L'asse Washington-Bruxelles sa contenere Cina e Russia, ci dice l'inviato europeo Visentin

Giulia Pompili

Dalle Fiji a Canberra, Bruxelles ha ben chiara la sua strategia dell'Indo-Pacifico. Ora si accelera il trattato di libero scambio Ue-Australia: ci serve il suo gas naturale liquefatto, l’idrogeno verde, i minerali e le terre rare per la catena di produzione di microchip e semiconduttori, ci spiega l’inviato speciale dell’Ue, Gabriele Visentin

La notizia di ieri è che lo stato di Fiji ha consegnato agli investigatori americani un superyacht da 325 milioni di dollari, che secondo le autorità americane sarebbe di proprietà di un oligarca russo sotto sanzioni internazionali e che era stato posto sotto sequestro qualche settimana fa. Si tratta di uno sforzo congiunto e internazionale contro chi sostiene (e probabilmente finanzia) la guerra di Putin, ma che questa volta arriva da un piccolo paese del Pacifico che fino a poco più di un mese fa era considerato perso nell’abbraccio delle autocrazie e della potenza più influente dell’area, la Cina. 


La possibilità di un accordo sulla sicurezza tra Pechino e Fiji, e soprattutto il tentativo della Cina di espandere la sua influenza nel Pacifico con una serie di iniziative diplomatiche, ha generato in realtà un effetto virtuoso nella coalizione occidentale. Perché non solo l’America, ma soprattutto l’Unione europea hanno iniziato a rispondere all’attivismo diplomatico cinese, creando una nuova narrazione e tornando in quei paesi che subiscono le lusinghe cinesi (e russe). Qualche giorno prima che il ministro degli Esteri cinese Wang Yi arrivasse nelle isole Fiji per rafforzare le ambizioni cinesi nell’area, nello stesso posto era arrivato l’inviato speciale dell’Unione europea per l’Indo-Pacifico, Gabriele Visentin, e poi la nuova ministra degli Esteri australiana Penny Wong. 
Per anni la coalizione occidentale si è quasi dimenticata di quei paesi, che adesso tornano centrali nella nuova strategia di equilibri dell’Indo-Pacifico. Tre anni fa, l’Ue ha chiuso le sue ambasciate a Vanuatu e alle Isole Salomone, l’altro paese dove la Cina è arrivata offrendo trattati di sicurezza. Ma adesso qualcosa sta cambiando. “Molte volte le offerte cinesi sono specchietti per allodole”, spiega al Foglio Visentin, “perché le infrastrutture che costruiscono magari non vengono completate, oppure non funzionano, per costruirle non usano manodopera locale, e soprattutto non sono gratis”, e infatti c’è sempre più attenzione sulla cosiddetta “trappola del debito” che stritola i paesi che contraggono certi prestiti con la Cina. Il cambio di prospettiva è stato accelerato soprattutto con la guerra in Ucraina, e il mostrare le vere conseguenze delle partnership con le autocrazie. “Però devi essere credibile, e l’Europa non lo sarebbe se si mettesse lì a fare sicurezza e difesa” – un complemento che ha solo l’America in quella parte di mondo. “Noi siamo il blocco commerciale più grande del mondo, abbiamo un soft power molto forte. Il pacchetto di offerte è molto più attrattivo di quello cinese. Basta cambiare narrazione, e far vedere che gli Stati Uniti, l’Australia, il Giappone, l’Ue sono tutti allineati nel non entrare in concorrenza geopolitica ma sono alleati per dare un quadro di sviluppo in cui questi paesi si sentano garantiti”, dice Visentin. Uno dei fattori riguarda i cambiamenti climatici: “La green economy per i paesi del Pacifico è una questione esistenziale. La nostra attenzione alle tematiche ambientali diventa una questione strategica e di sicurezza per loro”. 


Se le Fiji sono il luogo della politica del Pacifico – sono al centro della regione, e sono la sede non solo del governo locale ma anche delle due più importanti istituzioni sovranazionali, il Pacific Island forum, di cui Fiji ha la presidenza di turno, e la Pacific community – quello che è cambiato davvero nella politica estera europea è la missione nell’Indo-Pacifico. “Il 40 per cento del commercio e dell’approvvigionamento verso l’Ue parte da lì”, spiega Visentin, “e se otteniamo che i paesi dell’area non entrino nella sfera d’influenza cinese ci garantiamo che l’Indo-Pacifico resti aperto e libero e con delle regole. E’ un discorso omnicomprensivo, e questo rende strategica l’Australia, perché ha coste sia sul pacifico sia sull’indiano”. Il cambio di amministrazione, con la sconfitta di Scott Morrison e l’arrivo del nuovo primo ministro Anthony Albanese, ha cambiato i rapporti tra Bruxelles e Canberra (dopo il brutto episodio di Aukus e la lite con il francese Macron). Ora il trattato di libero scambio Ue-Australia sarà accelerato: “Anche perché uno dei capitoli bloccati era quello sui cambiamenti climatici, ma per Albanese è una priorità”. Per l’Ue si tratta di un accordo che potrebbe essere fondamentale nei prossimi mesi: l’Australia è il primo produttore di gas naturale liquefatto e di idrogeno verde, e produce minerali e terre rare per la catena di produzione di microchip e semiconduttori.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.