino, cambia tutto e cambia lungo oltre un migliaio di chilometri di frontiera con l’Orso russo. La botta è potente, e non solo per motivi geopolitici, ecco.