le armi in campo

La minaccia delle esercitazioni nucleari russe e la parola che arriva da nord: “Reinvasione”

Micol Flammini

Il Cremlino sa bene come fare sfoggio del suo potenziale bellico, quando farlo, e come mostrare i muscoli ai suoi avversari. Nel Donbas mangia un pezzettino alla volta la terra degli ucraini

Gli Stati Uniti manderanno i missili a medio-lungo raggio che gli ucraini chiedono da sempre per fermare l’avanzata russa nel Donbas. E la Russia, che considera l’invio di queste armi una provocazione diretta, mentre apre per la prima volta a un incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e l’omologo ucraino Volodymyr Zelensky,  risponde con una minaccia: il ministero della Difesa ha dichiarato all’agenzia Interfax che le forze nucleari russe stanno svolgendo esercitazioni nella provincia di Ivanovo, a nord-est della capitale Mosca. Sono impegnati mille militari che per le manovre utilizzano cento veicoli, tra i quali i lanciamissili balistici intercontinentali Yars, acronimo di yadernaya raketa sderzhivania: razzo di deterrenza nucleare. Si tratta di missili in grado di coprire una distanza di diecimila chilometri, hanno più testate nucleari che possono essere guidate per colpire più bersagli in modo indipendente.

 

Come spesso accade quando si parla di armi russe, la mitologia e la realtà si inseguono, il Cremlino sa bene come fare sfoggio del suo potenziale bellico, quando farlo, e come mostrare i muscoli ai suoi avversari mentre nel Donbas mangia un pezzettino alla volta la terra degli ucraini. Lo fa con fatica, ma senza sosta, con bombardamenti continui, senza smettere di marciare. L’esercito russo ha quasi il controllo totale di Severodonetsk, la città nella regione di Luhansk da cui arrivano le immagini di guerriglieri ceceni a spasso per il centro: non temono attacchi e controffensive, si muovono liberamente. Con Severodonetsk, la Russia potrà rivendicare quasi l’intero controllo di una delle due oblast del Donbas e la notizia potrebbe dare sollievo e motivazione a un esercito che, di nuovo, dopo l’effetto Mariupol, registra segnali di stanchezza e disinteresse e che secondo le intelligence occidentali ha ancora difficoltà a rifornirsi nonostante la vicinanza al confine. L’apertura diplomatica sull’incontro tra presidenti è importante, ma non si può smettere di combattere e di difendersi. 

 

La paura degli ucraini è che le armi americane arriveranno troppo tardi e che un successo nel Donbas potrà rianimare le voglia dei russi di  prendere l’intero paese e, anzi, di ricominciare un assalto dal nord. Da alcune settimane si sono intensificati gli attacchi contro la regione di Sumy; Chernihiv invece è stata liberata già da sette settimane, ma chi è a guardia della frontiera dice che qualche colpo sparato dall’altra parte del confine arriva ancora. Vivono nel timore che tutto si ripeta, e mentre l’invasione non è finita, pronunciano la parola “reinvasione”. Dall’altra parte del confine c’è la Russia ma anche la Bielorussia, dove il dittatore Aljaksandr Lukashenka ha annunciato nuove esercitazioni militari dal 22 giugno al primo luglio nella regione di Gomel dove è ancora stanziato un numero imprecisato di uomini e mezzi russi. I giorni che hanno preceduto il 24 febbraio, data di inizio dell’invasione, Putin e Lukashenka erano insieme a guardare le esercitazioni militari, a mostrare la potenza dell’esercito russo.

 

La sensazione era che fossero  le solite provocazioni: erano invece il preludio all’invasione.  Per questo gli ucraini prestano più attenzione a ogni annuncio, a ogni manovra, perché più di tre mesi di guerra hanno insegnato che tutto è possibile e che ogni battaglia ha le sue armi e nel Donbas non si combatte come in altre parti. Kharkiv, una delle ultime regioni liberate, non si è mai sentita sicura. E’ ancora sotto attacco, la gente scappa e teme le bombe e le deportazioni. Il senso di liberazione non dura a lungo e c’è una frase che i militari ucraini ripetono: combattiamo contro un esercito che non conosce le regole d’ingaggio.  

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)