doppio stop
Gazprom stacca il gas ai paesi che se lo possono permettere. Il prossimo potrebbe essere la Danimarca
Chi non paga in rubli sa di poter fare a meno del metano di Putin. Tra Paesi Bassi, Bulgaria, Finlandia e Polonia, Mosca ha rinunciato a esportare circa il 15 per cento di quello che ogni anno vende in Europa
Gazprom ha annunciato la sospensione delle forniture di gas naturale all’Olanda. La decisione della compagnia, controllata dalla Federazione russa, segue l’indisponibilità della società olandese GasTerra di saldare il pagamento in rubli, come previsto dal decreto firmato a marzo da Vladimir Putin. L’Olanda si aggiunge così a Polonia, Bulgaria e Finlandia, mentre si prospetta la possibilità di uno stop anche all'export verso la Danimarca. La compagnia danese Ørsted infatti ha detto ieri che “c’è il rischio che Gazprom possa sospendere le forniture di gas”. Il motivo è sempre lo stesso: nemmeno Ørsted intende conformarsi alle regole di pagamento unilaterali emanate dalla Federazione russa. Entrambi i paesi, in ogni caso, affermano che grazie agli stoccaggi e all’aumento delle forniture di gas in forma liquefatta, non ci dovrebbero essere contraccolpi sulla sicurezza energetica.
A differenza di alcuni paesi più marcatamente dipendenti dal metano russo, Germania e Italia in primis, Olanda e Danimarca non sfrutteranno il sistemma a doppio conto elaborato da Gazprombank. Si tratta di un procedimento che prevede l’apertura di due conti presso l’istituto di credito controllato da Gazprom. I pagamenti vengono versati qui in euro o dollari e successivamente convertiti in rubli da un operatore finanziario. Una soluzione che non viola le sanzioni stabilite dall’Ue e permette di continuare ad acquistare il gas di Mosca, già adottata da alcuni giganti europei come Eni e Uniper.
La quota di mercato rappresentata dai paesi a cui sono state bloccate le forniture ammonta a circa il 15 per cento di quello che Gazprom esporta in Europa ogni anno. Nel 2020 l’Ue ha acquistato circa 155 miliardi di metri cubi di metano dalla Russia. La quota importata dalla Polonia nel 2020 è stata di circa dieci miliardi di metri cubi, mentre quella della Bulgaria è stata di 2,2 miliardi. Adesso a questi bisogna aggiungere la quota olandese, che secondo l’ufficio doganale russo è stata di 6,7 miliardi di metri cubi per il 2021, quella della Danimarca circa 2,23 miliardi di metri cubi (dichiarazioni di Ørsted). Completano il quadro le importazioni, praticamente simboliche, della Finlandia.
In totale, con le dovute approssimazioni, si arriva a 21 miliardi di metri cubi. Una quota inferiore alla metà di quella importata la sola Germania (45mld di metri cubi nel 2021). Ne consegue che l’impatto per l’industria del metano russa è ancora contenuto, con la possibilità di dirottare almeno parte di questo mercato andato in fumo presso altri compratori come la Cina. La Russia, in sostanza, ha sfruttato le reticenze di alcuni paesi europei ad accettare le sue condizioni per dimostrare a tutti gli altri che il decreto di Vladimir Putin non fosse un bluff. Così, il Cremlino mostra i muscoli agli acquirenti che non può permettere di perdere, lasciando intendere che sarebbe disposto ad applicare la stessa sanzione radicale anche con loro.
Nella narrativa di Putin non sono i paesi reticenti a smettere di comprare, ma è sempre Gazprom che si muove di anticipo e annuncia di aver deciso uno stop alle forniture. Ma come ha ricordato oggi a Bruxelles il premier Mario Draghi, la Russia ha applicato condizioni diverse in base all’interlocutore. In alcuni casi arrivando a negare, come per la Polonia e la Bulgaria, la possibilità di utilizzare il sistema a doppio conto messo a disposizione dei grandi player italiani, tedeschi e francesi ed esigendo un pagamento direttamente in rubli, quasi a voler “forzare” lo stop alle forniture.
Dalle piazze ai palazzi