La guerra di Putin mette in crisi anche la sua Unione eurasiatica
L'invasione dell'Ucraina ha distrutto le prospettive economiche e geopolitiche. L'organizzazione di cui fanno parte anche Bielorussia, Armenia, Kazakistan e Kirghizistan è in difficoltà e fatica a trovare un orizzonte comune. Così alcuni paesi iniziano a ragionare per conto proprio, voltando le spalle a Mosca
Il divorzio tra Russia e Ucraina si è consumato nel 2014 con la rivoluzione di Euromaidan, punto di non ritorno di una relazione che gli ucraini non hanno mai vissuto come un matrimonio felice. A scatenare la rivolta fu la decisione del governo di Viktor Yanukovich di stracciare l’accordo di libero scambio con l’Unione europea per unirsi alla proposta di VladimirVladimir Putin di istituire l’Unione economica eurasiatica (Uee), una versione russa dell’Ue che partendo da accordi commerciali dei primi anni ‘90 puntava a ricostruire una sfera d’influenza polarizzata su Mosca corrispondente almeno allo spazio post-sovietico. I membri dell’Unione eurasiatica, istituita nel 2015, sono cinque: Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan e Kirghizistan.
Kyiv guardava a tutto ciò con diffidenza, anche nel campo filo-russo, e non ha mai fatto parte di nessuno di quegli accordi. L’Ucraina però è il fulcro della strategia del Cremlino. Come scrive il professor Paul D’Anieri nel libro “Ucraina e Russia: Dal divorzio civile alla guerra incivile”, Putin nel 2013 aveva presentato l’Unione eurasiatica come “un progetto per preservare le identità delle nazioni dello spazio euroasiatico nel nuovo secolo” e fare dello spazio post-sovietico “un centro indipendente dello sviluppo” che non fosse la periferia di Europa e Asia. A luglio dello stesso anno Putin andò a Kyiv per incontrare Yanukovich e partecipare a una conferenza in cui si spiegava che il “mondo slavo ortodosso” era superiore alle “idee liberali” che prendevano piede in Europa (e in Ucraina). Se tutto ciò assomiglia alla visione del filosofo Aleksandr Dugin, cara al mondo rossobruno di casa nostra, non è un caso.
Ma l’invasione russa dell’Ucraina ha distrutto le prospettive dell’Unione economica eurasiatica e ogni velleità di creare uno spazio geopolitico guidato dalla Russia nel continente che, nelle visioni più deliranti, avrebbe dovuto integrarsi con l’Ue per allontanare gli Stati Uniti dall’Europa. Al di là del mito, la realtà dell’Uee è molto misera: a causa del protezionismo interno e di una scarsa cooperazione industriale non è mai decollata, e dopo le sanzioni occidentali a Russia e Bielorussia è stata annichilita, privata di qualsiasi orizzonte. La prima mossa è stata di Mosca, che ha sospeso anche nei paesi partner le esportazioni di grano, segale, orzo e mais per garantirsi le forniture alimentari (mentre affama mezzo mondo bloccando i porti ucraini), un divieto revocato solo in parte, mantenendo alcune restrizioni al commercio di alimenti. Ciò ha spinto il Kazakistan a fare una scelta. Nur-Sultan ha dichiarato che non avrebbe facilitato in nessun modo l’elusione delle sanzioni occidentali: il governo ha spiegato che non vuole rischiare di subire sanzioni secondarie, cercando al contrario di espandere la cooperazione tra Kazakistan e Unione europea.
Alle parole sono seguiti i fatti. Sul sito governativo della Kazakh Invest vengono annunciate partnership di investimenti e cooperazione siglati negli ultimi due mesi con la Germania (un accordo molto corposo), la Turchia, la Georgia. I messaggi sono sottili, ma chiari: sabato scorso il ministro del Commercio estero finlandese è stato ricevuto dal presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev. Si invitano governi e multinazionali a investire nelle zone economiche speciali del paese ricco di risorse naturali, ma si dà conto anche delle 70 aziende straniere nel settore It che stanno investendo nel techno park della capitale kazaka. Un mondo che sembra lontanissimo dalla Russia sanzionata e sul piede di guerra, dove anche Yandex – il Google del mondo russofono – programma di trasferire il quartier generale da Mosca a Tel Aviv portando via dal paese la sua forza lavoro altamente qualificata.
I leader russi parlano spesso di un “mondo multipolare” giusto da opporre a quello “unipolare” ingiusto voluto dagli Stati Uniti. Il problema per la Russia è che in anche in quel mondo le nazioni avrebbero il diritto di scegliere il “polo” di riferimento, e oggi appare difficile immaginare che ci siano molte nazioni disposte a unirsi alla visione del mondo offerta da Putin.