I russi organizzano tour ad Azovstal per dire: qui c'erano nazisti che meritano di morire
Le truppe di Mosca portano i giornali occidentali nei sotterranei dell'acciaieria di Mariupol. Mostrano foto del presidente Zelensky crivellate come a dire: questi uomini si sono sentiti traditi dal loro stesso leader, non sono eroi né martiri, si sono arresi e consegnati
I russi hanno accreditato un gruppo di giornalisti internazionali che portano a visitare alcune zone occupate da loro del sud-est dell’Ucraina. Il Monde ieri ha raccontato la visita all’acciaieria Azovstal, a Mariupol, uno dei simboli di questa guerra, dove ogni parola e ogni frammento di vita rimasto servono a raccontare la propria visione del conflitto. Di quel che è accaduto qui, dentro e fuori, tra palazzi distrutti, mezzi carbonizzati ed erba bruciata, abbiamo e avremo soltanto la versione dei russi e questo non è un dettaglio irrilevante, non tanto e non solo per la costruzione della memoria di questa guerra ma anche per il suo futuro. E’ quel che accade anche con il principale oppositore di Vladimir Putin, Alexei Navalny: ieri è stato trasferito dalla prigione in cui è rinchiuso e la destinazione è sconosciuta – abbiamo, avremo solo la versione del regime.
Azovstal, per i russi, è un’unica stanza, quella in cui stava il reggimento Azov, quindi i nazisti. Gli accompagnatori dicono che si può visitare soltanto quest’ala dell’immenso labirinto sotterraneo perché nel resto dell’edificio ci sono le mine e dei cadaveri lasciati lì dagli ucraini, cadaveri di “ostaggi”, come li chiamano i russi, indicando i civili che si sono rifugiati lì sotto assieme ai combattenti ucraini per sfuggire ai bombardamenti della città da parte di queste novelle guide turistiche. L’obiettivo è chiaro: qui c’erano dei nazisti che noi russi abbiamo stanato in questa nostra gloriosa operazione di denazificazione. Ci sono materassi, coperte, abiti militari e civili sparsi sulle cuccette di legno costruite dai combattenti; dei documenti militari sparsi sul pavimento assieme a uniformi, disegni di bambini, riviste militari, lattine, asciugamani, bustine di tè, cartucce di maschere antigas, proiettili.
Ma quel che conta sono i simboli: i manifesti in omaggio agli “eroi” del reggimento, una foto del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, crivellata, come a dire: questi uomini si sono sentiti traditi dal loro stesso presidente. Ci sono edizioni, in russo o in ucraino, di libri di Jack London e Arthur Conan Doyle, c’è una “Bibbia in 365 giorni” e ovunque, in una “disposizione talvolta molto vistosa”, scrive il giornalista del Monde, il Wolfsangel di ispirazione nazista, magliette decorate con simboli celtici e fascisti “perfettamente disposte su una testiera del letto”. Un’installazione creata dai russi a uso e consumo del pubblico occidentale. All’ingresso i militari russi hanno raccolto per i visitatori resti di armamenti occidentali: lanciamissili anticarro Nlaw (britannico) o Javelin (americano) – le nostre armi. Un russo dice sprezzante indicando sacchi e bottiglie: “Le scorte erano più che sufficienti”. Un altro militare sottolinea che cibo, armi (anche pesanti) e munizioni c’erano in quantità.
Come a dire: non sono eroi né martiri, i vostri combattenti nazisti, si sono arresi e consegnati. Il giorno prima, il leader dei separatisti di Donetsk, Denis Pushilin, aveva detto a questo gruppo di giornalisti riferendosi ai prigionieri catturati ad Azovstal: “Ho il diritto costituzionale di graziare i detenuti, ma non ho ancora alcun motivo per farlo”. Tre combattenti stranieri sono stati condannati a morte da una corte di Donetsk, gli accompagnatori russi dicono che ci sono anche dei “francofoni”, un altro britannico oltre ai due già sommariamente processati, e un sudcoreano. Un militare russo, che dice di aver partecipato alla conquista di Mariupol, dice: “Meritano di morire. Hanno commesso crimini di guerra”. Quali crimini?, chiede un giornalista. “Sparare da postazioni civili o sparare direttamente ai civili per impedire loro di fuggire. Sono stati gli uomini di Azov a farlo”, risponde lui.
La visita finisce sullo stesso ponte da cui sono usciti i combattenti ucraini a maggio, quello ripreso con insistenza dalle tv russe che volevano documentare “la resa”. Gli uomini furono perquisiti e registrati, poi caricati su mezzi russi in direzione della Russia. Il bottino di guerra in diretta tv, e oggi il tour nelle zone occupate dai russi, l’ultimo atto della propaganda di Vladimir Putin, mai pago della violenza e della distruzione che infligge al popolo ucraino, e pronto a seminare dubbi e distrazione in noi alleati.