La teoria morale della resa è un pretesto codardo opposto al realismo della resistenza

Giuliano Ferrara

Stare dalla parte di Putin è un invito alla rassegnata, prudente accettazione del quieto vivere con la prepotenza anche quando si risolve in una minaccia letale per la libertà e l’identità di una nazione. Un campione d’epoca che va studiato

Stare dalla parte di Putin è una posizione politica e ideologica. Essere contro l’occidente e impermeabili alla sua retorica è un’altra posizione politica. Predicare la necessità e l’urgenza della pace è una posizione a sfondo religioso. Sono modi di trattare il bene e il male, mescolarli nei significati, e scegliere. Il cinismo moraleggiante, cioè l’indifferenza al bene e al male amministrata con una cautelosa etica del risparmio, un cinismo di specie inferiore a quello classico e politico, sta da un’altra parte. La teoria morale della resa, applicata alla difesa degli ucraini dall’invasione russa con il sostegno dell’occidente via sanzioni e armamenti, non è semplicemente un’opinione, è un campione d’epoca che va studiato; né va confusa con la discussione su quali siano le condizioni strategiche per il rilancio di un negoziato che non passi sulla testa di un esercito e di un popolo impegnati nei combattimenti.

 

La teoria morale della resa è un modo nuovo, specifico di questo tempo e solo di questo tempo, di concepire l’esistenza a partire da due delle sue basi classiche, la libertà e il valore della vita. Il cuore di questa teoria è che se un nemico più forte di te entra in guerra per distruggere la tua identità, indipendenza e libertà, devi arrenderti e consegnarti a lui per risparmiare vite umane e garantire la pace, una pace di cui fanno parte la sottomissione, il flusso contrattuale (minacciato) delle materie prime alle economie danneggiate dalle sanzioni, la salvezza umanitaria contro la prospettiva di infinite vittime militari e civili. Il corollario è che, se non ti arrendi e combatti in difesa del tuo territorio, delle case e delle persone investite dall’offensiva dei bombardamenti e dal passo dei carri armati nemici, ti trasformi in un criminale di guerra che sacrifica a una logica di potere vita, interessi e ragioni profonde di esistenza pacifica del proprio popolo.  E chi ti aiuta manipola le cose per scopi politici indicibili e ingiustificabili come l’umiliazione dell’invasore.

 

Il “meglio rossi che morti” di Bertrand Russell e dello storico E. P. Thompson era il rovesciamento polemico dell’espressione usata da Joseph Goebbels per rafforzare le ragioni dell’invasione tedesca dell’Unione sovietica, “meglio morti che rossi”, e si spiegava per via del nascente incubo nucleare e del contrasto ai fenomeni più sbilenchi e oscuri dell’anticomunismo da Guerra fredda. Nonostante affinità e parentela indiretta, la teoria morale della resa non è della stoffa di quell’oltranzismo pacifista, non è un appello alla lotta contro la Guerra fredda ma un invito alla rassegnata, prudente  accettazione del quieto vivere con la prepotenza anche quando si risolve in una minaccia letale per la libertà e l’identità di una nazione. E’ la cancellazione della saggezza classica, dulce et decorum est pro patria mori, e il suo rimpiazzo con la moralina modernista che vuole amaro e indecoroso combattere e morire per una patria. L’opposto della teoria morale della resa non è l’estremismo combattentistico o l’eroismo o anche la semplice risposta alla disperazione delle cose. 

 

L’opposto è il realismo della resistenza, il tentativo saggio e ponderato di definire il perimetro oltre il quale l’imperialismo di un aggressore va respinto, e non “costi quel che costi”, altrimenti le truppe Nato avrebbero dovuto intervenire direttamente in campo, ma sulla base di una misura etica e politica dei costi possibili.

 

Alla Conferenza di Monaco, nel settembre del 1938, Francia e Gran Bretagna si riunirono con Hitler e Mussolini e concessero alla Germania la facoltà di smembrare uno stato europeo come la Cecoslovacchia. Era un atto politico insensato, sbagliato, anche quello compiuto in nome della “pace per il nostro tempo”, ma era un atto politico. Analogamente, gli “accordi di Minsk”, che hanno nella sostanza, senza dirlo, consentito a Putin di considerare acquisita la Crimea e di mettere sotto tutela indiretta, preparandosi all’offensiva attuale, il Donbas, furono il nostro “momento Monaco”. Ma anche quegli accordi sono stati un tentativo di politica dissuasiva, sebbene largamente fallito.

 

La teoria morale della resa non appartiene a questa categoria della politica, esprime il compiacimento per la fine di una certa nozione di comunità e di individuo, di libertà e autonomia di scelta, erige a una vetta inaudita non il rifiuto della guerra ma la desolidarizzazione verso l’aggredito e la codardia.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.