prigionieri di guerra\2
Putin affama anche i suoi soldati, non avrà scrupoli con i soldati del nemico
Il capo del Cremlino non riesce a vincere anche perché applica il suo metodo feroce al suo stesso esercito
La Croce Rossa ha identificato e registrato centinaia di prigionieri di guerra che stanno lasciando l’acciaieria Azovstal di Mariupol: in tutto, secondo le fonti russe, sono più di millesettecento, anche se non si sa se il numero è preciso né se e quanti combattenti sono ancora dentro ai tunnel. La Croce Rossa precisa che non si occupa del trasferimento dei prigionieri ma solo della registrazione e di mettere in contatto questi uomini con le loro famiglie: tutto il resto, cioè il destino di questi prigionieri, è nelle mani dei russi.
Il fatto che Vladimir Putin voglia dichiarare terroristi i combattenti di Azovstal e istituire un proprio tribunale di guerra non fa ben sperare, così come l’arrivo di funzionari russi di alto rango ieri nella regione fa temere che Putin ne stia già organizzando l’annessione. E’ difficile immaginare che a Mariupol – distrutta e spopolata: il primo bottino di questa guerra per Mosca – si possa organizzare una resistenza contro i russi come accade a Kherson. Si discute molto del destino dei prigionieri ucraini e anche del fatto che, essendosi consegnati, questi uomini abbiano fornito una nuova arma di ricatto a Putin. Ma il punto è: è plausibile pensare che Mosca possa mai trattare degnamente i soldati del nemico? A giudicare da come tratta i suoi, di soldati, la risposta è no. Su Foreign Affairs, Dara Massicot, esperta di difesa russa, ha pubblicato un saggio dettagliato e straziante in cui racconta l’indifferenza di Putin nei confronti degli uomini che servono nel suo esercito.
Questa indifferenza si nutre del fatto che la Russia non tiene in nessun conto la vita e il benessere dei suoi soldati. E nemmeno della loro morte: lascia i cadaveri sul terreno o li stipa in frigoriferi che poi nessuno gestisce, non comunica con le famiglie, non cura i feriti, non ammette nemmeno che ci siano state così tante vittime. I militari americani dicono: “A good soldier is a happy soldier”, un soldato pagato, curato e motivato è un soldato molto più efficace: è conveniente per l’esercito preoccuparsi dei propri uomini. A Mosca vale il contrario: decine di intercettazioni lo testimoniano, e fin da subito si è capito che il morale basso dei soldati avrebbe avuto conseguenze, non soltanto sulle operazioni militari della stessa Russia andate a rilento e in alcune parti del tutto fallimentari. I crimini commessi a Bucha e nelle cittadine invase e abbandonate dai russi (di Mariupol non sapremo nulla, ma sappiamo perfettamente cosa è successo) si fondano sulla licenza di uccidere, di torturare, di violentare uomini, donne e bambini (sessanta sono i bambini stuprati, un’enormità), di saccheggiare e distruggere.
Invece di vietare queste brutalità, Putin non solo le ha premiate, ma le ha alimentate, affamando anche i suoi stessi soldati. L’esercito russo ha mandato ranci scaduti ad alcune divisioni, un numero insufficiente di ranci ad altre, sacchi pieni di patate che sono marcite subito ad altre ancora. E spesso si è “dimenticato” di pagare i suoi soldati. Questo non giustifica la ferocia dei soldati, ma un po’ la spiega. Spiega anche perché Putin deve rivendere internamente la sua guerra come un successo, perché fa una grande fatica a trovare nuovi coscritti, perché non vuol far sapere a nessuno chi è vivo e chi è morto. Se questo è il disprezzo per i propri uomini, per i propri soldati, sappiamo già che ne sarà dei soldati del nemico.
Dalle piazze ai palazzi
Gli attacchi di Amsterdam trascinano i Paesi Bassi alla crisi di governo
Nella soffitta di Anne Frank