Lavrov e Maduro alla corte di Erdogan e no, il grano non c'entra
Il ministro degli Esteri turco ha detto che la road map approntata dall’Onu per stabilire un corridoio alimentare lungo il Mar Nero attraverso la Turchia è “ragionevole” e “fattibile”. Ma Kyiv precisa che al momento non vi è ancora alcun accordo con Turchia e Russia. Ad Ankara si è parlato del modo in cui limitare i danni economici per la Turchia
Ankara. Ankara è stata ancora una volta al centro della scena internazionale in veste di mediatore nella crisi ucraina, questa volta nel difficile tentativo di istituire un cosiddetto “corridoio del grano” per consentire il trasporto verso il mercato mondiale di oltre 20 milioni di tonnellate di cereali che stanno per marcire sulle coste ucraine del Mar Nero disseminato di mine a difesa dei porti dalla minaccia russa. Lavrov si è precipitato nella capitale turca pochi giorni dopo una lunga telefonata che il presidente Erdoğan aveva avuto con Putin, e mentre in quelle ore il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavusoglu, lo incontrava nel palazzo presidenziale, Erdoğan riceveva il dittatore venezuelano, Nicolas Maduro.
Nulla accade per caso. Molti credono che Lavrov sia venuto in Turchia principalmente per negoziare l’apertura di un “corridoio del grano”. Non è così. Sebbene al centro dell’agenda dei colloqui ad Ankara tra i due ministri degli Esteri ci fosse la guerra in Ucraina, l’argomento più dirimente ha riguardato le relazioni bilaterali: il modo in cui limitare i danni economici per la Turchia in una guerra che si va prolungando oltre ogni aspettativa; il conflitto in Siria con la minaccia turca di una nuova operazione contro i curdi delle Unità di protezione del popolo (Ypg); la situazione critica in Libia e quella nel Caucaso meridionale. E parimenti l’arrivo del presidente venezuelano Nicolás Maduro nella “gemella nazione turca”, come lui stesso l’ha definita, puntava a rafforzare le relazioni bilaterali tra i due paesi.
L’incontro tra Lavrov e Çavusoglu ha evidenziato, com’era prevedibile, una situazione di stallo in un negoziato tutto in salita tra Turchia e Russia con la mediazione dell’Onu, nel difficile tentativo di aprire di un corridoio del grano bloccato nei porti ucraini. Ma non poteva essere che così, per il solo fatto che a questo incontro era assente l’attore più importante, cioè la vittima, l’Ucraina, che non può far partire le navi dai suoi porti perché ciò è impedito dalla Russia che tiene sotto minaccia missilistica l’intera costa ucraina. Solo pochi giorni fa l’esercito russo aveva colpito un terminale di grano a Mykolaïv, mandando in fumo migliaia di tonnellate di cereali.
Il ministro degli Esteri turco ha detto che la road map approntata dall’Onu per stabilire un corridoio alimentare lungo il Mar Nero attraverso la Turchia è “ragionevole” e “fattibile”. Ma Kyiv precisa che al momento non vi è ancora alcun accordo con Turchia e Russia sulla creazione del corridoio navale. Il governo ucraino chiede garanzie per la sua sicurezza, chiede cioè che dopo lo sminamento dei porti Putin non utilizzi le rotte commerciali per attaccare Odessa, e vuole che siano le marine di paesi terzi a pattugliare l’area. Come era immaginabile il buon esito di questo negoziato non è affatto scontato.
Erdogan, per ragioni di consenso interno, cerca affannosamente di accrescere il suo prestigio sulla scena internazionale e di dare respiro alla sua economia in forte recessione. La visita di Maduro ad Ankara così come quella di Lavrov risponde a queste stringenti esigenze. Maduro fu uno dei pochi leader mondiali ad aver espresso solidarietà alla Turchia la notte del tentato golpe del 15 luglio 2016, ed Erdogan lo ricompensò facendogli sentire il suo sostegno quando nel 2019 Washington riconobbe come presidente ad interim Juan Guaidó, capo dell’Assemblea nazionale controllata dall’opposizione. “Fratello Maduro, alzati! La Turchia sta con te”, gli disse nel corso di una telefonata.
Ma quella tra Erdogan e Maduro non è semplicemente una kardeş birliği (una unione di due fratelli), ma è una relazione di interessi in cui giocano un ruolo centrale le ricche riserve auree venezuale e il complesso industriale del distretto turco di Çorum specializzato nella raffinazione del prezioso metallo. Non è un caso che le riserve aurifere della Banca centrale turca siano andate aumentando a partire da gennaio 2018: dalle 202 tonnellate alle 253 del 2020. Ad aprile i due paesi hanno firmato sette accordi di cooperazione economico-commerciali durante una visita in Venezuela del ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu. Tra essi, accordi su petrolio, gas, turismo, sport e su altre aree. La guerra in Ucraina costringe a riconsiderare gli obiettivi dei volumi degli interscambi che dagli 850 milioni di dollari attuali si punta ad aumentarli fino 1,5 miliardi di dollari all’anno.
La Turchia sembra lanciata nella crisi economico-finanziaria che l’attraversa come un camion col freno rotto e per questo per arginarne il crollo si muove lungo l’asse Cina, Iran, Russia e Venezuela. Le elezioni presidenziali sono alle porte e dunque non deve sorprendere il fatto che Ankara stia cercando in tutti i modi di stipulare nuovi accordi economici a tutto campo con i suoi amici più stretti, per questo cerca di facilitare accordo di qualsiasi tipo tra Mosca e Kyiv purché si giunga quanto prima a un cessate il fuoco e poi alla pace.