La festa
Noncuranza, durata, tradizione: lo splendido regno di Elisabetta II
Il Giubileo dei settant’anni e noi, che abbiamo in fondo bisogno degli auguri che facciamo a quella piccola donna quasi centenaria che agita la manina in segno di saluto
Capita di avere settant’anni e di essere coevo con il regno di Elisabetta II. Di qui una simpatia naturale per un potere simbolico e pratico identico al pulsare nel tempo della tua vita. Ma ovviamente c’è di più. Il Giubileo dei settant’anni con le sue feste, parate, concerti, esibizionismi allegri, messe solenni, derby equestri, gran gala, balli, pranzi, concerti, applausi di folla composita così diversa dalle adunate sotto altri balconi della storia, apparizioni di famiglia e staff, bambini e parenti birichini, inni, castelli, palazzi, fiori, cani cavalli, cappellini, divise, feste di strada, pic-nic, pettegolezzi eccetera ruota intorno a una figura e a un’istituzione, capo dello stato britannico e capo della chiesa anglicana, che può essere discussa, avversata anche, ma la discendente di Maria Stuarda possiede un tratto solare, sorridente, elegante e tenace che è al di sopra di ogni adorazione e di ogni critica. Tre sono i tratti pertinenti di questo lunghissimo regno à la Louis XIV: noncuranza, durata, tradizione & informalità.
Luigi il Grande si sottoponeva all’osservazione dei sudditi e della corte da mane a sera, e fissò nello spazio del ballo come della chaise percée, danzando e cacando, il simbolico moderno di una monarchia ricca di splendori e miserie della politica assolutista. Il regno costituzionale e la sovrintendenza religiosa, ecclesiastica, di Elisabetta, presenta la noncuranza, il rassicurante senso di superfluità e occasionalità di tutte le cose, come un suo abito e un suo stile. Era amata da Churchill, difensore d’Europa e della libertà, imperialista senza più impero, e fu rispettata da tutti i suoi successori, fino a Boris Johnson, biografo del vincitore della guerra, party animal, fischiato dalla folla riottosa fuori della Cattedrale di Saint Paul. Alla fine le differenze secolari si vedono, i cantori di Vittoria furono Charles Dickens e George Eliot, la musica di Elisabetta la mette in scena Ed Sheeran. Figlia della grande guerra civile europea, ha regnato su un’infinità di crisi standone sempre al di sopra, almeno nell’apparente distacco dell’immagine. L’ho ascoltata al Parlamento europeo che aveva trent’anni di meno, era l’affascinante allocuzione di una marionetta pop, piccola e gentile, emanava un fascino azzurrino come il suo tailleur. Amabile e rassicurante.
La durata, poi. Il regno di Giovanni Paolo II sembrava non dovesse finire mai, era pieno di luce, quello sempre più torvo di Putin si è via via spencolato sull’abisso, la lunga durata dei democristiani in Italia era una disseminazione e un fruttuoso sperpero del tempo, Fidel Castro una alluvionale e affabulatoria parabola del potere isolano, caraibico, e delle sue atroci follie. Mettiamola come si voglia, la durata è una misura intrinseca della storia umana, conta per ciò che è, un assoluto stemperamento di ciò che appare relativo, una vittoria contro la natura delle cose. Le generazioni si trasformano, si rivoltano, il panorama si chiude e si riapre su nuove scene en plein air, ma tutti riconoscono qualcosa di misterioso e fatale nella durata, di cui settanta anni sono una smisurata misura.
Il bello poi è che tutto questo è radicato nella tradizione più che nella legge, è un fatto del costume come base dello stato e della giurisprudenza, non c’è la faticosa vigenza della norma, piuttosto la gestione più o meno brillante del protocollo. Non sta scritto da nessuna parte che la Regina non si possa toccare, eppure non si tocca. Ne viene quella flessibilità che fa di una famiglia reale così ricca e potente, così fortemente ma insensibilmente benedetta dall’unzione, una comunità in cui si riflettono famiglie e schiatte di commoner, come in uno specchio. Non so perché ma abbiamo in fondo bisogno degli auguri che facciamo a quella piccola donna quasi centenaria che agita la manina in segno di saluto.