L'asse Kuleba-Di Maio per la vendita di nuove armi all'Ucraina

Micol Flammini

I ministri avviano colloqui ufficiali per i futuri rifornimenti, mentre nel Donbas i numeri sono sempre più critici per Kyiv, che oltre alla guerra sul campo deve combattere anche un'altra battaglia: quella contro l'indifferenza e l'abitudine. Due obiettivi di Vladimir Putin

Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ieri ha parlato  con il suo omologo italiano, Luigi Di Maio, per affrontare un argomento in particolare: le armi. I due ministri hanno avviato in maniera ufficiale  i colloqui tra l’industria statale della Difesa ucraina e l’Aiad, la federazione aziende italiane per l’Aerospazio, la difesa e la sicurezza, con l’obiettivo di accelerare la vendita di armi all’Ucraina da parte delle industrie italiane. Di Maio  ha anche assicurato a Kuleba che l’Italia compirà tutti gli sforzi necessari per sostenere e ricostruire l’Ucraina e anche per rompere il blocco del grano imposto dalla Russia. Ieri erano i cento giorni dall’inizio dell’invasione e sul futuro dell’Ucraina pesa l’avanzata della Russia in Donbas, la regione orientale in cui Kyiv è in grande difficoltà: il rapporto tra artiglieria ucraina e artiglieria russa è di uno a quindici. Degli ultimi tremila uomini che si sono aggiunti alle forze già schierate a est, oltre il  90 per cento è morto o è stato ferito. E ora che la situazione diventa più complessa, l’Ucraina deve affrontare anche un’altra sfida: mantenere viva l’attenzione dei suoi alleati.  

 

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha pubblicato un video per mostrare che lui e i suoi collaboratori, cento giorni dopo l’inizio dell’invasione russa sono ancora lì, in Ucraina, a difendere la libertà del loro paese. “Siamo tutti qui”, ha detto, riproponendo la stessa angolazione e le stesse formule utilizzate cento giorni prima in un video simile, ma notturno. Ieri a Kyiv è stato un giorno di commemorazione, a Mosca è stato invece un giorno come gli altri perché la televisione di stato aveva ricevuto l’ordine di non parlare dei cento giorni di “operazione speciale”, di non far capire ai russi che sono più di tre mesi che la Russia è in guerra contro l’Ucraina, quando doveva essere un’impresa da pochi giorni: settantadue ore al massimo. Il presidente russo, Vladimir Putin, vuole che la guerra diventi un brusio in  sottofondo, che i russi la percepiscano come normalità, che vedano con l’occhio dell’abitudine gli scaffali vuoti dei supermercati, le vie dello shopping senza marchi di lusso, che non si interroghino più su cosa accade dall’altra parte del confine. Ci si abitua a tutto e l’abitudine porta all’indifferenza, che è una zona grigia in cui il Cremlino sa bene come muoversi. Putin punta allo stesso fenomeno esternamente, aspetta che i paesi occidentali, alleati di Kyiv, si distraggano,  si abituino e si disinteressino. A questo servono le guerre lunghe: l’attenzione per Kyiv, la voglia di aiutare gli ucraini non potrà durare per sempre e la scommessa di Putin ruota attorno a quella che secondo lui è una delle debolezze della democrazia, i cicli elettorali. 

 

 

Il compito dell’Ucraina è l’opposto, Zelensky e i suoi combattono la loro guerra anche contro l’indifferenza. In queste ultime settimane, il presidente ucraino ha cominciato a dire tutti i giorni che le perdite sul campo di battaglia sono ingenti, che la Russia avanza e che la battaglia del Donbas si vince soltanto con le armi giuste, che gli americani hanno deciso di inviare. Non può perdere l’interesse internazionale, se gli alleati si distraggono potrebbe essere disastroso per Kyiv. Negli Stati Uniti molti giornalisti iniziano a interrogarsi sulla durata dell’attenzione americana: quanto potrà rimanere concentrata sull’Ucraina. Sull’Atlantic Andrew Exum scrive che la luna di miele tra l’Ucraina e i leader occidentali non sarà eterna e prevede che le sofferenze derivanti dalle conseguenze economiche della guerra rovineranno le relazioni con Kyiv. Non lo rende esplicito, ma anche lui ritiene che la scommessa di Putin sia giusta. Julia Ioffe, attenta osservatrice di questioni russe e americane, ha notato, nella sua newsletter, che per ora il sostegno a Kyiv è bipartisan tra la politica americana, ma potrebbe non esserlo per sempre. Anzi, in vista di un ulteriore sostegno finanziario, potrebbe venire giù. La stanchezza, il conto dei danni e dei giorni, potrebbero portare alla rabbia, all’indifferenza e all’aumento del numero delle persone che si domandano che senso abbia morire per Kyiv. Zelensky e i suoi hanno dimostrato di conoscere gli alleati occidentali più di quanto credessimo e se premono per mantenere alta e viva l’attenzione è anche perché vogliono che la stanchezza non arrivi, che il conflitto si chiuda in fretta, prima dell’indifferenza. La guerra lunga, logorante, la guerra che diventa abitudine conviene soltanto a Putin. 

 

La moglie di Zelensky, Olena, ha rilasciato un’intervista a “Good morning America” e ha detto che agli americani vuole fare una sola  raccomandazione: non abituatevi alla guerra. Può sembrare lontana, può sembrare lunga, ma “se voi vi abituerete per noi sarà un rischio, sarà una guerra senza fine”. Per questo nessuno più degli ucraini  è  interessato ai negoziati. Per questo il presidente Zelensky chiede un incontro a Putin dal primo giorno di guerra: gli aiuti potrebbero non durare per sempre, gli alleati potrebbero stancarsi. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)