Quel geniaccio opportunista di Boris Johnson
Gioviale, demagogo ma nient’affatto populista. Non è Trump e neanche Berlusconi. Malgrado la sua faccia da schiaffi e i suoi tratti clowneschi, meglio tenersi caro il primo ministro inglese
Il poeta romantico Coleridge, in un saggio su Lutero, diceva che la sensibilità e la finezza sono ciò di cui la raffinatezza è una contraffazione, al meglio un mero riflesso. Gli spessi tratti grossolani, clowneschi, sboccati, di Boris Johnson sono riscattati, nella forma del wit inglese, da doti innegabili di sensibilità politica e di finezza di spirito. Agli inglesi il politico non raffinato, sperimentato gaffeur e fantasioso ingegnere del caos, ma determinato nella capacità di guida e pragmatico, è sempre piaciuto, basti pensare a Churchill, l’idolo di Boris. Deve essere per questo che gli hanno dato una immensa maggioranza di ottanta seggi a Westminster, nel 2019, per attuare i risultati del referendum sulla Brexit e cambiare la Gran Bretagna, unirla, livellare le sue diseguaglianze di ceto e territoriali per quanto possibile.
Ora lo fischiano platealmente, i sondaggi gli sono contro, i suoi deputati hanno portato al 41 per cento la sfiducia personale. Alla base di tutto sta il partygate, la violazione del codice ministeriale, della norma eguale per tutti, a colpi di birra e festicciole e champagne e tartine in compagnia affollata durante i mesi del lockdown. Lui si scusa, paga le multe, e afferma in merito di aver detto cose sbagliate al Parlamento, dove principio sacro è dire qualunque faziosità ma non bugie, perché quando le ha dette, quelle falsità, pensava fossero vere. Gli credono poco, penso anche quelli che gli mantengono per varie ragioni il sostegno, tra i parlamentari e tra i cittadini. Bastava guardarlo nella prima intervista notturna alla Bbc dopo aver evitato la rovinosa caduta per mano dei suoi, aveva il sorriso e l’eloquio erratico, incostante, ambiguo di un uomo che non tiene in gran conto il pudore. Non è Trump, che è un bifolco con le venature di un gangster, e non è Berlusconi, carismatico come lui nelle sue mattane ma troppo diverso per formazione e improvvisazione tarda della gavetta politica. Pur di evitare Corbyn e le serpentine infinite di una Brexit impossibile, gli hanno tributato un plebiscito due anni e mezzo fa. E ora si ritirano nella diffidenza più asprigna. Intrattabile.
Tuttavia chissà, forse Johnson può farcela lo stesso e non condividere la sorte di tanti premier caduti a qualche mese da una mezza sfiducia. E’ il geniaccio opportunista che scrive due articoli, uno pro Brexit e uno anti, scegliendo all’ultimo momento quale cavallo cavalcare. E’ il giocoso e spiazzante sindaco di Londra, conservatore e rivoluzionario nelle forme, di destra e di sinistra, tradizionalista e postmoderno. E’ il cinico che chiama a corte l’inventore del complottismo no vax, lo spin doctor Dominic Cummings, e se ne separa in una rissa farsesca dopo aver costruito la più fenomenale corsa ai vaccini per tutti in Europa. E’ un capo di guerra, serio, sicuro di sé, sempre in controllo e all’avanguardia oltre il nuovo discrimine storico tra occidente ed espansionismo eurasiatico. Deve affrontare i guai seri dell’economia britannica, e quel gigantesco disservizio patriottico e libertario che è la separazione dall’Unione, ma ha molte carte a disposizione, sebbene l’apocalisse prevista dalla Banca d’Inghilterra sia in contrasto patente con il tentativo di rimettere in piedi una Singapore globalizzata a Londra.
Chissà, di sicuro quest’uomo gioviale, demagogo ma non populista, figura dello stato e della cultura eminentissima, etoniana, personalità gioconda e piena di sprezzatura, ci riserverà un nuovo spettacolo quale che sia nel futuro a medio termine la sua sorte di premier. Malgrado la sua faccia da schiaffi, io me lo tengo caro.