Il vertice delle crepe
Il sesto round di sanzioni a Mosca s'è annacquato per accontentare tutti
Il pasticcio sull’embargo del petrolio mostra che c’è un limite a quanto alcuni stati membri sono disposti a pagare per imporre uno costo insostenibile a Putin per la sua guerra. Nei negoziati europei c’è un effetto domino di lentezza. Ma un’intesa al ribasso è meglio che niente, dice il nord dell’Ue. Draghi: “Putin non deve vincere”. Le richieste ungheresi
Bruxelles. I capi di stato e di governo dell’Unione europea lunedì sono stati costretti a lanciarsi in una maratona negoziale per cercare di convincere il premier ungherese, Viktor Orbán, a dare il via libera al sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, che la Commissione ha presentato ben quattro settimane fa. Nonostante trattative estenuanti e concessioni significative, Orbán ha lasciato tutti con il fiato sospeso fino all’ultimo sulla possibilità di un accordo sull’embargo del petrolio russo. Mentre l’Ucraina si avvicina al centesimo giorno della guerra russa, anche l’Ue torna alle vecchie abitudini di lentezza e divisioni. Come i villaggi Potëmkin fatti costruire lungo le rive del Dnepr da Grigorij Aleksandrovič Potëmkin per impressionare Caterina II durante il suo viaggio in Crimea nel 1787, dietro la facciata dell’unità dell’Ue si nascondono crepe sempre più profonde. Sulle sanzioni, ma anche sulla strategia per rispondere alla guerra di Vladimir Putin.
Il sesto pacchetto di sanzioni, proposto dalla Commissione a inizio maggio, viene presentato come uno strumento essenziale per ridurre la capacità di Putin di finanziare la sua guerra. La misura più importante è l’embargo del petrolio, anche se sarà introdotto in modo graduale: sei mesi per dare alla Germania il tempo di trovare fornitori alternativi. Sin da subito l’Ungheria, vista la sua dipendenza quasi totale dal greggio russo, aveva ottenuto alcune concessioni: due anni in più per applicare l’embargo e la promessa di centinaia di milioni di euro per ristrutturare la sua infrastruttura petrolifera. Non è bastato. Nel fine settimana il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha offerto a Orbán quella che di fatto è un’esenzione totale, anche se teoricamente temporanea: l’esclusione degli oleodotti dall’embargo. Lunedì mattina gli ambasciatori dei ventisette stati membri hanno annunciato un’intesa “di principio”. Poche ore dopo, Orbán si è presentato davanti alla stampa per dire “non c’è nessun compromesso, nessun accordo” e chiedere un’altra concessione: “La deroga sugli oleodotti non è male, è un buon approccio. Ma dobbiamo avere la garanzia che in caso di incidente all’oleodotto in Russia o in Ucraina possiamo ricevere il petrolio russo da altre rotte”.
L’esenzione per gli oleodotti esclude dall’embargo circa un terzo delle importazioni dalla Russia. Alcuni sospettano che il governo tedesco possa approfittare dell’esenzione per l’oleodotto Druzhba, che ha due ramificazioni: una a sud verso Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca, l’altra a nord verso Polonia e Germania. Diversi paesi – tra cui Italia e Paesi Bassi – hanno denunciato il rischio che l’Ungheria rivenda benzina e gasolio prodotto con greggio russo a basso costo facendo concorrenza sleale al resto dell’Ue costretto a comprare petrolio più caro. Michel si è detto comunque “fiducioso” in un’intesa. Pur di approvare il sesto pacchetto, gran parte dei leader si è mostrata comprensiva con Orbán. “Se il 90 per cento dell’Ue applica l’embargo, è comunque meglio di niente”, ha detto il premier estone, Kaja Kallas. Probabilmente serviranno ancora giorni, se non settimane, per trasformare l’accordo politico in un testo legislativo. Nel frattempo il sesto pacchetto di sanzioni è stato annacquato su richiesta di altri stati membri. Bulgaria e Croazia hanno avuto altre deroghe. Grecia e Cipro hanno ottenuto tre mesi in più sul divieto di assicurare le petroliere che trasportano greggio russo.
Il pasticcio sull’embargo del petrolio mostra che c’è un limite a quanto alcuni stati membri sono disposti a pagare per imporre uno costo insostenibile a Putin per la sua guerra. Al di là delle sanzioni iniziano a emergere divisioni sulla strategia di guerra. Emmanuel Macron e Olaf Scholz continuano a parlare con Putin e insistere su negoziati. Mario Draghi ha detto che “è essenziale che Putin non vinca questa guerra”, aggiungendo che è scettico sull’utilità delle telefonate anche se almeno mostrano che è Mosca “a non volere la pace”. Per gran parte dei paesi dell’est e del nord quello di Francia e Germania è appeasement controproducente. “Per avere sicurezza in Europa, una pace che abbia significato, la Russia deve perdere questa guerra e l’Ucraina deve vincere”, ha detto il premier lettone, Krišjanis Karinš. “L’Ucraina non ha ancora vinto questa guerra. Il che significa che non abbiamo fatto abbastanza”, ha detto l’estone Kallas.
“È una vergogna che non siamo stati ancora in grado di adottare il sesto pacchetto di sanzioni”, ha spiegato il presidente lituano, Gitanas Nauseda, chiedendo di “iniziare a considerare il settimo pacchetto di sanzioni”. Intervenendo in teleconferenza al Consiglio europeo, il presidente ucraino, Volodymy Zelensky, ha lanciato un appello all’unità: “L’Europa deve mostrare forza, perché la Russia capisce solo la potenza come argomento. E’ tempo di non essere divisi (...). I litigi in Europa devono finire. Le dispute interne incoraggiano solo la Russia a fare più pressione” sull’Ue.