La mossa dell'America
Perché Biden ha deciso di mandare le sue truppe in Somalia
Il Pentagono ha deciso di dispiegare nuovamente centinaia di militari per permettere al governo del nuovo presidente di stabilizzare il paese, che tradotto significa una migliore gestione della minaccia terroristica
Le elezioni dello scorso 15 maggio in Somalia si sono tenute dentro un hangar aeroportuale. Luogo bizzarro in cui votare, ma serviva uno stabile che fosse a prova di bomba e che reggesse anche in caso di attentato terroristico, così la scelta è stata obbligata. Fuori dall’hangar, in funzione protettiva, erano schierate le forze armate dell’Unione africana. Per di più nella capitale Mogadiscio era stato indetto un coprifuoco. Tutto per evitare che al Shabaab – il gruppo terroristico islamista alleato di al Qaida che nel paese è così influente da controllare la riscossione delle tasse, i commerci e buona parte del sistema giudiziario – riuscisse a colpire il prossimo presidente eletto. Basterebbero questi dati per farsi un’idea del grado di precarietà della democrazia somala, ma ce ne sono degli altri che meritano di essere citati: le elezioni si sono tenute con oltre un anno di ritardo, in quello che per una fetta di popolazione era un tentativo illegittimo dell’ex presidente Mohamed Abdullahi Mohamed (noto anche come Farmajo) di mantenere il potere oltre il proprio mandato. Per altri, invece, la situazione non rendeva possibile lo svolgimento del processo elettorale proprio per l’estrema mancanza di sicurezza. Altro dettaglio significativo: una legge approvata due anni fa prevede che finalmente tutti i cittadini possano partecipare alle elezioni, dopo decenni in cui il diritto di voto in Somalia era riservato ai capi dei clan. Non è stato possibile: hanno votato solamente i 328 parlamentari chiusi nell’hangar.
Il nuovo presidente, Hassan Sheikh Mohamud, è stato eletto con 214 preferenze. E’ per via di questa estrema vulnerabilità della Somalia che il presidente americano Joe Biden ha deciso di firmare un ordine esecutivo che autorizza formalmente il Pentagono a dispiegare nuovamente centinaia di militari per condurre operazioni speciali nel paese. La presenza militare statunitense era cessata durante la presidenza di Donald Trump, quando per un ordine del dicembre 2020 si era passati da 700 militari a zero. D’altronde è noto che il sovranismo in salsa trumpiana avesse un’idea precisa in politica estera: la diminuzione dell’impegno statunitense al di fuori dei propri confini, la conseguente riduzione della propria proiezione politica in favore delle potenze anti occidentali e quindi il ritiro, o la diminuzione, delle proprie truppe. La decisione di Biden va nel senso opposto e arriva a fronte della richiesta da parte del segretario della Difesa americano Lloyd Austin.
Il cambio di strategia porterà a due risultati nel breve termine: l’arrivo in territorio somalo di 450 militari (che serviranno soprattutto ad addestrare le forze governative e supportarle nelle zone più a rischio, cioè quelle del centro e del sud del paese) e l’istituzione di un’autorità permanente finalizzata a neutralizzare alcuni esponenti di spicco del gruppo jihadista al Shabaab. Le due misure, auspicabilmente, permetteranno al governo del nuovo presidente somalo di stabilizzare il paese, che tradotto significa una migliore gestione della minaccia terroristica. Inoltre l’idea è quella di ridurre il pericolo che al Shabaab compia attentati terroristici, anche su larga scala, in altri stati.
In Kenya, nel gennaio 2020, fu proprio al Shabaab a colpire per la prima volta le truppe americane nella base militare di Camp Simba, nella contea di Lamu. Le vittime furono tre e diversi i mezzi distrutti. Succedeva a poche settimane dalla decisione di Donald Trump di ritirarsi dalla Somalia. Pochi giorni prima nelle Filippine veniva arrestato Cholo Abdi Abdullah, un sospetto affiliato ad al Shabaab che si addestrava a pilotare aerei e che preparava, secondo i giudici, un attacco terroristico “in stile 11 settembre” contro una città statunitense. Oggi c’è del ragionevole scetticismo sul fatto che il neoeletto Hassan Sheikh Mohamud riesca ad arginare definitivamente la minaccia terroristica in Somalia, ma il solo fatto che si siano riuscite a tenere delle elezioni, insieme al nuovo impegno di Washington, fa sì che le speranze siano deboli, ma non nulle.