Occhio in Siria
La guerra e la crisi del grano inguaiano Assad, alleato di Putin
Gli alleati in difficoltà e il popolo sempre più affamato. Una combinazione pericolosa per il regime di Damasco
Bashar el Assad vuole uscire dall’isolamento internazionale in cui è stato relegato dopo dodici anni di guerra e guarda con apprensione alle difficoltà incontrate dai suoi principali sponsor, la Russia ed Hezbollah. Il Cremlino sta spendendo enormi risorse nella sua campagna di Ucraina e il partito paramilitare libanese non è riuscito a mantenere la maggioranza alle ultime elezioni parlamentari. Assad è molto esposto nei confronti di entrambi e sa di non essere un loro semplice alleato, ma piuttosto un debitore. Il dittatore siriano è l’unico capo di stato mediorientale che ha riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche di Donetsk e Luhansk e, mesi fa, Vladimir Putin in persona aveva minacciato di inviare al fronte ucraino un fantomatico contingente mediorientale reclutato in Siria. Era solo un bluff, ma ieri il re Abdullah di Giordania ha avvertito che i russi si stanno disimpegnando dal sud della Siria lasciando a Iran e Hezbollah la possibilità di riempire il vuoto. “E’ un problema per noi, perché ora assistiamo a continui incidenti alla frontiera – ha detto Abdullah – I russi invece davano una certa stabilità”.
In Libano però Hezbollah ha subìto un duro colpo alle elezioni e molti vecchi satrapi di Assad non sono stati rieletti. Contro ogni previsione, la coalizione del partito filo iraniano ha ottenuto solamente 61 seggi, 10 in meno rispetto alle elezioni del 2018. Fra questi hanno mancato la rielezione l’ex ministro Faisal Karami, l’ex vicepresidente del Parlamento Elie Ferzli, e Talal Arslan, sempre eletto da 30 anni. Anche il Movimento patriottico libero, alleato di Hezbollah e guidato dall’attuale presidente libanese, Michel Aoun, ha perso voti. A guadagnarne, invece, sono stati i cristiani delle Forze libanesi di Samir Geagea, acerrimi nemici di Hezbollah e del partito Ba’th di Assad.
Con Hezbollah in difficoltà, per il presidente siriano è ancora più urgente diversificare le sue alleanze. A marzo era andato in visita negli Emirati Arabi Uniti, che stanno mediando con gli altri paesi per un ritorno della Siria nella Lega araba. L’opposizione di Arabia Saudita, Qatar ed Egitto al momento ostacola i piani di Assad, che è tornato a rivolgersi ai vecchi amici. La settimana precedente alle elezioni in Libano, era volato in Iran per incontrare l’ayatollah Ali Khamenei e il presidente Ebrahim Raisi. L’incontro è stato altamente simbolico perché era dal 2011 che il presidente siriano non andava in visita a Teheran: “La Siria è ormai vista come una potenza”, ha azzardato Khamenei. “L’America non è mai stata così debole, dobbiamo continuare così”, ha risposto Assad.
Dietro a questo scambio di convenevoli c’era il denaro, tanto, di cui il presidente siriano ha estremo bisogno e che finora ha sempre ricevuto in abbondanza proprio dall’Iran. La Siria è uno dei paesi che sta soffrendo di più dell’aumento dei prezzi del grano e della mancanza di approvvigionamenti causati dalla guerra in Ucraina. Secondo l’Onu, il 90 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e l’80 per cento soffre della mancanza di cibo. Per ridurre le spese, Assad ha tagliato i sussidi per il pane e il gasolio, colpendo le classi medie, tra cui molti dipendenti della colossale macchina statale e delle forze armate. Secondo Haid Haid, ricercatore associato del think tank britannico Chatham House, Assad vuole contenere il malcontento facendo della Siria il mercato di riferimento del grano che i russi hanno sottratto all’Ucraina. Lo scorso 5 maggio, una nave cargo russa proveniente dal mar Nero, la Matros Pozynich, aveva tentato di attraccare ad Alessandria in Egitto per vendere il grano. Dopo le proteste dell’Ucraina, la nave è stata costretta a fare rotta sul porto siriano di Latakia. “Il boicottaggio della Russia per via della guerra in Ucraina potrebbe spingere Mosca ad aumentare i suoi scambi commerciali con la Siria”, spiega Haid al Foglio.
Il malcontento ha anche un altro lato della medaglia, che riguarda la sicurezza. Nelle ultime sei settimane, il numero di attentati contro l’esercito di Assad e i funzionari locali è aumentato in modo anomalo. Si tratta di attacchi rudimentali, solitamente compiuti con bombe artigianali, ma stanno diventando una costante. Solo alcuni di questi sono stati rivendicati dallo Stato islamico – l’ultimo è avvenuto mercoledì nel deserto siriano, nell’area di Wady al Zakara, dove due soldati del regime sono stati uccisi. Molti degli altri invece non sono stati rivendicati e, secondo Haid, “sono il risultato di diversi fattori interni, incluso l’aumento della povertà e la continua repressione del regime. La rabbia contro Assad cresce anche nei territori rimasti sotto il suo controllo, dove gruppi armati come lo Stato islamico o altre milizie locali della resistenza sono ancora in grado di colpire”.
Negli ultimi giorni, con una mossa distensiva, Assad ha rilasciato oltre 450 persone rinchiuse e torturate per anni nelle carceri. Ma secondo l’agenzia di stampa turca Anadolu molti di coloro che hanno beneficiato dell’amnistia hanno pagato un riscatto. Nelle prigioni governative restano rinchiuse ancora diverse decine di migliaia di detenuti politici.