In Russia gli attacchi contro i centri di reclutamento sono in aumento

Micol Flammini

Ci si appiglia al termine "operazione speciale" per non andare a combattere e, per protestare, i disertori se la prendono con i bancomat della guerra del Cremlino 

Gli uffici di reclutamento in Russia sono da settimane bersagli di incendi e vandalismi, segno del fatto che i cittadini non sono disposti a partire per la guerra. Per le strade di Mosca e San Pietroburgo ci sono delle ragazze con il capo coperto di nero, in piedi e in silenzio, e con dei fiori bianchi in mano. Se qualcuno si avvicina per domandare cosa stiano facendo, loro rispondono: siamo contrarie alla guerra. Capita spesso che queste ragazze vengano  insultate con  improperi poco eleganti e che venga detto loro che non rispettano la vita dei ragazzi al fronte. Loro rispondono: siamo qui proprio perché teniamo alla vita dei soldati al fronte. La replica, violenta, è spesso: ma loro vogliono essere lì, sono volontari. Gli attacchi ai centri di reclutamento mostrano che c’è una grande differenza tra quello che viene raccontato ai cittadini – che i ragazzi al fronte sono volontari – e quello che effettivamente pensano i ragazzi mandati al fronte, che cercano di distruggere i centri di reclutamento. Gli attacchi sono in aumento e si verificano in varie regioni della Russia, soprattutto in quelle più remote, ma anche la ricerca di uomini da mandare in battaglia è in aumento, perché è vero che la Russia procede nella sua conquista nel Donbas, ma l’avanzata non è senza perdite. I centri di reclutamento si chiamano voenkomat,  è il nome con cui si indicano gli uffici militari, ma  è diventato oggetto di uno scherzo amaro: la parola suona simile a bankomat, e i centri di reclutamento sono diventati così “i bancomat della guerra del Cremlino”, i posti in cui il ministero della Difesa defrauda la Russia di vite umane molto giovani. 

 

Secondo l’intelligence britannica, nel Donbas la Russia ripete gli stessi errori e non cambia perché non è in grado di stravolgere e adattare la sua struttura militare. Secondo alcuni il problema è al Cremlino: Vladimir Putin continua a voler decidere su tutto, anche sulle azioni sul  campo di battaglia. Secondo altri il problema sta nella struttura antiquata dell’esercito, in cui i singoli eseguono gli ordini pedissequamente per paura di sbagliare, c’è poca iniziativa, la catena di comando spesso è lunga e chi sta  in alto non solo non  racconta in modo trasparente quali sono i rischi e le difficoltà sul campo ma  spesso tende anche  a trattare con poco rispetto i sottoposti. Secondo il Wall Street Journal centinaia di soldati russi sono sfuggiti alla guerra. Si sono rifiutati di andare a combattere all’estero usando un escamotage che il Cremlino non aveva calcolato: non è una guerra, è un’operazione speciale, quindi non c’è l’obbligo di prendere le armi contro l’Ucraina. Non tutti sono stati in grado di opporsi agli ordini che venivano dall’alto, non molti hanno potuto consultare un legale. Secondo i documenti visionati dal Wall Street Journal, ci sono state molte denunce nei ranghi della Guardia nazionale contro chi si è rifiutato di combattere in Ucraina: un giudice presso un tribunale militare della città di Nalchik il 25 maggio ha respinto il ricorso di 115 membri che sono stati licenziati. Per ora più che licenziare, l’esercito russo non può fare molto contro chi si rifiuta di partire: non è una guerra, è un’operazione speciale, e non sono quindi previste accuse di tradimento e diserzione. Nonostante questo, la decisione da prendere non è semplice e spesso al rifiuto fanno seguito molte minacce ai soldati e agli avvocati che li difendono.  

 

Le agenzie di intelligence occidentali affermano che ci sono ampie prove di caos e disordine tra le Forze armate russe in Ucraina. Un alto funzionario americano ha detto il ​​mese scorso che ufficiali di vari livelli si sono rifiutati di obbedire agli ordini. Non è la prima volta che l’esercito di Mosca si trova di fronte a un fenomeno simile, anche durante la Prima guerra cecena migliaia di soldati russi hanno disertato dopo essere stati mandati a combattere senza equipaggiamento e addestramento appropriati.

 

La Russia ora controlla il venti per cento del territorio ucraino, l’ha detto il presidente Volodymyr Zelensky, che continua a ripetere ai suoi alleati che servono armi per cacciare la Russia: le alleanze per Zelensky si fanno sempre più importanti e ieri il suo partito Servitore del popolo è anche entrato ufficialmente nell’Alde, i liberali europei. Il venti per cento è  un quinto della nazione e il dato serve bene a capire che quello russo non è un esercito da sottovalutare, sa essere brutale e martellante, ma non riesce a innovarsi. Anche secondo il Pentagono nel Donbas Mosca sta ripetendo gli stessi errori: è  vero che si trova  in un territorio più favorevole, che si presta meglio al modo di combattere dell’esercito russo, però è di nuovo a un punto di logoramento. I suoi soldati e anche i piloti cercano di evitare il rischio, lanciano attacchi e tornano velocemente nel territorio russo, e questo ha una conseguenza importante: la Russia non riesce a stabilire la sua superiorità aerea. 

 

Il fattore umano è stato determinante fino a qui, anche se ora gli ucraini si trovano in difficoltà. Pesa la stanchezza, pesa un territorio adatto alla guerra dei russi, e vicino alle loro  vie di rifornimento, mentre i rifornimenti di Kyiv hanno una strada più complessa da percorrere. Nonostante questo a sud hanno ricominciato a contrattaccare, poco alla volta mentre sono in attesa dei nuovi aiuti da parte degli alleati occidentali.
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)