DAL WASHINGTON POST

Il veleno e la sete di potere di Nixon e Trump

Bob Woodward e Carl Bernstein

I due ex presidenti erano ossessionati dall’odio e  governavano con la paura, prigionieri della loro brama di dominio. I giornalisti che cinquant’anni fa svelarono lo scandalo del Watergate ne raccontano le analogie

La prima parte di questo articolo è stata pubblicata sull’edizione del Foglio di ieri ed è disponibile sul sito del Foglio

Le nostre conclusioni vengono da una copertura di cinquant’anni su Nixon e il Watergate. E dopo aver seguito anche Trump per più di sei anni – Woodward con tre libri (Paura nel 2018, Rage nel 2020 e Peril con Robert Costa nel 2021); Bernstein come giornalista e commentatore della Cnn ha analizzato Trump, il suo comportamento e il suo significato dal 2016 a quest’anno. Bernstein nel novembre 2020 ha dato la notizia di 21 senatori repubblicani che in privato erano sprezzanti nei confronti di Trump, nonostante in pubblico esprimessero regolarmente il loro sostegno al presidente. Dopo che la storia andò in onda sulla Cnn –  fece il nome dei 21 senatori – un altro senatore repubblicano disse che il numero era più vicino ai 40. 


Il Watergate per noi iniziò quando ci chiamarono a lavorare con un team di giornalisti del Washington Post, il giorno dopo che cinque ladri furono arrestati durante un’irruzione nella sede del Comitato nazionale democratico nel complesso di uffici del Watergate Hotel, il 17 giugno 1972. Nonostante ci siano voluti mesi per stabilirlo, Nixon, il suo staff della Casa Bianca e la sua campagna di rielezione avevano immediatamente iniziato un attacco senza precedenti al sistema giudiziario, lanciando un insabbiamento totale che prevedeva bugie, il pagamenti di denaro in cambio del silenzio e le offerte di grazia presidenziale per nascondere i loro crimini. In una registrazione del 23 giugno del 1972, sei giorni dopo l’arresto dei ladri al Watergate, il capo dello staff Haldeman disse a Nixon: “L’Fbi non è sotto controllo… la loro indagine li sta portando in alcune aree produttive, perché sono riusciti a rintracciare il denaro”. Haldeman disse che lui e Mitchell avevano un piano per far sì che la Cia sostenesse che i segreti della sicurezza nazionale sarebbero stati messi a rischio se l’Fbi non avesse interrotto le indagini sul Watergate. 


Nixon approvò il piano e ordinò a Haldeman di convocare il direttore della Cia e il suo vice. “Giocate duro”, disse il presidente. “Questo è il modo in cui loro giocano, e questo è il modo in cui noi giocheremo”. Questa è la registrazione che venne resa pubblica il 5 agosto 1947 e che purtroppo fu definita la “pistola fumante”. In realtà non era peggio di altre registrazioni che erano state divulgate in precedenza. Di lì in poi  il Congresso e l’opinione pubblica si mostrarono disgustati: erano stanchi di Nixon. John Dean, il consigliere della Casa Bianca di Nixon, inizialmente venne incaricato di contenere e insabbiare le attività del Watergate. Trovò un partecipante volenteroso nell’assistente procuratore generale Henry Petersen, capo della divisione penale del dipartimento di Giustizia, una carica potente. Petersen accettò di assicurare che Earl Silbert, il procuratore incaricato di indagare sul Watergate, non indagasse su Segretti e gli altri. 


Secondo il rapporto del Senato sul Watergate, “Petersen ordinò a Silbert di non indagare sui rapporti tra Segretti e Kalmbach, Chapin e Strachan perché ‘non voleva che entrasse nei rapporti tra il presidente e il suo avvocato o nel fatto che l’avvocato del presidente potesse essere coinvolto nelle attività della campagna elettorale in qualche modo, a mio avviso, illegittime per conto del presidente’”. L’insabbiamento poteva procedere con quella che – in termini pratici – equivaleva a una benedizione ufficiale. Nel suo libro di memorie Haldeman, cinque anni dopo le sue dimissioni dalla Casa Bianca, disse che c’era Nixon dietro a tutti quei sotterfugi. “Mi resi conto che molti problemi della nostra Amministrazione non derivavano solo dall’esterno, ma dall’interno dello Studio ovale – e ancora più in profondità, dall’interno del carattere di Richard Nixon”, scrisse Haldeman. “Presto realizzai che il presidente doveva essere protetto da sé stesso. Ogni volta ricevevo ordini meschini e vendicativi”, ha scritto Haldeman a proposito di Nixon. Uno di questi era: “A tutta la stampa è vietato l’accesso all’Air Force One... Oppure, dopo che un senatore aveva fatto un discorso contro la guerra in Vietnam: ‘Sorvegliate il bastardo 24 ore su 24’. E così via”. In una delle interviste che Woodward ha condotto con Trump per il suo libro Rage, gli domandò: “Che cosa ha imparato su sé stesso?”. Trump sospirò rumorosamente. “Riesco a gestire più di quanto le persone riescano a gestire”. “Le persone non vogliono che io abbia successo... Anche i RINO, anche i RINO non vogliono che io abbia successo”. (I RINO sono i “repubblicani solo di nome”). “Ho un’opposizione come nessuno l’ha mai avuta. E va bene così. L’ho avuta per tutta la vita. L’ho sempre avuta. E questa è stata – tutta la mia vita è stata così”.


