il viaggio del premier

Israele ci aiuterà con il gas. Bennett tra Draghi e Biden

Micol Flammini

Sui valori la posizione di Gerusalemme è ben salda in occidente, ma in questo momento il premier israeliano è impegnato a mediare tra i suoi in casa ed è preoccupato dalla minaccia iraniana

Il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, ha concluso la sua visita in Israele incontrando il premier Naftali Bennett. Bennett è a capo di una coalizione composita e tremolante, che lunedì ha festeggiato il suo primo anno di governo e ha già rischiato di venire giù più volte. La buona notizia è che Israele ha promesso che aiuterà l’Italia e l’Europa con il gas, nella colletta energetica che molti paesi dell’Unione stanno cercando di fare per sostituire il gas russo: ogni collaborazione è positiva e Israele è un partner affidabile. Draghi ha ringraziato il governo israeliano per il suo sforzo di mediazione durante la guerra in Ucraina e ha detto che l’Italia continua a lavorare perché si giunga quanto prima a un cessate il fuoco e a negoziati di pace. Israele anche è interessata alla pace, ma sebbene in tanti, a cominciare dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, vorrebbero darle un ruolo da mediatore, continua a rifiutarlo. Draghi ha parlato con Bennett anche del rischio di una catastrofe alimentare dovuta al blocco dei porti del mar Nero e della necessità di agire subito. Il premier israeliano era d’accordo, ma si trova legato in una posizione internazionale e nazionale che lo rende poco propenso ad agire. 

 
In questi giorni sarà in Israele anche il presidente americano Joe Biden, ma i fini del capo della Casa Bianca sono altri: è il nuovo assetto in medio oriente che lo interessa e anche le relazioni con l’Arabia Saudita, che, lateralmente, sono  collegate con la guerra in Ucraina. Dopo aver promesso durante la  campagna elettorale  di trattare l’Arabia Saudita come uno “stato paria”, Biden ha cercato di stringere legami con Riad dopo l’invasione russa. Le sanzioni internazionali contro Mosca hanno innalzato i costi del petrolio e Washington ha chiesto ai sauditi di aiutare a compensare producendo più petrolio per sostituire il greggio russo sanzionato. Ma Biden punta poco su Gerusalemme come possibile mediatore e il suo viaggio è da leggere non tanto nell’ottica della guerra in Europa quanto in quella  degli Accordi di Abramo. 

 
A marzo, Bennett aveva incontrato Vladimir Putin e poi aveva parlato con Zelensky, ma il suo viaggio non aveva smosso nulla. Il premier aveva anche tardato a condannare l’invasione, mentre il ministro degli Esteri, Yair Lapid, al quale toccherà la premiership del governo di unità nazionale tra un anno e mezzo, aveva usato parole dure sostenendo che Israele non può avere indugi: deve stare con Kyiv. A fine maggio Israele ha respinto la richiesta americana  di autorizzare Berlino a fornire i missili Spike  a Kyiv  (produzione tedesca su licenza israeliana),  ma al di là del legame tra Russia e Israele che riguarda  la sicurezza dello stato ebraico, a rendere poco plausibile Bennett come mediatore è proprio la coesistenza di tante anime all’interno del  suo governo. 

 
La coalizione di Bennett ha segnato una riconciliazione importante all’interno dello stato ebraico. Il fatto che nel governo ci siano destra, sinistra e anche arabi ha posto le basi per una nuova consapevolezza politica e nazionale:  secondo alcuni osservatori  ha posto le basi per la nascita di un nuova identità israeliana. La precarietà di Bennett e dei suoi, in questo momento, non fa di Israele un mediatore ideale. Sui valori la posizione di Gerusalemme è ben salda in occidente, ma in questo momento il premier è impegnato a mediare tra i suoi in casa ed è preoccupato dalla minaccia iraniana. Per quanto anche Israele senta gli impatti dell’invasione russa e accolga i rifugiati da Russia e Ucraina, interpellata dal Foglio per sapere se Gerusalemme ha intenzione di impegnarsi come mediatrice durante la guerra, una fonte diplomatica ha risposto, per indicare lo stato di allarme che vive costantemente la nazione: “Quale guerra?”.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)