il califfo in manette
Il blitz turco all'Isis. Catturato il nuovo capo
L'uomo che quasi tre mesi fa ha preso la guida dello Stato islamico è stato arrestato dalle autorità di Ankara. La nuova fase da braccati dei leader islamici
Abu al Hassan al Hashimi al Quraishi è il laqab, il nome di battaglia, dell’uomo che quasi tre mesi fa ha preso la guida dello Stato islamico, diventando il terzo califfo dopo il suo (quasi) omonimo Abu Ibrahim al Hashimi al Quraishi e il ben più famoso Abu Bakr al Baghdadi. Secondo quanto riportato ieri dall’emittente turca OdaTv – e confermato da un funzionario locale a Bloomberg – le autorità di Ankara avrebbero arrestato al Quraishi a Istanbul durante un blitz delle forze di sicurezza e dalla polizia. L’operazione viene definita un successo, realizzato senza sparare un colpo, che avrebbe permesso di rintracciare al Quraishi nel suo ultimo nascondiglio. Si tratterebbe della prima volta nella storia che il leader del gruppo jihadista viene catturato vivo. Si è in attesa dell’annuncio ufficiale da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Di al Quraishi, come pure dei suoi predecessori, si sa poco. Persino il suo vero nome è circondato dal mistero, a differenza dell’epiteto guerresco che ha scelto, insieme alla via del jihad. Certamente di origine irachena, il terzo califfo è entrato a far parte dell’organizzazione durante la sua fase embrionale, assumendo poi incarichi di livello. Secondo fonti irachene citate da Reuters, al Quraishi sarebbe Juma Awad al Badri, fratello maggiore dell’ex leader al Baghdadi. Il terzo califfo è stato emiro del Diwan per l’educazione, una specie di ministro dell’istruzione del Califfato, arrivando poi alla leadership del Consiglio della Shura (una specie di Corte costituzionale che vigila sull’aderenza delle leggi del Califfato alla sharia). La sua ascesa come terza guida dell’organizzazione è stata ufficializzata il 10 marzo scorso, un mese dopo la morte del secondo califfo, con la divulgazione di un messaggio audio del portavoce ufficiale dello Stato islamico, Abu Omar al Muhajir.
A differenza di al Quraishi, i primi due califfi sono stati liquidati dalle forze americane nella stessa zona: il governatorato siriano di Idlib, una delle ultime aree del paese fuori dal controllo del regime di Bashar el Assad. La zona è nelle mani di ribelli siriani filoturchi e dei jihadisti di Hayat Tahrir as-Sham (Hts), nato da quella che un tempo era la branca siriana di al Qaida. Ankara ha un’influenza considerevole sulla zona e sui gruppi militari che la controllano. Basti pensare che, nelle ultime settimane, Hts ha consegnato ai turchi diversi prigionieri provenienti da gruppi jihadisti rivali, compresi esponenti dello Stato islamico. I ribelli anti Assad, inoltre, negli ultimi anni sono stati più volte cooptati dai turchi nelle operazioni contro le Ypg, le Unità di protezione del popolo curde che Ankara considera gruppi terroristici legati al Partito dei lavoratori curdi (Pkk).
Su questo e su altri punti Erdogan andrà probabilmente a giocarsi la carta della cattura di al Quraishi sui tavoli internazionali. “C’è chiaramente l’intento da parte di Erdogan di migliorare la sua posizione sia in ambito regionale, sia con gli attori occidentali: in primis gli Stati Uniti”, spiega al Foglio, Giuseppe Dentice, responsabile del desk medio oriente e Nord Africa del Ce.SI, Centro studi internazionali. Ankara, pertanto, potrebbe usare la cattura del califfo come prova del suo impegno contro il terrorismo, chiedendo allo stesso tempo che l’occidente accolga le sue richieste sul Pkk. “Mi aspetto che Erdogan usi questa retorica, legittima dal suo punto di vista”, spiega ancora Dentice. “Il riferimento a Finlandia e Svezia è chiarissimo, perché ospitano elementi del Pkk”. E’ proprio con questa motivazione che la Turchia osteggia l’ingresso dei due paesi nordici nella Nato. “In questo senso, Ankara aveva bisogno di qualcosa per realizzare un do ut des con gli interlocutori occidentali, e il presunto arresto di al Quraishi capita in un momento propizio”, conclude l’esperto.
Fino a pochi mesi fa, in pochi avrebbero dubitato della capacità dello Stato islamico di resistere a eventi traumatici come l’eliminazione del proprio leader. Dopo un califfo se n’è sempre fatto un altro, e l’organizzazione ha dimostrato grande resistenza. Come osservato da Hassan Hassan, uno dei massimi esperti al mondo sul tema, oggi però l’insicurezza è maggiore. I leader del gruppo si trovano braccati con mezzi sempre più avanzati, individuati da fonti d’intelligence, liquidati con raid chirurgici e, come nel caso del terzo califfo, forse anche catturati e usati come leva per altri scontri di potere internazionali.