La riflessione
L'impotenza americana sulle armi dopo la strage di Uvalde
Accanto a chi vorrebbe intervenire subito, c'è una parte del paese che non accetta neanche di aprire la discussione. Questo mondo frantumato è l’America di oggi, ma la contraddizione, il flusso emotivo e culturale che ne fuoriesce è la linfa che formulerà la ripartenza
Pare proprio che la strage di Uvalde certifichi che l’America si stia finalmente rivelando come il regno del male e che decenni di teorie sulla terra delle libertà e sulla volontà di democratizzazione del mondo naufraghino, sommersi dalla follia omicida di un popolo talmente armato da dover far fuoco per forza, come se fosse il suo vero destino manifesto. Sfogliando i quotidiani ci s’imbatte in titoli sulla vergogna d’essere americani e sull’inarrestabile disvelarsi di una nazione di estremisti che troppo a lungo ha goduto d’impunità e immeritato rispetto. Sul treno in corsa dello sputtanamento americano monta una varia umanità, sospinta da motivazioni che contemplano l’anti imperialismo e la propaganda filocinese, vecchie pregiudiziali anticonsumiste e l’attivismo contro la guerra preventiva, pacifismi, antirazzismi e misticismi vari, contro la volontà diabolica del Grande Satana.
Del resto, sterminando i bambini senza reagire con la dovuta durezza, si finisce sulla gogna – è il minimo che ci si possa aspettare se per decenni si è incarnato il modello, l’ispirazione, il progresso. E’ il momento delle sparate, è l’acquario della propaganda che diffonde un’invenzione dell’America che dissemina falsità, senza rispetto per il basilare stato d’animo della nazione in questo momento, allorché i fatti del Texas le hanno sbattuto in faccia che, per quel che riguarda la circolazione delle armi e alcune garanzie offerte dal dettato costituzionale, la misura è colma.
L’America si è risvegliata come non mai perplessa e confusa, inane e impotente di fronte alla sua stessa rappresentazione. Che il disastro sia in atto è chiaro a entrambi i fronti della nazione divisa: quella che vuole dire basta all’armamento incondizionato della popolazione – grosso modo incolonnandosi dietro le parole di Biden – e quella che, esprimendo costernazione per come le cose abbiano preso una piega sbagliata, non si fa sfiorare dall’idea che lo stragismo seriale vada disinnescato limitando la libera opzione del cittadino di autodifendersi, perché questo è il sale di quella terra e il suo immutabile corollario di diversità. Entrambi questi mondi credono fino in fondo a ciò che perorano: controllare o permettere, senza gradi intermedi di separazione. L’attonito sconcerto che ora pervade il paese, nella generalizzata incapacità di produrre un rimedio significativo e soprattutto condiviso, crea un vuoto anche nella definizione etica dell’americanità contemporanea, rotto soltanto dai fragori mediatici.
Steve Kerr, stimatissimo coach dei Golden State Warriors, nel post-partita delle finali Nba si rifiuta di commentare il gioco e pronuncia un disperato appello affinché davanti alle creature straziate si faccia qualcosa, subito e senza indugi, perché gli americani mandano a Washington dei politici che dovrebbero rappresentare le loro idee, non amministrarle a proprio piacimento. Le sue parole sono travolgenti e tutti pensano che un coach di basket sappia dire al mondo ciò che un presidente fatica a pronunciare: non rinunciamo alla nostra civiltà. E’ un attimo rinfrancante, per chi cerca tracce della mente americana che ha ammirato.
Poi in un altro filmato, si vede la conferenza stampa del governatore del Texas, Greg Abbott, a Uvalde: Beto O’Rourke, democratico ed ex candidato alle primarie del 2020, affronta con veemenza i notabili seduti sul palco: “Dovete fermare i massacri e invece non state facendo niente” urla, mentre i poliziotti gli si fanno incontro. “Non potete soltanto dire che non si poteva prevedere”. Dagli scranni nessuna reazione, espressioni di pietra, zero comprensione: “Quello stronzo non deve permettersi di fare politica adesso”, gli grida in faccia il sindaco del paese, incoraggiando le guardie a buttarlo fuori.
In sostanza dobbiamo accettare che esista una grande America che non accetta neanche di aprire la discussione, e che questo atteggiamento non è solo prerogativa dei senatori che godono delle sovvenzioni dell’associazione degli armaioli. I quali, peraltro, vanno a congresso nel weekend, con un ospite d’onore a parlare: il governatore Abbott. L’istantanea è questa: un’America rabbiosa che soffre e una che scuote la testa, sapendo che il tempo farà il suo lavoro e che la Storia non si cancella per la bravata di un ragazzino pazzo. Questo mondo frantumato è l’America di oggi, la spaccatura è la fonte della sua contraddizione, il flusso emotivo e culturale che ne fuoriesce è la sua linfa e la forza che formulerà la ripartenza. Le condoglianze, i borbottii e i commenti a margine sono solo soffi d’aria, fastidiosi e inconsistenti.