I russi fuggono negli ex paesi dell'Unione sovietica in cerca di libertà e lavoro

Micol Flammini

E' un impoverimento doppio per la Russia che perde lavoratori, menti e cittadini, ma che dimostra anche che oggi l’Urss si è ristretta a Mosca, gli altri stati del blocco sono andati oltre. Non tutti si sentono a loro agio con l'arrivo di cittadini russi, alcuni temono che Putin possa farsi minaccioso

Fuggire dalla Russia, per alcuni, è anche una modalità di protesta. Vuol dire lasciare il paese che ha compiuto un attacco indiscriminato contro un paese vicino e fratello e che impedisce anche di manifestare il proprio dissenso. Dall’inizio dell’invasione di Vladimir Putin contro l’Ucraina, diversi cittadini russi hanno abbandonato la Russia. Un calcolo, che però non è stato confermato dalle autorità russe, indica che se ne sono andate circa duecentomila persone, molte scelgono  come destinazione i paesi dell’ex Unione sovietica, in particolare Georgia, Armenia, Uzbekistan e Kazakistan. Un flusso minore c’è verso le Repubbliche baltiche, altri russi, invece, preferiscono la Turchia. Chi ha origini ebraiche va in Israele, altri, proprio come se fossero stati catapultati a trent’anni fa, volano negli Stati Uniti o in Canada. Il fattore linguistico è importante: i paesi dell’ex Unione sovietica, del Caucaso e dell’Asia centrale, sono nazioni in cui si parla russo senza difficoltà. I russi  pensano di potersi integrare rapidamente,  sentono questi paesi vicini,  credono  di poter ricominciare una nuova vita e protestare contro la guerra. In Georgia ci sono state forti manifestazioni contro l’invasione e i russi espatriati hanno partecipato, hanno collaborato alla raccolta fondi per i profughi ucraini, hanno mandato cibo e  medicinali. Se dentro alla Russia non si può agire contro il regime, cercano di agire fuori, creando una resistenza alternativa, lontana. 

 

Chi se ne va, spesso, lo fa con la sicurezza di poter trovare lavoro facilmente, oppure di poter continuare a lavorare anche fuori dai confini. Si tratta perlopiù di persone qualificate, ingegneri, informatici, scrittori, giornalisti, imprenditori. E’ un impoverimento  che la Russia conosce perché l’ha vissuto durante la Guerra fredda:   in quegli anni però chi fuggiva scappava al  di là della cortina di ferro, verso l’Europa occidentale o gli Stati Uniti.  Ora chi fugge predilige mete che un tempo facevano parte dell’Urss, ma in cui  si respira un’aria di libertà che la Russia ha ormai perso. L’esodo non è iniziato ora e chi sta al Cremlino, soprattutto negli ambienti economici, si preoccupa da anni di quanto questo impoverimento potrà influire sul futuro della Russia. Le preoccupazioni, dopo il 24 febbraio, si sono fatte ancora più serie.  Mosca nasconde il fenomeno come può:  fa finta che non esista. 

 

Andare via dalla Russia non è complesso, si può uscire, ma non sempre si è ben accolti. Con l’arrivo degli emigrati russi, il costo della vita e  gli affitti sono diventati sempre più cari nelle capitali dei paesi dell’ex Unione sovietica. I russi all’estero sono accusati di cercare soltanto un modo per aggirare le sanzioni e di farlo con la scusa della   dissidenza. Alcuni paesi sono diventati in effetti uno snodo importante per chi cerca di fare affari senza il peso della guerra, ma la Russia che non si identifica con Putin, con la guerra,  con il massacro degli ucraini e con l’isolamento internazionale esiste davvero. 

 

Il Cremlino  in questi anni aveva stretto alleanze importanti  con i paesi dell’Asia centrale, aveva mantenuto la collaborazione con l’Armenia e aveva rotto ogni rapporto con la Georgia. Dall’invasione, anche gli alleati di sempre hanno preso le distanze e la Georgia, che si è allontanata dalla Russia dal 2008, teme di nuovo l’arrivo delle truppe di Mosca. Putin ha giustificato questa guerra dicendo di dover  salvare la popolazione russa oppressa in Ucraina: in luglio l’Ossezia del sud, la regione separatista filorussa tra Mosca e Tbilisi, potrebbe indire un referendum per sancire l’adesione alla Russia. Il fatto che ci siano molti russi – ne sono arrivati almeno 25 mila  – fa temere ai georgiani che Putin possa avere un pretesto in più per minacciare la loro nazione. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)