Anche Nixon si sentiva assediato dai nemici. “Ricordate che saremo in giro e sopravvivremo ai nostri nemici”, disse Nixon nello Studio ovale il 14 dicembre 1972, il mese successivo alla sua rielezione. “E inoltre, non dimenticate mai: la stampa è il nemico. La stampa è il nemico. La stampa è il nemico. L’establishment è il nemico. I professori sono il nemico. I professori sono il nemico. Scrivetelo su una lavagna 100 volte e non dimenticatelo mai”. Come è noto, Trump ha detto pubblicamente che la stampa è il nemico e un nemico dello stato. Una volta disse addirittura a Woodward, durante un’intervista: “La mia opinione è che lei sia il nemico del popolo”. Dopo che Bernstein rivelò uno degli incontri segreti di Trump, Trump lo definì “sciatto” e “pazzo degenerato”.
La domanda rimane aperta: perché due uomini che hanno ricoperto la carica più alta del paese si sono impegnati in questi assalti alla democrazia? La paura di perdere e di essere considerato un perdente era un filo conduttore sia per Nixon che Trump. In un’intervista rilasciata al Washington Post nel 2015, Trump ha spiegato di essere convinto di aver sempre avuto successo con le sue proprietà immobiliari, i suoi libri, i suoi programmi televisivi e il suo golf. Alla domanda se avesse paura di perdere un giorno, Trump rispose: “Non ne ho paura, ma ne odio il concetto”. “Che cosa odia?”, “Odio il fatto che sia una totale incognita”, ha detto, dando una classica risposta trumpiana in totale sicurezza, e aggiungendo: “Se c’è una paura in assoluto, è la paura dell’ignoto perché non ci sono mai stato prima”. In un’intervista del 31 marzo 2016, quando Trump stava per assicurarsi la nomination repubblicana alla presidenza, è emersa la questione di come avrebbe definito il potere. Trump disse: “Il vero potere è – non voglio nemmeno usare la parola – la paura”.


Dopo le dimissioni di Nixon e la stesura del nostro secondo libro, The Final Days, sull’ultimo anno di presidenza di Nixon, siamo andati a intervistare il senatore dell’Arizona Barry Goldwater, candidato repubblicano alla presidenza nel 1964. Goldwater era spesso considerato la coscienza del partito Repubblicano. Nel suo appartamento ci offrì del whisky e tirò fuori il suo diario quotidiano che aveva dettato per anni alla sua segretaria. Iniziò a leggere la sua annotazione del 7 agosto 1974. Due giorni prima di quella data era stata diffusa la cosiddetta registrazione con la pistola fumante, che dimostrava come Nixon avesse chiesto alla Cia di far ridurre all’Fbi le indagini sul Watergate per motivi di sicurezza nazionale. Era chiaro che Nixon sarebbe stato sottoposto a impeachment e accusato formalmente dalla Camera dei rappresentanti. Il problema era il Senato. Il leader repubblicano del Senato, Hugh Scott della Pennsylvania, il leader repubblicano della Camera, John Rhodes dell’Arizona, e Goldwater furono invitati a incontrarsi alla Casa Bianca con Nixon. Sarebbero stati soli con il presidente nello Studio ovale. Quella sera non erano presenti né assistenti né avvocati di Nixon.


