Netanyahu vota anche contro le sue leggi per riavere il potere

Claudia Cavaliere

“Il motivo principale per cui l'ex premier ha deciso di votare contro il suo stesso popolo, i setllers israeliani, è stata la sua volontà di sciogliere il governo”, dice al Foglio il professore israeliano Emanuel Gross, esperto di diritto penale e internazionale ed ex giudice militare. Di nuovo le elezioni? Sì

Il governo israeliano è ancora in piedi, anche se la coalizione guidata da Naftali Bennett scricchiola parecchio da quando lunedì, di fronte alla Knesset, il Parlamento, non sono stati raggiunti i voti necessari ad approvare in prima lettura la legge per il rinnovo dell’applicazione delle leggi israeliane agli abitanti degli insediamenti in  Cisgiordania. Si tratta di circa 500 mila persone che godono dei benefici della cittadinanza israeliana, votano alle elezioni legislative e in caso di controversie applicano le disposizioni civili e penali dello stato anche se non si trovano nel territorio in cui esso esprime la propria sovranità, ma all’interno degli insediamenti. 

 

Artefice di questa mossa politica volta a indebolire il governo è stato l’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, che di fatto ha votato contro un provvedimento in cui ha sempre dimostrato di credere e che, se approvato, andrebbe a vantaggio di un’ampia fetta del suo stesso elettorato. “Il motivo principale per cui Netanyahu ha deciso di votare contro il suo stesso popolo, i setllers israeliani, è stata la sua volontà di sciogliere il governo e andare a nuove elezioni”, dice al Foglio il professore israeliano Emanuel Gross, esperto di diritto penale e internazionale ed ex giudice militare. Di nuovo le elezioni? Sì. 

 

Ma andiamo con ordine: il disegno di legge riguarda un regolamento di emergenza che fu approvato nel 1967 alla fine della guerra dei Sei giorni, quando Israele ha esteso il proprio territorio in Cisgiordania senza mai formalmente annetterlo, e che da allora è stato rinnovato ogni cinque anni senza alcun intoppo. “Se il governo non sarà in grado di approvare la legge, lo status degli israeliani che vivono in Giudea e Samaria cambierà e molte leggi israeliane smetteranno di essere applicate nei loro confronti. Ad esempio, un colono che ha commesso un crimine in Giudea e Samaria non sarà processato da un tribunale israeliano, ma piuttosto da un tribunale militare. Oppure i prigionieri palestinesi che scontano la pena in Israele dovranno essere rimandati indietro”, spiega Gross. Di fatto, perciò, se la legge non dovesse essere approvata – c’è tempo fino a fine giugno per raggiungere i 60 voti necessari e almeno altre due sedute parlamentari – significherebbe che il destino degli abitanti degli insediamenti in Cisgiordania e quello dei tre milioni di palestinesi che la abitano sarebbe condiviso sotto la giurisdizione di un governo militare, così come già accade ai secondi. 

 

Questa legge è molto controversa perché rappresenta, per i suoi critici, un doppio standard di trattamento tra israeliani e palestinesi ed è motivo di scontro al governo. Eppure, questa volta è accaduto qualcosa di insolito: alcuni membri che, secondo le attese,  avrebbero dovuto votato contro il rinnovo del disegno di legge hanno votato a favore, volendo mostrare la forza della coalizione; quelli che avrebbero dovuto sostenerlo hanno espresso voto contrario. L’ex premier Netanyahu rivuole il potere – dopo che l’anno scorso è stato estromesso proprio dai partiti al governo che avevano un solo obiettivo comune:  deporlo – e i suoi alleati si sono rifiutati di appoggiare i provvedimenti del governo pur condividendoli. Ma gli equilibri sono molto complessi  in  questa affollata coalizione di otto partiti ideologicamente diversi gli uni dagli altri – c’è la destra, c’è la sinistra, c’è il centro e c’è per la prima volta un partito arabo palestinese.  

 

Intanto, ieri, mentre i giorni della sua coalizione sono incerti, il primo ministro israeliano Naftali Bennett è volato negli Emirati Arabi Uniti – nel suo secondo viaggio pubblico ad Abu Dhabi da quando i due paesi hanno normalizzato le relazioni nel 2020 – in cui ha incontrato il presidente Mohammed bin Zayed al Nahyan, per discutere varie questioni regionali, in chiave anti iraniana, consolidare gli Accordi di Abramo e preparare l’arrivo del presidente americano, Joe Biden.