La corsa al litio mette in competizione Mosca e Pechino in Sud America
Argentina, Bolivia, Messico, Cile. Dopo che le multinazionali Usa ed europee hanno accumulato risentimenti di tutti i tipi, le imprese russe e cinesi sono ora in prima linea nell'accapparrarsi una delle materie prime essenziali per le batterie di auto elettriche
Mosca e Pechino vengono marginalizzate: l’una per l’aggressione dell’Ucraina; l’altra per la opacità nel Covid. Le loro imprese sono però in prima linea sul litio latino-americano. I due terzi delle riserve mondiali di una materia prima essenziale per le batterie di auto elettriche. A loro vantaggio, un passato in cui verso le multinazionali Usa e europee si sono accumulati risentimenti di tutti i tipi. A loro rischio, che gli si riversi contro una nuova febbre populista e nazionalizzatrice.
Un indizio ne è lo scandalo che tira in ballo il figlio del presidente boliviano Luis Arce, proprio mentre è in corso un “programma pilota” con cui la statale Yacimientos de Litio Boliviano (Ylb) seleziona tra otto multinazionali la tecnologia più pulita ed efficiente. Il processo è iniziato l’anno scorso, i risultati saranno pubblicati entro fine giugno, ma gira in chat la foto di Luis Marcelo Arce Mosqueira con due dirigenti della russa Uranium One. Cioè, il figlio del presidente e una delle otto società. Inoltre, nelle ultime settimane la Ylb ha licenziato almeno tre dipendenti di alto livello e diversi amministratori, per sostituirli con persone che vengono accusate di essere senza esperienza, ma ammanicate col governo. Stampa e opposizione insinuano patti sotto banco, e dicono che Arce Mosqueira ha lavorato con l’altra statale Yacimientos Petroliferos Fiscales Bolivianos (Ypfb) senza avere una posizione specifica. Preferenza per la Russia sembra indicata anche dal viaggio che il ministro degli Esteri Rogelio Mayta fece a Mosca a ottobre, e che ebbe appunto il litio tra i temi principali.
Mesa è del partito di Evo Morales, che a fine 2019 dopo 13 anni al potere fu rimosso dalla presidenza per una sommossa che lui tese a dipingere come un golpe pilotato da chi voleva mettere le mani sul litio boliviano, ma era stata in realtà innescata da accuse di brogli. Dopo che lo stesso Morales si era ricandidato in violazione della Costituzione. È vero però che finora la valorizzazione del litio in Bolivia è rimasta al palo, proprio per un vuoto legislativo. Morales aveva aggiudicato un contratto alla tedesca Acisa, poi sospeso poco prima della sua deposizione, proprio per resistenze delle comunità locali che avevano spaccato lo stesso Mas, il partito di governo. Tuttora il Mas è diviso sul disegno di legge con cui Arce vorrebbe consentire anche a aziende private di sfruttare la risorsa. Per ora, lo può fare solo lo stato.
In Argentina i governi locali hanno il potere di allocare risorse a società private in cambio di entrate, mentre in Cile il governo di Boric sta cercando di nazionalizzare il minerale, così come punta a fare in Messico Andrés Manuel López Obrador. In Bolivia quattro delle società in lizza sono cinesi: Contemporary Amperex Technology, Fusion Enertech, Citic Guoan Group e Tbea Group. A parte la russa, ci sono poi la argentina Tecpetrol e le statunitensi Lilac Solutions y EnergyX. Quest’ultima ha promesso di investire in loco 100.000 dollari per educazione e salute.
Nel nord-ovest dell’Argentina la Ganfeng di Xinyu, primo produttore di litio cinese, con la sua filiale locale Litio Minera Argentina ha appena iniziato la costruzione del progetto Mariana, da 600 milioni di dollari. Ne è parte la Provincia di Salta. Con 4.140.000 tonnellate di carbonato di litio equivalente, sarebbe uno dei maggiori depositi.
Quella per russi e cinesi può sembrare una preferenza di governi di sinistra, ma anche quello di destra di Piñera poco prima della fine del mandato in Cile aveva annunciato l’aggiudicazione di due quote di produzione da 80.000 tonnellate: non solo alla cilena Operaciones Mineras del Norte S.a., ma anche alla Byd Chile SpA, filiale locale della società di Shenzhen. Il nuovo presidente di sinistra Boric ha però vinto le elezioni anche promettendo una impresa nazionale del litio, e dopo un ricorso una corte di appello ha sospeso i due contratti. Bisognerà però aspettare la nuova Costituzione: quella ereditata da Pinochet vieta simili nazionalizzazioni.
Anche in Messico, che ha riserve da 1,7 milioni di tonnellate, il presidente di sinistra López Obrador vuole nazionalizzare e creare una società di stato. Principale vittima sarebbe la Bacanora Lithium: in teoria anglo-canadese, ma comprata l’anno scorso per 264 milioni di dollari proprio da Gangfen.
Pure di sinistra, il presidente del Perù Pedro Castillo chiede solo che il minerale sia esportato con valore aggiunto. Là il contratto è con la canadese American Lithium.