Goldwater era seduto proprio di fronte a Nixon, che era alla sua scrivania. In seguito raccontò che Nixon sembrava a suo agio, quasi sereno. Secondo lui il presidente aveva l’aria di chi aveva appena fatto centro in un colpo solo. Ciononostante, nella voce di Nixon si avvertiva una certa delusione. “Abbiamo chiesto a Barry di essere il nostro portavoce”, disse Scott. “Signor presidente, non è piacevole, ma lei vuole conoscere la situazione, e non è buona”, disse Goldwater. “Quanti sarebbero con me – una mezza dozzina?”, chiese Nixon. Goldwater disse che si era domandato se ci fosse del sarcasmo nella voce del presidente, perché Nixon avrebbe avuto bisogno di 34 voti in un processo al Senato per rimanere in carica. Secondo la Costituzione, per rimuoverlo era necessaria una maggioranza di due terzi, ovvero 67 voti. “Da 16 a 18”, disse Goldwater, ancora ben lontano dai 34 necessari. “Direi forse 15”, disse Scott. “Ma è una situazione difficile, e non sono molto decisi”. “Dannatamente difficile”, rispose il presidente. In un voto al Senato, disse Goldwater, “se si arrivasse a questo non sarebbero in molti quelli che la sosterrebbero”. Goldwater raccontò che in quel momento aveva deciso di essere schietto. “Oggi ho fatto un po’ di conti a naso e non ho trovato più di quattro voti molto convinti, e sono quelli vecchi del Sud. Alcuni sono molto preoccupati per quello che sta succedendo e sono indecisi, e io sono uno di loro”. Era finita.


La sera successiva Nixon apparve sulla televisione nazionale e annunciò che si sarebbe dimesso il giorno successivo a mezzogiorno, venerdì 9 agosto 1974. Più di un anno prima, il Senato aveva avviato una straordinaria indagine bipartisan sul Watergate, votando 77 a 0 per istituire una commissione d’inchiesta. Quarantotto anni dopo, il clima politico è cambiato radicalmente. Solo due repubblicani della Camera – Liz Cheney del Wyoming e Adam Kinzinger dell’Illinois – si sono uniti ai democratici votando 222 a 190 per l’istituzione di un comitato ristretto che indagasse sull’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Il Comitato nazionale repubblicano ha ufficialmente dichiarato gli eventi che hanno portato all’attacco “un discorso politico legittimo” e ha votato per la censura di Cheney e Kinzinger. Un altro tratto personale dominante accomuna Nixon e Trump: entrambi vedevano il mondo attraverso le lenti dell’odio. Woodward fece visita a Trump il 30 dicembre 2019 a Mar-a-Lago per intervistarlo. La Camera controllata dai democratici aveva votato per l’impeachment per aver rifiutato gli aiuti militari all’Ucraina, mentre lui chiedeva al presidente ucraino Volodymyr Zelensky di indagare sui Biden. Dopo un’ora durante la quale Trump ha difeso la sua richiesta a Zelensky, il capo della comunicazione del presidente, Dan Scavino, si è unito all’intervista. Trump ha chiesto a Scavino di aprire il suo portatile e di mostrare una clip del suo discorso sullo stato dell’Unione del 2019: al posto delle parole di Trump, è stata diffusa una musica da ascensore, mentre la telecamera insisteva a inquadrare i membri del Congresso che ascoltavano il presidente.
Il senatore del Vermont Bernie Sanders sembrava annoiato. Trump guardava oltre Woodward e si animava. “Mi odiano”, disse: “Lo vedete l’odio!”. La telecamera si è fermata poi sulla senatrice Elizabeth Warren, democratica del Massachusetts. Ascoltava, calma, priva di emozioni visibili. “Odio!”, disse Trump. Stessa cosa per la deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez: non aveva alcuna espressione sul viso. “Odio! Guardate l’odio!”, disse Trump. La telecamera poi ha indugiato a lungo sulla senatrice Kamala Harris, che sarebbe stata scelta come vicepresidente di Biden l’anno successivo: aveva un’espressione neutra ed educata. “Odio!”, disse Trump ha detto a voce alta, a pochi centimetri dal collo di Woodward. “Vedi l’odio! Vedi l’odio!”.


