La ricetta di Lilibeth
Un giubileo di platino con solo due cedimenti. Ecco il segreto di Elisabetta
Settantanni di regno con due crepe: la morte di Diana e i nodi giudiziari del figlio Andrea, reo di aver stretto amicizie poco raccomandabili (vedi Jeffrey Epstein). Poi nient’altro
Comandare è meglio che fottere ma fino a un certo punto. Giubileo per la regina, Burberry le dedica un foulard commemorativo e a Stonehenge si illuminano i sassi con la sua faccia. Che pacchianate, pure gli inglesi.
Elisabetta di Windsor, 96 anni anni sfolgoranti di cui settanta istituzionali di regno. Muore il padre e la devono incoronare di corsa, gioventù bruciata e subito una guerra mondiale. Discussioni con Churchill per il destino dell’Inghilterra. Da lì in poi, è sempre sembrata scolpita nel ghiaccio. Momenti di esitazione agli atti nel numero di due.
Il primo, la morte di Diana e lei che si rifiutava di tornare a Londra. Dall’ultimo tomo di Andrew Morton: “Con la folla attorno ai palazzi che si ingrossava al ritmo di seimila persone l’ora, i funzionari di Downing Street temettero che potessero scoppiare tumulti. Servivano dieci ore di fila per firmare i registri delle condoglianze. Ancora nessuna bandiera. ‘Dov’è la regina?’, chiedeva la gente in lutto al Mall. ‘Mostraci che ti importa’, pretendevano i giornali a caratteri cubitali. I cortigiani tentarono invano di convincerla a tornare a Londra e riconoscere la crisi che si stava profilando. Tony Blair, sentendo che la faccenda stava sfuggendo di mano, chiamò Carlo per chiarire che la marea dell’opinione pubblica non poteva essere respinta, minimizzata o ignorata”. Fu così che – prima volta in carriera – Lilibeth si convinse a un dietrofront e tornò a Londra a fare lutto attivo per la principessa.
E si salvò. Evitamento accuratissimo e fortunoso di un’accusa vox populi: quella di mandante morale del disastro di Parigi – la morte di Diana. Diana santificata per direttissima e quindi c’era il rischio che la folla si mettesse in cerca di un capro espiatorio, visto che c’era un cappio libero. Meno male che i social non esistevano, Elisabetta, meno male.
Nel 2021 invece sì, esistevano. E la regina ha dovuto vedersela con un figlio scemo, Andrew, che si fa le foto con le ragazzine minorenni che frequenta. Andrew ha patteggiato con la borzetta di mammà per sospetti che non erano una passeggiata: amicizie con pedofili suicidi.
L’epoca reale elisabettiana si è poi chiusa con l’ultimo scisma: la giovane attrice americana, Meghan, quella che si era pigliata il nipote prediletto, Harry, infama Londra da Los Angeles con l’ultima accusa: siete razzisti e stronzi. Avete chiesto se mio figlio Archie cresce più bianco o più nero.
Il comunicato ufficiale di replica da Buckingham recitava contrito ma non troppo: “Tutta la famiglia è rattristata nell’apprendere quanto siano stati difficili gli ultimi anni per Harry e Meghan. Le questioni sollevate, in particolare quella della razza, sono preoccupanti. Se è vero che alcune ricostruzioni possono variare, sono prese molto sul serio e saranno affrontate dalla famiglia privatamente. Harry, Meghan e Archie saranno sempre membri della famiglia molto amati”.
E da lì è cominciato un “vi piglio e vi lascio” sofisticatissimo. Che è l’ultima impresa di Elisabetta. Li detesta, quei due, serpi in seno, ma sa che non possono esserci strappi così documentati. Dalla parte opposta del Risiko i due giovinastri sanno che devono restare a fare i parassiti senza divorzi bruschi, troppa distanza dalla corona non possono tenerla perché un po’ di polvere di stelle reali gli serve eccome, per fatturare. E così adesso volano a Londra dalla cara nonna. Come se niente fosse.
“Ho fatto fatica a capire qual era il mio lavoro”, aveva detto Meghan a Oprah. “Cosa significa essere un reale lavoratore? Cosa fai? ... Quello che sai dei reali è quello che leggi nelle fiabe... Sono cresciuta a Los Angeles, vedi le celebrità tutto il tempo. Non è la stessa cosa, ma è molto facile, soprattutto da americana, dire: ‘Queste sono persone famose’. Ma questo è un gioco completamente diverso”. Eh, sì. L’idea che i membri anziani della famiglia reale britannica radicati nella campagna, ossessionati dal dovere e legati alla tradizione abbiano una qualche somiglianza con le celebrità di Hollywood è incredibilmente fuori bersaglio. Le celebrità si infiammano e si esauriscono. La monarchia funziona sul lungo periodo. Come disse una volta la nonna della regina, la regina Mary, a un parente: “Sei un membro della famiglia reale britannica. Non siamo mai stanchi e tutti amiamo gli ospedali”.
Il bagliore della regalità che ha affascinato Meghan è un’illusione ottica. Anche se è diventata una star sempre più popolare sulla scena mondiale, avrebbe dovuto contemporaneamente rimpicciolirsi nelle prerogative mute del servizio alla Corona”, scrive Tina Brown nel suo ultimo The Palace Papers.
Meghan Markle, la fighetta americana, è l’ultima avversaria di Elisabetta. Sic transit, e si combatte il nemico fino a cent’anni.
Così adesso immaginate qualcuno (io) dall’altra parte del foglio e della storia, incaricata di scrivere qualcosa su un secolo di regno in cui è successo di tutto, con l’aiuto di venti biografie, e lo stesso non trovare un argomento, un’idea, qualcosa che non somigli al solito epinicio ma-che-bella-regina-madamadoré. Che cosa ne penso, di Elisabetta? Niente. Cosa c’è da pensarne? Di nuovo, niente.
Quello è il mandato. Non lasciar parlare, manco a indovinare. Sotto la corona non serve un carattere. Per farla durare serve qualcuno talmente abituato ad accontentare le aspettative che raramente ti fa accorgere dove sbaglia.