Fu un momento straordinario. Uno psichiatra direbbe che si trattava di una proiezione del suo stesso odio verso i democratici. Ma Trump era così acceso che non assomigliava per nulla alla reazione sommessa democratici: la sua insistenza sul fatto che si trattasse di “odio!” non era confermata dalle immagini sul computer di Scavino. Molti democratici, ovviamente, lo odiavano e si erano opposti in modo forte e rabbioso alla sua presidenza. Ma questo spettacolo di Trump fu indimenticabile e bizzarro.
Il giorno in cui Nixon si dimise dalla presidenza, il 9 agosto 1974, tenne il discorso di addio nella East Room della Casa Bianca. Non aveva un copione. Sua moglie Pat, le due figlie e i loro mariti erano in piedi dietro di lui. Nixon parlò di come sua madre e suo padre fossero stati fraintesi e continuò a sfogarsi con altre lamentele. Poi, all’improvviso, come se avesse trovato un messaggio più potente, sorrise dolcemente e offrì a tutti il suo consiglio finale. “Ricordate sempre che gli altri possono odiarvi, ma quelli che vi odiano non vincono, a meno che non siate voi a odiarli, e allora vi distruggete”. Sembrò un momento di strabiliante consapevolezza di sé. L’odio era stato il marchio di fabbrica della sua presidenza. Ma alla fine si era reso conto che l’odio era il veleno, il motore che lo aveva distrutto.


Nixon accettò la grazia completa per il Watergate dal presidente Gerald Ford trenta giorni dopo le sue dimissioni. Ogni volta che qualcuno chiedeva a Ford perché non avesse insistito su un’esplicita ammissione di Nixon sui crimini commessi, Ford diceva con sicurezza di avere la risposta. “Ce l’ho qui nel portafoglio”, rispondeva, tirando fuori un foglio di carta spiegazzato che riassumeva la decisione della Corte Suprema Burdick vs United States del 1915. I giudici avevano stabilito che la grazia “comporta un’imputazione di colpa; l’accettazione ne è una confessione”. Ford diceva che Nixon aveva di fatto confessato accettando la grazia. “Questo è sempre stato molto rassicurante per me”.


Nel 1977, a soli tre anni dalla fine del mandato, Nixon rilasciò una serie di interviste televisive al giornalista britannico David Frost. Nixon fu pagato 600 mila dollari. La prima intervista  sul Watergate trasmessa attirò 45 milioni di telespettatori – un record per un’intervista politica che resiste ancora oggi. Nixon disse di aver “deluso il popolo americano” ma di non aver ostacolato la giustizia. “Non pensavo che fosse un insabbiamento. Non avevo intenzione di insabbiare. Lasciatemi dire che se avessi voluto insabbiare, credetemi, l’avrei fatto”. Un anno dopo, nel suo libro di memorie “RN”, continuò la sua guerra alla storia. “Le mie azioni e omissioni, per quanto deplorevoli e forse indifendibili, non erano passibili di impeachment”. Un presidente, aggiunse nell’intervista a Frost, ha un’ampia autorità e non può infrangere la legge. “Quando il presidente lo fa, significa che non è illegale”, ha detto Nixon. In un libro successivo del 1990, “In the Arena”, Nixon aumentò le sue smentite, sostenendo che fosse un mito il fatto che avesse ordinato il pagamento di denaro per comprarsi il silenzio.
Un nastro della riunione del 21 marzo 1973, tuttavia, mostra che Nixon ordinò a John Dean di procurarsi il denaro per ben dodici volte. Il senatore Sam Ervin, presidente della Commissione Watergate del Senato, offrì una diagnosi finale: Nixon e i suoi collaboratori erano guidati da “una brama di potere politico”.


Sebbene Ervin sia morto 32 anni prima che Trump diventasse presidente, l’etichetta “brama di potere politico” si applica ancora. Pur non essendo mai stato uno stratega coerente, Trump può essere un potente propagandista. Ha messo insieme una serie di affermazioni sulla propria vittoria nel 2020, che pure sono senza prove. A più di un anno dall’insediamento di Joe Biden, i sondaggi mostrano che solo il 21 per cento dei repubblicani crede che Biden sia il legittimo presidente degli Stati Uniti. Tra il 74 e l’83 per cento dei repubblicani che negano la vittoria di Biden sono stati influenzati dalle false dichiarazioni di Trump sui brogli elettorali, presentate con incrollabile coerenza emotiva, senza dubbi. Con l’avvicinarsi delle elezioni del 2024, Trump sembra sul punto di ambire nuovamente alla presidenza.
Sia Nixon sia Trump sono stati prigionieri della loro pulsione verso il potere, la conquista e il mantenimento del potere politico, praticamente con ogni mezzo. Appoggiandosi a questi impulsi oscuri, hanno definito due delle epoche più pericolose e preoccupanti della storia americana. Come avvertì Washington nel suo discorso d’addio più di 225 anni fa, i leader senza princìpi possono creare “un dispotismo permanente”, “il crollo della libertà pubblica”, “disordini e insurrezioni”.


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